Ettore Scola se ne è andato martedì scorso. Personalmente giungo con questo ricordo per ultimo, una scelta, anche per esimermi, in fondo, dal piangerlo in diretta. Bisogna solo ricordare che la grande stagione che il cinema italiano ha vissuto passa anche attraverso il cinema di Ettore Scola. Sin dai suoi primissimi lavori come sceneggiatore (Scola è stato un ottimo sceneggiatore, ma anche un ottimo vignettista ed un ottimo disegnatore di giornali umoristici), pensiamo a titoli come Un americano a Roma di Steno, Lo scapolo di Antonio Pietangeli, Il carabiniere a cavallo di Carlo Lizzani, Il sorpasso di Dino Risi, Anni ruggenti di Luigi Zampa, La marcia su Roma di Dino Risi, I mostri di Dino Risi, Io la conoscevo bene di Antonio Pietrangeli, film storicamente riconosciuti quali portabandiera della commedia all’italiana, Scola è rimasto certamente una personalità vertice e fondamentale di quel genere importante (e sempre invidiato all’estero) per la cinematografia italiana. Scola ricordava che in realtà aveva iniziato come negretto, scrivendo per altri senza apparire. Aveva dei grandi modelli, certamente, Fellini e Pasolini su tutti, ma anche Amidei, Zavattini, però, in realtà, in quei tempi scriveva, senza avvertire la puzza sotto il naso, come la scuola di pensiero dell’epoca invece aveva e voleva, sketch per Totò, Macario, Tino Scotti, Alberto Sordi. Fondamentale è stata, in ogni caso, per Scola, la grande scuola del Marc’Aurelio, giornale satirico tra i più ispirati, vissuto tra il ventennio fascista ed il dopoguerra, dove il giovanissimo Scola aveva avuto l’opportunità di crescere tra le menti più intellettive della satira e del grottesco migliore come Gioacchino Colizzi detto Attalo, Stefano Vanzina detto Steno, Giovanni Mosca, Vittorio Metz, Marcello Marchesi, Furio Scarpelli, Agenore Incrocci detto Age, Federico Fellini, Ruggero Maccari.
La sua attività di regista, in seguito, sarà fondamentale per il cinema italiano: con il suo film C’eravamo tanto amati, la commedia all’italiana ha raggiunto, pensiamo, la massima espressione. Se I soliti ignoti di Mario Monicelli, girato nel 1959, è considerato come il film che ha aperto, con quel senso netto di realismo e tragedia, la grande parentesi della stagione della commedia all’italiana, con La terrazza, girato nel 1982, Ettore Scola ha definitivamente concluso quella esperienza. Ed oggi lo stesso Scola, attraverso le sue ultime apparizioni pubbliche, non perdeva occasione di decretare un po’ quella che è anche la fine del cinema italiano, di un certo cinema certamente, vista la difficoltà dei posteri, tutto sommato, a creare e definire nel tempo, nuovi movimenti. Infatti le parole di Scola suonavano come pure avvisaglie di un sincero e netto, e forse nemmeno tanto dispiaciuto, disagio verso il cinema italiano. Ma Ettore Scola, incalzato, anche recentemente, di fronte alla domanda specifica rispondeva: “no, no, nessun disagio e nessun diniego, semplicemente ho smesso di fare il cinema”. I lettori perdoneranno adesso la parentesi assolutamente personale perché Ettore Scola rimane per il cronista un’autentica solenne passione, umana e cinematografica: il suo Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?, ad esempio, rappresenta per il cronista la scoperta del cinema italiano più autentico e più ispirato, al di là dei grandi film del genere western, spy-story, mitologici, avventurosi, fantascientifici, farseschi, comici, musicali che sino ad allora lo avevano, nei gloriosi anni della sua adolescenza, letteralmente affascinato. Dopo, invece, con Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca), si è aperta, per il cronista, quella che lui considera, ancora oggi, come la grande stagione del cinema importante, questo perché dopo gli era accaduto di stare seduto in platea, assolutamente ammirato, a condividere pellicole come Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri, Uomini contro di Francesco Rosi, Il giardino dei Finzi Contini di Vittorio De Sica, Sacco e Vanzetti di Giuliano Montaldo, Roma bene di Carlo Lizzani, La violenza quinto potere di Florestano Vancini, Girolimoni di Damiano Damiani. E sempre Dramma della gelosia ad esempio è in qualche modo anche all’origine dell’impegno politico del cronista.
