Il cinema di Shane Meadows: “This is England” e “Dead man’s shoes” in Dvd

Creato il 17 ottobre 2014 da Filmedvd

Moltissimi registi si basano sulla propria esperienza personale, sulla propria infanzia, per costruire i loro film, proiettando i propri ricordi e l’epoca in cui sono cresciuti sul grande schermo e invadendo la storia dei propri personaggi con riferimenti ben precisi: che siano relazioni sociali, modelli culturali o conti in sospeso con la storia. Shane Meadows, regista e sceneggiatore inglese, è uno di questi. Nato e cresciuto nella cittadina di Uttoxeter, Staffordshire, nelle Midlands, Meadows, classe 1972, a partire dagli anni ’90, all’inizio della sua carriera, ha riversato nei suoi lavori frammenti di memoria, raccontando storie e dipingendo personaggi da lui conosciuti. I suoi due film più importanti, This is England e Dead man’s shoes, sono ora disponibili in Dvd grazie a CG Home Video.

Il periodo storico a cui Meadows torna puntualmente nelle sue pellicole sono gli anni ’80, il periodo della sua formazione: un’epoca che viene sviscerata in tutte le sue forme – dal punto di vista sociale, politico, culturale – soprattutto nel pluripremiato This is England (2006), vincitore ai BAFTA Award come miglior film britannico, e dal quale sono state poi tratte due miniserie televisive: una sorta di sequel, This is England ’86 (2010), e This is England ’88 (2011), andate in onda su Channel 4. Nel primo film, gli elementi autobiografici sono numerosi, a partire dal nome del giovane protagonista, Shaun Field, che fa eco al nome del regista. Ma il parallelo con il personaggio principale non si limita a questo: si tratta di un’autentica proiezione di se stesso.

“A 11-12 anni – ricorda il regista – ero proprio come Shaun, ero un nessuno, a scuola mi ritrovavo sempre alla fine della fila, avevo questi capelli arruffati a scodella, e poi ci fu la trasformazione”. La sua fascinazione per la personalità che irradiavano gli skinhead nel centro commerciale di Uttoxeter era tale che il desiderio di far parte di quella gang fu molto forte. “Per un ragazzino, in un momento storico in cui non c’era speranza di un lavoro, di una carriera davanti, era confortante poter provare quel potere”. il potere del gruppo, del quale poi ha fatto parte, che era molto eterogeneo, proprio come mostrato nel film: c’erano skinhead, new romantics, herbert, rude boys, accomunati da una personalità forte, dalla passione per la musica reggae e ska e per un certo modo di vestire, non dalla connotazione violenta – quella venne dopo.

Nel film, ambientato nel 1983, vediamo il piccolo Shaun – interpretato dalla rivelazione Thomas Turgoose – che viene preso in giro dai bulli per i suoi pantaloni a zampa e i suoi capelli, e che trova invece conforto in un gruppo di skinhead, a cui non interessa la sua apparenza. L’equilibrio che si forma in questa nuova, particolare famiglia da cui Shaun viene “adottato” è però distrutto dal ritorno di uno dei suoi ex membri, Combo (Stephen Graham), uscito dalla prigione, il quale porta con sé una ventata di ideologie razziste; un naziskin portavoce del National Front, movimento di estrema destra nato negli anni ’70. A fare da parallelo a questa rottura dell’armonia, nella vita di Meadows ci fu un episodio molto violento che lo fece allontanare dal suo gruppo di skinhead: “Uno skinhead, dall’altra parte della banchina, che stava picchiando qualcuno, quasi per farmi divertire, e fu la cosa più terrificante che io abbia mai visto”.

Dopo aver lasciato la scuola, il progetto del giovane Meadows era quello di diventare un grande criminale (“an infamous, criminal mastermind of legendary proportions”, riporta il suo sito ufficiale), ed effettivamente il regista compì reati minori, per la maggior parte furti, ma a 20 anni si trasferì a Nottingham e cominciò a dedicarsi al cinema. C’è anche molta politica in This is England: vengono raccontate la situazione economica dell’Inghilterra, la controversa Guerra delle Falkland, oltre che l’ascesa di gruppi violenti mossi dal razzismo, e nel 2007, anno di uscita nelle sale del film, questi temi risuonarono come una critica alla contemporaneità, che vedeva il partito di estrema destra vincere le elezioni e le truppe britanniche rimanere in Medio Oriente.

Ma facciamo un passo indietro: due anni prima dell’uscita di This is England, per il quale Meadows è stato riconosciuto a livello internazionale e che lo ha posto come una delle voci più interessanti del cinema inglese, uscì Dead man’s shoes – Cinque giorni di vendetta (2004), un film molto duro, sconfortante, terrificante, che a sua volta affonda le radici nell’esperienza personale del regista. Carica di rabbia e di amarezza, la pellicola è nata da un elemento autobiografico alla base della vicenda: il regista racconta di essere tornato a Uttoxeter, il suo paese d’origine, dopo una decade nella quale era stato lontano (come ricordato prima, si era trasferito a Nottingham all’età di 20 anni), e di essere stato colpito dai ricordi che questo gli riportò alla mente.

