Un’estate mio padre mi disse: “Giovanni, stai attento che nessun animale entri nell’orto a mangiare le verdure e le patate.”
Una mattina all’alba vidi un grosso cinghiale che stava entrando nell’orto. Gli sparai subito una fucilata perché volevo eliminare, una volta per tutte, l’animale che distruggeva da tempo il mio orto.
Non lo uccisi come avevo sperato ma lo ferii.
Il cinghiale ferito iniziò una carica verso di me, voleva a sua volta ferirmi.
Preso dalla paura gli sparai una seconda fucilata con la bacchetta ancora nella canna , non avevo fatto in tempo a completare il caricamento del fucile.
Il cinghiale, sentendosi colpito per la seconda volta anche dalla bacchetta che si era piantata nel suo corpo, si buttò tra i cespugli e si diede alla fuga.
Passò un anno.
Un giorno mentre stavo girando per la mia campagna vidi tra gli alberi un albero di fico che non avevo mai visto prima in quel luogo, mi arrampicai sull’albero e iniziai a mangiare i fichi maturi.
Mentre stavo mangiando i fichi maturi sentii l’albero muoversi, guardai verso il basso domandandomi perché l’albero di fichi si stesse muovendo.
Con mia grande sorpresa vidi che l’albero di fichi era radicato sul corpo di un grosso cinghiale.
Dopo un momento di sorpresa e di domande mi ricordai che, qualche tempo prima, avevo sparato a un cinghiale mentre stava entrando a mangiarsi gli ortaggi del mio orto. Gli avevo sparato insieme alla palla di piombo anche la bacchetta che era di legno di fico. La bacchetta di legno di fico non era andata persa, aveva messo radici sul corpo del cinghiale, era diventata albero e aveva fatto il frutto.
Ancora oggi in Maremma i contadini e tutti i pastori vedono il cinghiale fico attraversare i campi di grano maturo quando c’è la luna piena alta nel cielo.