La ‘povna era incerta se inserire, per questo venerdì del libro, un consiglio o uno s-consiglio. Poi ha deciso che parlare di questo libro – che è bello, amaro e intelligente – le sembrava importante. Ora e adesso. E quindi ne propone la lettura convintamente a tutti, per affrontare, consapevoli, questo tempo di partecipazione che verrà.
Attraverso un romanzo storico sapientemente diviso in atti (Inferno, Purgatorio, Paradiso, più l’Epilogo – e l’evocazione della Commedia dantesca non si limita ai regni oltremondani), Vassalli ricostruisce con una scrittura limpida, che è di per sé militante, la storia del delitto Notarbartolo, definito il primo crimine di mafia italiano. Siamo nel 1893, primo governo Crispi; Giolitti si è dimesso per lo scandalo della Banca Romana che tanto scalpore porterà nell’italica politica, e le conseguenze della bufera si stanno addensando anche sul Banco Siciliano. Un gruppo di notabili siciliani, uniti dall’avere interessi privati più forti di quelli pubblici, dalla capacità di controllare, sotto traccia, il territorio che abitano e da una intuitiva capacità di leggere il presente (che li ha resi, ai tempi dei Mille, capaci di cambiare la casacca in una notte, da borbonica a garibaldina), commissiona dunque l’assassino di un personaggio onesto e scomodo (Notarbartolo, appunto) durante un viaggio in treno. L’impunità in questo caso è d’obbligo, perché si basa sulla fiducia del potere che intimidisce e crea debiti, e su una ramificazione a tali e tanti livelli da rendere impossibile risalire alla responsabilità del mandante, Raffaele Palizzolo, che attraverso una mescolanza di reti clientelari, intimidazioni, protezioni offerte, controlla una buona fetta della zona palermitana.
Se all’inizio tutto sembra scorrere felicemente per i veri colpevoli, il delitto non riesce davvero mai a uscire dalla memoria pubblica. Così, a distanza di anni, il caso viene riaperto, prima a Milano e poi a Bologna, e termina con la condanna di Palizzolo. Una condanna, però, solo provvisoria (un Purgatorio cui segue un Paradiso, nel romanzo). Perché – grazie alla pressione esercitata da un gruppo ‘Pro Sicilia’ costituito alla bisogna, il terzo processo di Firenze rimescola le carte, fino ad assolvere il Cigno per mancanza di prove.
Questa, scarna, la linea della trama dei fatti. Ma – come ogni buon romanzo storico – anche questo va letto con un filtro. Perché alle pagine del racconto corrisponde, in filigrana, quella della ricostruzione morale dell’Italia unita delle origini (a indagare le cause di quella percezione di uno Stato lontano e autoritario che ha portato alla preponderanza della mafia come unica forma di potere percepita da tutti, fin dagli albori dello Stato liberale). Ma non solo. L’anno di pubblicazione, infatti, il 1993, è troppo cruciale per non spingere il lettore all’effetto di rispecchiamento sul presente: là dove gli scandali di Tangentopoli, e i modi, e i coinvolgimenti, e poi risultati e fatti sembrano suggerire una continuità gattopardesca nel rapporto tra politica e poteri forti in Italia.
Così, attraverso una prosa rigorosissima e ricca, ma nello stesso tempo incisiva e mai stucchevole, Vassalli da un lato riannoda il filo della storia, della memoria, delle origini. Mentre dall’altro la citazione esplicita (in certi casi consapevolmente meta-letteraria) di Verga e Pirandello inserisce il romanzo nel filone del meridionalismo e in quello (si veda, appunto, Dante), della letteratura di indignazione civile italiana.