Non ancora considerato un genio, ma già abbastanza celebre, Alfred Hitchcock si cimenta nei primi anni '30 con pellicole di genere diverso e dagli alterni risultati sia artistici che di botteghino. Si va, infatti, dalla commedia di stampo teatrale Giunone e il pavone (1930) all'avventuroso Ricco e strano (1932), fino ad arrivare al musicale Vienna di Strauss (1933) e a Numero 17 (1932), incursione nel mystery che, pur tra mille imperfezioni, di fatto rappresenta un punto di svolta per la carriera del regista, che, da lì in avanti, andrà sempre più perfezionando la sua idea di cinema.
Dopo il successo di pubblico (ma non di critica) della prima grottesca versione de L'uomo che sapeva troppo (1934), il trentaseienne cineasta decide di realizzare nel 1935 una nuova spy story dal ritmo frenetico ed incalzante in cui non manca quel tocco di humour già presente nelle sue opere precedenti: il celebre Il club dei 39, conosciuto in Italia anche come I 39 scalini, titolo del romanzo scritto nel 1915 da John Buchan da cui il soggetto del film è tratto.
Miscelando abilmente gli ingredienti del genere poliziesco con una narrazione brillante e ricca di risvolti buffi e farseschi, il maestro del brivido inglese riuscì a dare alla luce una storia di spionaggio che, con pàthos da feuilleton, presenta situazioni e atmosfere che ritroveremo ancora in opere come L'agente segreto (1936), Giovane e innocente (1937), Sabotatori (1942).
La storia parte dai presupposti più semplici ma efficaci: durante uno spettacolo in un music hall di Londra che prevede fra i vari numeri l'esibizione del celebre Mister Memoria (Wylie Watson), un uomo capace di memorizzare una quantità impressionante di informazioni, troviamo tra il pubblico il giovane turista canadese Richard Hannay (Robert Donat); poi, all'improvviso uno sparo ed in mezzo alla confusione generale Richard si ritrova ad offrire il suo aiuto ad una misteriosa e conturbante donna (Lucie Mannheim) che lo convince ad ospitarla nel suo appartamento. La donna afferma di chiamarsi Annabella e di aver lei stessa provocato intenzionalmente quel trambusto per disperdere la folla e sfuggire ai suoi pedinatori. Scopriamo così che Annabella è in realtà un agente segreto inglese che ha il compito di impedire ad una misteriosa organizzazione segreta chiamata "39 scalini" di contrabbandare informazioni vitali per la difesa nazionale.
Durante la notte, però, Richard trova la donna morta con un coltello conficcato nella schiena e un biglietto in mano che riporta solo il nome di una sconosciuta località sperduta nella brughiera scozzese. Incuriosito, spaventato ed accusato di omicidio, l'uomo inizia dunque ad investigare sull'esistenza di questa occulta confraternita, scoprendo ben presto l'esistenza di un micidiale complotto. Richard condivide, inizialmente suo malgrado, la sua avventura con Pamela (Madeleine Carroll), una giovane ragazza incontrata casualmente su un treno durante la fuga, dando vita ad un rapporto uomo-donna che, non privo di una sua carica erotica, supporta tutto il film.
Alle prese con modalità narrative a lui congeniali e aiutato dalla granulosa e torbida fotografia dell'operatore Bernard Knowles, qui alla sua prima collaborazione con Hitchcock, il futuro maestro del brivido dà alla luce una pellicola dai ritmi serrati e piena di suspense nella quale dramma, thriller e commedia si mescolano alla perfezione temperando in maniera magistrale le varie porzioni del racconto e decretando finalmente un pieno ed unanime successo di pubblico e di critica dopo anni di risultati altalenanti.