Ettore Scola aveva risposto così al proposito, in un incontro a Fondi, nell’ambito di un convegno voluto dall’ associazione Giuseppe De Santis, dove si ripercorsero magistralmente la storia del novecento attraverso il cinema: “Si, io credo che il cinema italiano, un certo cinema italiano, è stato molto vicino alla politica italiana, almeno ad una certa politica. Ad esempio quando per Dramma della gelosia dovevo girare la scena del comizio, ricordo il periodo della lavorazione come un periodo di elezioni e c’erano quindi in giro parecchi comizi, io ho preferito aspettare quello del partito comunista, e proprio quello di Pietro Ingrao in Piazza San Giovanni a Roma, non solo perché ho sempre percepito nel partito comunista una vicinanza ideale ma perché ho sempre pensato a Pietro Ingrao, in primo luogo, come al politico più vicino ai drammi della povera gente”. Rivelatrice, in questo senso, rimane la sequenza in cui troviamo il muratore Oreste Nardi, il personaggio interpretato da Marcello Mastroianni, ridotto ormai in uno stato pietoso di alienazione e depressione per via del tradimento della sua donna, la fioraia Adelaide Ciafrocchi, interpretata da Monica Vitti. La scena vedeva Oreste che si trascinava via come uno straccio, offeso ed indifeso, verso la piazza del comizio del suo partito comunista, continuando a chiedersi, anche, perché il suo partito non si interessava affatto alla sua vicenda di corna. Ma usiamo le parole contestuali di Scola, pronunciate quel giorno: “Oreste-Mastroianni inseguiva un’idea di partito proprio totalizzante, come era poi davvero il partito comunista degli anni sessanta, che non si fermava solo alla prestazione politica, ma con il suo sostegno voleva entrare anche nella vita delle famiglie”. La sequenza proseguiva con il segretario della sezione romana del partito che, vedendo Oreste così afflitto, continuava a chiedergli come stava in quel preciso momento. “Ma non sto bene per niente…” rispondeva Mastroianni ed il segretario di rimando; “senti Pietro, adesso…dai”, “si, si, sento Pietro” rispondeva con fiducia Oreste. Il deputato al parlamento italiano Pietro Ingrao, nel film di Scola, veniva chiamato semplicemente Pietro, e questo, anche se può apparire alquanto bizzarro o ininfluente, si è rivelato un viatico forte per il giovane cronista a fare si che il suo impegno politico si concretizzasse definitivamente.
In contesto ancora le parole di Scola a Fondi: “la commedia all’italiana, quella a cui noi abbiamo dato il nostro contributo, continuando certo, in qualche maniera, il lavoro già cominciato dai grandi del neorealismo, era una commedia non priva di tentativi di indagini e di critica, a volte indulgente, ed a volte al vetriolo, verso quella che era un po’ l’organizzazione sociale nazionale, il mondo politico, la chiesa, la polizia, i militari, la giustizia. Nessuno di questi argomenti è stato evitato dal nostro cinema. Le nostre sceneggiature duravano anni di lavoro, mentre leggo con piacere che oggi i giovani sceneggiatori impiegano non più di un mese a risolvere una sceneggiatura. I tempi si sono quindi, come dire, accorciati. Dopodiché, cioè di film in film, in fondo, siamo scivolati in quello che è diventato un po’ anche il racconto cinematografico dell’identità italiana…”.
