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In seguito al suicidio della loro amica Cynthia (Stockard Channing), tre ex colleghe e amiche per la pelle in gioventù si incontrano al suo funerale: sono Brenda (Bette Midler), antenata di altre casalinghe disperate, Elise (Goldie Hawn), attrice di grido più rifatta che invecchiata, e Annie (Diane Keaton), donna complessata e vittima di madre, manie e psicanalista (Marcia Gay Harden). Mentore della loro ritrovata, e insperata, amicizia, l'anziana e raffinatissima Gunila (Maggie Smith) segue le loro vite e le loro disillusioni croniche nelle carriere e soprattutto nell'amore.
Niente sembra andare per il verso giusto: i compagni di queste tre donne sono tutti più o meno farfalloni e inaffidabili dongiovanni sedotti da bambole vuote e carine, ma c'è qualcosa che unisce Brenda, Elise e Annie: un'inarrestabile voglia di farcela, l'indubbia voglia di riscatto. Non a caso, colonna sonora più o meno esplicita di tutto il film, dai cenni delle prime sequenze all'esuberante trio finale, è You Don't Owe Me di Leslie Gore, canzone che promuove una fortissima emancipazione dallo strapotere maschile e che fu bandiera di molte battaglie per il femminismo. La stessa Leslie Gore, con alcuni suoi particolari biografici, entra a pieno titolo - se non tra i personaggi, almeno - tra le chiavi risolutive di questa commedia effervescente e molto, molto pop (quando non camp).
Il club delle prime mogli è, senz'altro, prevedibile e, sotto molti aspetti, banale. Però non manca di dare quel pizzico di spensieratezza e sano riscatto che talvolta ci vogliono per sconfiggere qualche ostinato malessere. Hugh Wilson non sfiora neanche le vette del film d'autore, tuttavia non si può negare alle tre protagoniste la padronanza della loro parte e di essere molto ben affiatate. Neanche la Manhattan che fa da sfondo alla sgangherata avventura di queste tre coraggiose donne riesce a elevare l'occasione a momento esemplare: la struttura de Il club delle prime mogli è quella di una catena di sketch ben congegnati e di sicuro successo, e d'altra parte non occorre rivederlo per accorgersi della pretestuosità di alcune scelte. Il pericolo di film come questo di Hugh Wilson sta nel nuocere proprio alla causa che legittimamente - e direi: doverosamente - intende patrocinare, ovvero nell'essere solo uno spassosissimo carnevale: spumeggiante, grintoso e subito insapore.
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