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Il cinese in pigiama.

Creato il 18 luglio 2013 da Gianlucaweast @gianlucaweast
Uno torna a casa tardi - si fa per dire - dall'inaugurazione di un'esposizione di fotografie. E siccome si è alzato un vento che ti viene addosso come una doccia fresca che sa di menta, si ferma a bersi una birra. E a farsi due sigarette. È uno di quei momenti che, per come gira il mondo, sai che qualcosa succederà. Una coppia si siede al tavolino. Lei si mette la borsetta sulle ginocchia, apre la cerniera, e tu che sei lì seduto a berti la birra sei investito dalla certezza che sta per svuotarla. Tutta. Non sei dotato di poteri paranormali, del tipo che leggi nella testa della ragazza. È soltanto che lui, il suo accompagnatore, le chiede un fazzoletto di carta. Quel genere di uomini che girano senza fazzoletti. Inizia una minuziosa operazione di svuotamento della borsetta. Escono, per prime, le cuffiette di un iPhone, intrecciate come amanti che aspettavano da una vita di poterlo fare. Dei cerotti. Caramelle. Due accendini. Una torcia elettrica mini. Un taccuino. Un paio di calzini a scomparsa. Monetine. La plastica accartocciata di un pacchetto di sigarette. Una sigaretta. Chiavi. Un autoadesivo con scritto "I love it...". Un paio d'occhiali. Ho l'impressione che la ragazza non stia svuotando la borsetta: sta togliendosi degli organi vitali. Uno dopo l'altro. Indispensabili nella ridondanza, nella quantità. Il fazzoletto, eccolo! Glielo passa, a lui che le sta davanti senza capire che lei - lei! - aveva appena spalancato un mondo paradisiaco che si rivelava nell'istante e nella sua irripetibilità. Lui si soffia il naso, devo dire male, molto male. Se lo soffia senza carattere: vergognandosi... Il cameriere gli porta un gelato al cioccolato, lei rifiuta il tè freddo, aveva chiesto un succo di mele. A lui cade un pezzo di gelato sulla camicia, un lungo e pigro filamento. Riprende il fazzoletto e ripara il riparabile. Non puoi uscire con un uomo che a mezzanotte mangia un gelato al cioccolato, cristo!
E subito, nell'istante che si sovrappone, eccolo: il cinese in pigiama. Non sono sicuro che abbia aperto la porta a vetri dell'albergo accanto alla terrazza del caffè nel quale sono seduto: l'ha attraversata, smaterializzando la sua magrezza. Dalla tasca destra del pigiama prende una sigaretta e l'accende. Il vento solleva la stoffa a quadretti bianchi e verde scuro sbattendogliela addosso. E la stoffa fa un rumore quasi impercettibile come di un foglio di giornale lasciato sul catrame. Ci sono soltanto ossa sotto quella stoffa. E fuma, una lunga sigaretta bianca. Gli occhi, dietro gli occhiali grandi, guardano nella notte. Passano tre, quattro persone, una ragazza rincorre l'orario dell'ultimo treno forse già in partenza, e il rumore delle sue ballerine ricorda l'applauso battuto dalle mani di un nano: la tenerezza e l'affanno.
Il cinese in pigiama fuma. E rifuma. E si guarda in giro come fosse in pieno centro di Londra infilato dentro uno smoking. Provo a immaginarmi la sua vita. Troppo tardi. La ragazza ha rimesso a posto i suoi organi, resteranno in ordine per qualche ora, sicuro fino a domani mattina, e compieranno il loro dovere riempiendola di vita. Lui ha finito il gelato. E - non ci crederete - riprende il fazzoletto di carta e se lo passa sulle labbra (ma davvero con uno così non esci!). Lei ha la pelle ricamata di lentiggini che ora le mandano inquieti segnali in codice: "vattene, sei ancora in tempo!".
Giro lo sguardo sul cinese in pigiama, che ha appena buttato la sigaretta facendola roteare a dieci metri di distanza. Sparisce. Non ho dubbi, questa volta: ha davvero attraversato il muro, rientrando in albergo. Sarà già in camera, ormai, magro com'è, così leggero. Col pigiama senza peso steso lungo e tirato sulle sue ossa. Senza peso anch'esse.
Vedi, la vita in fondo è anche questa. Io te la racconto. So che mi ascolti.

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