“Quando eravamo giovani facevamo molto uso di droga, non c’era nient’altro da fare per divertirsi, e di conseguenza si verificarono alcune bruttissime tragedie”. Il regista ha raccontato di un suo amico preso di mira da alcuni bulli dai quali fu spinto a fare uso di droga, e che poi si tolse la vita: “Non riuscivo a credere che, tornando dieci anni dopo, lui fosse stato completamente dimenticato dal paese, come se non fosse mai esistito. Ero pieno di rabbia nei confronti delle persone che lo avevano preso di mira e gli fecero provare la droga, e di disperazione per quello che la droga aveva fatto alla mia piccola comunità”. Ed ecco la fantasia che viene concretizzata nel film: “Cominciai ad immaginare cosa succederebbe se qualcuno decidesse di aggiustare gli errori che erano stati commessi, invece di ignorare la terribile tragedia”.

Nel film, una vera e propria storia di vendetta ambientata nel nord del Derbyshire e girata con un budget bassissimo, vediamo Richard, interpretato dal miglior amico del regista, ora star affermata, Paddy Considine (il film è stato scritto insieme dai due, e per la maggior parte improvvisato), tornare dall’esercito nella sua città natale e decidere di mettere in atto il suo piano: punire la gang che aveva tormentato e spinto all’uso di droghe Anthony, il fratello minore leggermente ritardato. Cinque giorni di sanguinosa e sadica vendetta seguono il suo ritorno, ma nel finale il protagonista capisce di essere diventato un mostro come coloro che sta uccidendo. La performance di Paddy Considine è davvero formidabile: indicato da alcuni critici come “un mix tra angelo della vendetta e un killer sadico”, il personaggio creato dall’attore è indimenticabile.

Secondo Meadows, Richard è “la rappresentazione della parte oscura di tutti noi”, “la proiezione della mia rabbia, sguinzagliata senza freno”, in riferimento alla sua esperienza personale. Alla fine però il messaggio di Dead man’s shoes esorta a cercare dentro di sé la forza di perdonare: “Richard ha scelto il sentiero dell’odio e della vendetta, […] ma l’unico che funziona è quello del perdono”. Oltre agli elementi di vendetta e violenza però c’è anche il delicato rapporto fraterno tra Richard e Anthony, e la vena comica che caratterizza la gang di spacciatori, che secondo il regista “li rende ancora di più persone normali, e di conseguenza quello che gli succede appare ancora più terrificante”.

Il lavoro con il cast fu teso proprio a raggiungere relazioni realistiche e convincenti: per riuscire in tale intento il regista decise di separare gli attori durante le riprese. Da una parte, gli interpreti dei membri della gang, che svilupparono così un’alchimia e un tangibile senso di camaraderie, e dall’altra Paddy Considine (Richard) e Toby Kebbell (Anthony), deliberatamente separati dal resto del cast, in modo che potessero sviluppare una relazione fraterna. “Paddy era determinato nel distanziarsi dagli altri attori, perché doveva essere in grado di odiarli intensamente, cosa che sarebbe stata impossibile se li avesse conosciuti di persona”.

Il cinema di Shane Meadows è quindi pervaso da un fortissimo senso della memoria, di esperienze vere e personali che vengono trasposte sul grande schermo ma che sono simbolo di situazioni sociali, economiche, culturali delle Midlands: dalla particolarità dell’uomo (in questo caso il regista) alla Storia, tale è il dualismo che emerge dalle sue pellicole. E non è sempre confortante o semplice guardare i suoi film: c’è sempre un disagio di sottofondo che vibra nel corso delle varie scene. Combinazioni di colori, colonna sonora, sceneggiatura, inquadrature che raccontano una storia ma nello stesso tempo procurano un profondo sentimento di inquietudine nello spettatore.

L’edizione Dvd di This is England, edita da Officine Ubu, presenta una serie di contenuti speciali che arricchiscono la visione del film e ne sviscerano molti aspetti, dal punto di vista tecnico ma soprattutto contenutistico; è possibile visionare infatti le scene tagliate della pellicola, alcune delle quali di grande valore – in particolare una sequenza in cui avviene un ultimo dialogo tra Combo a Shaun, all’interno dell’automobile ricoperta del sangue di Milky (un possibile parallelismo rispetto ad un precedente dialogo fra gli stessi due personaggi, in un’ideale “chiusura del cerchio”).

Fra gli extra c’è inoltre un dietro le quinte molto interessante, nel quale è descritto il lavoro sul set, il processo di creazione e sviluppo di una scena e il confronto tra il regista Meadows e i suoi attori, fondamentale per arrivare al risultato finale: molto toccante il rapporto tra gli attori che interpretano Combo e Shaun, perché il primo rassicura il giovanissimo interprete nel momento in cui dev’essere filmata una sequenza di violenza verbale e fisica (la scena dell’attacco al negozio pakistano). Le due interviste al regista aiutano lo spettatore a cogliere l’ispirazione e il messaggio del film, oltre ad inquadrare il lavoro di Meadows: la prima riguarda This is England e la sua esperienza personale di skinhead negli anni ’80.

La seconda intervista, più lunga ed ampia (49 minuti), rilasciata al British Film Institute, abbraccia tutta l’opera di Meadows ed approfondisce la sua tecnica, il suo modo di lavorare sul set, e comprende degli aneddoti sulla scelta degli attori. Interessante anche l’intervista a Mark Herbert, sceneggiatore del film che ha lavorato a stretto contatto con Meadows. Infine una photogallery raccoglie gli scatti più belli ed iconici del film, tutti denotati da un’ottima fotografia e da efficaci effetti cromatici. Nell’edizione Dvd di Dead man’s shoes sono presenti invece il trailer ufficiale del film e una photogallery. Il doppiaggio italiano è notevole e riesce a riportare la ruvidità e freschezza dell’originale, con quelle pennellate di toni minacciosi e toni comici che contraddistinguono la pellicola.


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