Con Il club dei 39 sembra infatti che Hitchcock sia finalmente riuscito a dosare efficacemente le proprie celebri prodezze tecniche e di messa in scena con un racconto capace di avvincere, sceneggiato abilmente dalla moglie Alma Reville e dallo scrittore Charles Bennett, nel quale sono presenti, per la prima volta in maniera calibrata e mai eccessiva dai tempi di Blackmail (1929) e Omicidio! (1930), i temi a lui più cari: l'innocente reso protagonista di un oscuro complotto; l'ambiguo ruolo delle forze dell'ordine che, anche involontariamente, ostacolano la ricerca della verità; lo spionaggio; le dinamiche della sessualità recondita.
Inoltre, seppur le nebbiose e cupe atmosfere dei paesaggi rurali scozzesi e le notturne scenografie cittadine aumentino a dismisura la tensione ed il senso di mistero che avvolge la vicenda, ispirandosi in parte anche all'estetica dell'espressionismo cinematografico, i sagaci scambi di battute e i dialoghi allusivi e ricchi di doppi sensi contribuiscono ad alleggerire il tono generale della pellicola e dimostrano la tendenza di Hitchcock a non prendersi mai troppo sul serio.
Numerosi sono poi i personaggi ed i momenti iconici del film diventati veri cult della storia del cinema, come ad esempio l'intrigante leader dell'organizzazione segreta a cui manca metà del mignolo, oppure la spassosa sequenza che vede Pamela e Richard arrestati e costretti a fuggire ammanettati assieme contro il volere della ragazza, per poi finire a passare forzatamente una notte in una locanda di campagna come finti sposi novelli, preludio del loro futuro innamoramento. Non dimentichiamoci inoltre i due momenti che aprono e chiudono il lungometraggio, entrambi ambientati in un teatro, dove la rappresentazione scenica ci fornisce la chiave di lettura per risolvere il mistero.
Il club dei 39 appartiene a pieno titolo alla fase più prolifica e feconda del periodo inglese del regista, una fase in cui le sceneggiature sono forse ancora acerbe e in fase di rodaggio ma le trovate tecniche abbondano senza esitazione, e in questo film in particolare vanno sicuramente segnalate le sequenze del viaggio in macchina in cui Pamela e Richard sono stati appena arrestati da falsi poliziotti e dove la macchina da presa, grazie ad un abile trucco di montaggio, passa agilmente dall'interno all'esterno della vettura in corsa, dando vita ad un risultato sorprendente per lo statico standard di ripresa del periodo, un'epoca in cui il sonoro era da pochi anni entrato stabilmente in uso e le ingombranti cineprese non permettevano di realizzare movimenti troppo elaborati.
Interessante sottolineare come la pellicola in Italia sia stata doppiata ben tre volte: in particolare, la prima versione altera sensibilmente il contenuto dei dialoghi in modo da attenuare i riferimenti antinazisti in un periodo in cui il regime fascista di Mussolini stava intessendo rapporti sempre più stretti con Hitler e dunque per non urtare la sensibilità degli alleati. Soltanto le edizioni successive riescono a restituire al film la sua forma originaria, ristabilendo, ad esempio, le giuste collocazioni geografiche (inizialmente stravolte con una improbabile ambientazione ai confini col Canada) e soprattutto riabilitando i fini giochi di erotismo e di provocazione sessuale di cui sono impregnate le schermaglie verbali fra Pamela e Richard.
Malgrado il passare del tempo e lo sviluppo frenetico dell'estetica cinematografica, Il club dei 39 mantiene ancora oggi a distanza di oltre ottant'anni dalla sua realizzazione una forza sorprendente e una freschezza inaudita. La pellicola ha anche ispirato due remake, il primo diretto da Ralph Thomas (1959) e il secondo da Don Sharp (1978), oltre a numerose discussioni fra i cinefili di tutto il mondo e fra coloro che amano le prime grandi opere di uno dei registi più importanti della storia della settima arte. Alfred Hitchcock è sempre una garanzia, anche e soprattutto in quei lavori che, forse non all'altezza dei suoi capolavori, ne rivelano già la sconfinata genialità.