Visto l’accenno di Scola al neorealismo italiano, al cinema inteso anche come un fermento politico, la domanda di rimbalzo è stata: “quando è scoccato il momento in cui il cinema diventa interprete, in fondo, di lotte sociali e di sentimenti patriottici o di rivolta, che sicuramente avevano poco a che fare con il cinema, almeno con l’idea di cinema intesa nel periodo?”. Ettore Scola così rispondeva: “non penso che ci sia stato un periodo determinato. Voglio dire che è difficile individuare un film, una sequenza, in cui il linguaggio è cambiato, rispetto a quello che era prima, e che ha portato all’innovazione. Io credo che il cinema, in questo senso, sia stato un lungo percorso, di cui noi abbiamo goduto e nutrito un pensiero, culminato poi nel decisivo movimento del neorealismo. Se il cinema fosse rimasto soltanto quello dei telefoni bianchi o quello delle commedie ungheresi credo che non sarebbe entrato, come invece ha fatto, nel contesto della storia. Credo fermamente che ognuno ha portato il suo mattone per costruire questa nuova diga. Certo senza Chaplin, sicuramente non si sarebbe arrivati a certe coscienze, senza Eizenstein, senza Rossellini, senza De Sica, Zavattini, Amidei, senza tutti quelli che hanno lavorato mettendoci dentro, non soltanto la passione per il cinema, ma questa voglia e questo pensiero di rivolta per cambiare qualcosa. E questo ha portato i suoi frutti, il cinema è diventato un’espressione ed uno strumento di grande e fondamentale lotta sociale”. Oggi Scola riconosceva di non avere più idee per il cinema, anzi precisava: “le idee ci sono, però, purtroppo, non hanno più niente a che fare con il cinema”. Purtroppo, e lo abbiamo subito pensato, anche nell’ultima occasione di incontro a Fondi, solo lo scorso settembre, quando Scola ha voluto rispondere come sempre “si” all’invito di Marco Grossi e Virginio Palazzo, le menti preziose del FondiFilmFestival, e di portare, questa volta, il suo contributo al quarantennale della morte di Pier Paolo Pasolini, che il festival aveva voluto celebrare. A Fondi Scola era molto attaccato e per Fondi si stava adoperando, in questi suoi ultimi tempi, insieme al resto dell’ Associazione Giuseppe De Santis, per il progetto del Museo del Neorealismo, che da anni attende di essere concretizzato, proprio nella terra che fu di uno dei padri del neorealismo, il regista Giuseppe De Santis. Piace ora, proprio per un estremo dono al regista, ricordare le parole dell’ Assessore alla Cultura della Regione Lazio, Lidia Ravera, che lo aveva incontrato solo un paio mesi addietro: “Era venuto per mettere a punto il percorso che doveva portare all’apertura del Museo del Neorealismo a Fondi, patria di un altro gigante del cinema italiano, Giuseppe De Santis. E’ venuto lui, personalmente, stanco ma spiritoso come sempre, come sempre benedetto da quella leggerezza di tocco, da quella spontaneità di eterno ragazzo che si portava addosso”. Le parole poi concludono un impegno diretto, una promessa dell’Assessore Lidia Ravera ad Ettore: “Lo apriremo, caro Ettore, il Museo del Neorealismo. Lo apriremo presto. A Fondi, nel parco regionale dei monti Ausoni, nell’ex convento di San Domenico. Sarà un luogo di incontro, di studio, di scambio, dio memoria del cinema passato, di elaborazione del cinema futuro. Sarà bello. E parlerà di te”. Grazie Assessore Lidia Ravera.
Invece noi, oggi non possiamo non avvertire, guardando ancora alla filmografia di Ettore Scola, la sensazione assoluta di essere rimasti sempre più poveri e sempre più dimenticati. A menadito, semplicemente: Se permettete parliamo di donne, Thrilling (episodio Il vittimista), L’ Arcidiavolo, Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa, Il commissario Pepe, Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca), Permette? Rocco Papaleo, La più bella serata della mia vita, Trevico-Torino: viaggio nel Fiat-nam, C’eravamo tanto amati, Brutti, sporchi e cattivi, Signore e signori buonanotte, Una giornata particolare, I nuovi mostri, La terrazza, Passione d’amore, Il mondo nuovo, Ballando ballando, Maccheroni, La famiglia, Splendor, Che ora è, Il viaggio di Capitan Fracassa, Mario, Maria e Mario, Romanzo di un giovane povero, La cena, Concorrenza sleale, Gente di Roma, Che strano chiamarsi Federico.
Giovanni Berardi