Cesare Zavattini (Luzzara, 20 settembre 1902 – Roma, 13 ottobre 1989) è stato tra i più grandi sceneggiatori che il cinema italiano abbia mai avuto, grazie a lui l’Italia ha scoperto “l’attualità” anche nei film. Capolavori come Ladri di biciclette, Umberto D., I bambini ci guardano, Quattro passi tra le nuvole, Sciuscià, Miracolo a Milano, portano la sua firma di sceneggiatore. Sono di estremo interesse le sue riflessioni sul cinema, le quali ci fanno comprendere meglio anche la stagione neorealista e le sue origini. Il nostro cinema, grazie alla guerra, ha scoperto la quotidianità, la fame, la miseria e lo sfruttamento. Ciò che permetteva di scoprire l’attualità era, come lo definiva lo stesso Zavattini, lo “spirito d’inchiesta”, che ci permette di analizzare dietro un episodio o anche un semplice oggetto.
La caratteristica più importante del Neorealismo, secondo Zavattini, è quella di essersi accorto che la necessità della storia non era altro che un modo inconscio di nascondere una nostra sconfitta umana e che l’immaginazione si occupava di sovrapporre degli schemi morti a dei fatti socialmente vivi. Ma non bisogna meravigliarsi se il cinema ha sempre sentito l’urgenza naturale di una storia da inserire nella realtà, per renderla più appetibile e appassionante per lo spettatore che spesso vuole evadere dalla realtà. Ma la realtà, afferma Zavattini, è enormemente ricca , basta saperla guardare.
Secondo lo sceneggiatore di Luzzara, il compito dell’artista non è quello di portare l’uomo ad indignarsi e a commuoversi per dei traslati, ma quello di portarlo a riflettere sulle cose che fa e che gli altri fanno, sulle cose reali. Dice lo stesso Zavattini durante una conversazione con il regista Michele Gandin per conto della “Rivista del cinema italiano”, poi riportata nel libro di Zavattini, Dal soggetto alla sceneggiatura, come si scrive un capolavoro: Umberto D. del 2005: “Per me si tratta di una conquista enorme. Vorrei esserci arrivato molti anni prima. Invece ho fatto questa scoperta solo alla fine della guerra. Si tratta di una scoperta morale, di un richiamo all’ordine. Ho visto finalmente cosa avevo davanti e ho capito che tutto quello che si faceva evadendo dalla realtà era un tradimento”. Da un’inconsapevole sfiducia nella realtà, quindi si passa ad una fiducia sconfinata nei fatti e negli uomini, ciò comporta la necessità di andare a fondo nelle cose, di scavare di conferire potenza alla realtà, questo è il neorealismo, il quale si differenzia profondamente dal cinema americano come spiega acutamente Zavattini. Al cinema italiano, nota lo sceneggiatore, interessa la realtà confinante con noi stessi, e ci interessa conoscerla direttamente, gli americani, invece, si interessano ad una conoscenza edulcorata. Per questo motivo nel nostro cinema non si è mai potuto parlare di una crisi di soggetti, poiché da noi non c’è mai stata carenza di realtà; pensata una scena, si sente l’esigenza di rimanere in quella scena perché in essa ci sono infinite possibilità di creare nuovi spettacoli, ogni momento della nostra vita quotidiana, secondo Zavattini, contiene da solo materia sufficiente per fare un film.
Il neorealismo nasce da un impulso morale e Zavattini è convinto che il mondo vada male perché non si conosce a fondo la realtà, bisogna avere attenzione sociale e la vera funzione del cinema, secondo Zavattini, non è raccontare favole, ma quella di esprimere la necessità del loro tempo. Senza dubbio vi sono modi favolosi di analizzare la realtà ma anch’essi sono delle espressioni naturali. Il cinema, da questo punto di vista, ha un grandissimo potere da cui deriva anche una responsabilità non indifferente, prima di tutto bisogna cercare di rendere perfetto ogni fotogramma, o meglio penetrare nella quantità e nella qualità della realtà.
Zavattini ritiene che bisogna rendere il discorso elementare, prendiamo ad esempio il capolavoro Ladri di biciclette: il bambino segue il padre lungo la strada, ad un certo punto sta per andare sotto un’automobile, ma il padre non se ne accorge nemmeno. Questo è un episodio inventato, come spiega Zavattini, ma inventato con l’intenzione di inventare un fatto quotidiano, minimo, ma carico di vita. I film neorealisti contengono alcune cose di una poesia e significatività assoluta che non escludono una dimensione psicologica, altro dato della realtà, secondo lo sceneggiatore che pone un’ altra importante questione, quella relativa alla povertà raccontata nei suoi film. Si sa che il neorealismo descrive la miseria ma secondo Zavattini credere o fingere che con una mezza dozzina di film sulla povertà il tema sia stato esaurito, è un grosso errore. Tale tema bisogna essere scandito in tutti i suoi dettagli poiché in caso contrario si rifiuta di conoscere la realtà.
Zavattini cerca anche di dare delle risposte a continui interrogativi, ponendo un’urgenza, ma non spetta a lui indicare la soluzione. Ciò che fanno i suoi film è chiamare in causa lo spettatore.
Per Zavattini il cinema ha un valore formativo culturale importantissimo, non può e non deve essere solo svago; esso deve creare la storia guardando alla contemporaneità, lasciando che lo spazio tra vita e spettacolo diventi nulla, poiché siamo tutti dei personaggi e Zavattini non ha mai fatto mistero di mal sopportare gli eroi. La poesia quindi bisogna farla sulla realtà, sulla bellezza sociale e sul suo approfondimento, aspetto che molto spesso gli sceneggiatori trascurano.