Ogni volta che il premier parla mi viene in mente quel film con Peter Sellers, Oltre il giardino. L’interpretazione delle espressioni montiane come frutto di ironia “inglese”, sagacia o enigmatica lungimiranza, rassomiglia molto all’equivoco per cui le frasi e i silenzi del giardiniere Chance, così straordinariamente banali e la clausura dentro un piccolo mondo, vengono prese dai potenti come segno di profondità e di compostezza. Così la goffaggine espressiva, la claustrofobia ideologica, l’arroganza di casta e l’astuzia bambinesca con cui si nega il furto della marmellata o l’errore nel compito, che sono le preoccupanti stigmate di Monti,vengono sollevate al livello di battuta, metafora, decisione: i media a servizio hanno dovuto dotarsi di robusti montacarichi.
Ma la somiglianza finisce qui, perché quello straordinario film è costruito attorno al contrasto fra l’innocenza inconsapevole del giardiniere e il cinismo come modo ‘essere del potere: così che la prima non può che stare a guardare e il secondo non può che interpretare l’idiozia come profezia. Il gioco a cui stiamo assistendo in questi mesi invece non ha nulla di innocente: è solo uno scontro tra cinismi diversi che seguono come bandiere i vari interessi e che certo non si fanno scrupolo di spacciare l’inadeguatezza in intelligenza o – per quanto riguarda altri – la palese malafede e il nascondimento come “prerogativa”.
Lo si è capito benissimo ieri quando Monti ha ripagato Napolitano ( e per estensione la casta politica) del posto ottenuto con il suo strenuo e semi patologico appoggio: non solo è sceso in campo nella battaglia per distruggere le telefonate con Mancino e chiudere un significativo spiraglio nelle trattative stato-mafia, ma anche per quella più generale volta liberare il potere politico dall’incubo di essere ascoltato. E’ peraltro evidente a tutti – ha detto –che nel fenomeno delle intercettazioni telefoniche si sono verificati e si verificano abusi”, per cui “è compito del governo prendere iniziative a riguardo”. Come sempre generico nel pensiero, ma concreto fino alla volgarità nei propri interessi.
Ora non è che proprio questo sia evidente a tutti: a fior di costituzionalisti non pare affatto e forse a Monti non guasterebbe una qualche lezione in questa materia. Ma insomma a una classe dirigente cialtrona sfugge del tutto che il vicolo imboccato da Napolitano e che oggi può contare sul tecnico che ha alzato agli onori di Palazzo Chigi, non è una questione – delicatissima, ma circoscritta – per tenere nascoste agli italiani le ambigue pressioni della presidenza su Palermo- E’ invece qualcosa che mette contro il Quirinale e la Corte che sono entrambi custodi della Costituzione, un fatto drammatico, anche se con un fondo di ridicolo perché si tratta di uno scontro fra magistrati di altissimo livello e un temporaneo inquilino del Colle che nemmeno è riuscito a superare l’esame per avvocato, nonostante diversi tentativi. Come fa notare Gustavo Zagrebelsky, in un appello al rinsavimento dello stizzoso vegliardo, la questione comunque vada a finire “sarebbe un fatto devastante, al limite della crisi costituzionale”. Il fatto che Monti si sia accodato alla manovra senza nemmeno pensare alle conseguenze o forse avendo in pectore l’idea che lo scasso costituzionale è ciò che ci vuole per procedere alla liquidazione finale di beni e diritii, dimostra che si può essere “giardinieri” senza innocenza.
E che dopo il bordello Berlusconi, siamo finiti in un club di scambisti.