Quando Stefano Roí compí i dodici anni, chiese in regalo a suo padre, capitano di maree padrone di un bel veliero, che lo portasse con sé a bordo.«Quando sarò grande» disse «voglio andar per mare come te. E comanderò delle naviancora pi’u’ belle e grandi della tua. »« Che Dio ti benedica, figliolo » rispose il padre. E siccome proprio quel giorno il suobastimento doveva partire, portò il ragazzo con sé. Era una giornata splendida di sole; e il mare tranquillo. Stefano, che non era mai statosulla nave, girava felice in coperta, ammirando le complicate manovre delle vele. E chiedeva di questo e di quello ai marinai che, sorridendo, gli davano tutte le spiegazioni. Come fu giunto a poppa, il ragazzo si fermò, incuriosito, a osservare una cosa chespuntava a intermittenza in superficie, a distanza di due-trecento metri, incorrispondenza della scia della nave.Benché il bastimento già volasse, portato da un magnifico vento al giardinetto, quellacosa manteneva sempre la distanza. E, sebbene egli non ne comprendesse la natura,aveva qualcosa di indefinibile, che lo attraeva intensamente.Il padre, non vedendo Stefano piú in giro, dopo averlo chiamato a gran voce invano,scese dalla plancia e andò a cercarlo.« Stefano, che cosa fai lí impalato? » gli chiese scorgendolo infine a poppa, in piedi,che fissava le onde.« Papà, vieni qui a vedere. »Il padre venne e guardò anche lui, nella direzione indicata dal ragazzo, ma non riuscí avedere niente.« C’è una cosa scura che spunta ogni tanto dalla scia » disse « e che ci viene dietro. »« Nonostante i miei quarant’anni » disse il padre « credo di avere ancora una vistabuona. Ma non vedo assolutamente niente. »Poiché il figlio insisteva, andò a prendere il cannocchiale e scrutò la superficie del mare,in corrispondenza della scia. Stefano lo vide impallidire.« Cos’è? Perché fai quella faccia? »« Oh, non ti avessi ascoltato » esclamò il capitano. « Io adesso temo per te. Quellacosa che tu vedi spuntare dalle acque e che ci segue, non è una cosa. Quello è uncolombre. E’ il pesce che i marinai sopra tutti temono, in ogni mare del mondo. E’ unosqualo tremendo e misterioso, piú astuto dell’uomo. Per motivi che forse nessunosaprà mai, sceglie la sua vittima, e quando l’ha scelta la insegue per anni e anni, peruna intera vita, finché è riuscito a divorarla. E lo strano è questo: che nessuno riesce ascorgerlo se non la vittima stessa e le persone del suo stesso sangue. »« Non è unafavola? »«No. Io non l’avevo mai visto. Ma dalle descrizioni che ho sentito fare tante volte, l’hosubito riconosciuto. Quel muso da bisonte, quella bocca che continuamente si apre echiude, quei denti terribili. Stefano, non c’è dubbio, purtroppo, il colombre ha scelto te efinché tu andrai per mare non ti darà pace. Ascoltami: ora noi torniamo subito a terra,tu sbarcherai e non ti staccherai mai piú dalla riva, per nessuna ragione al mondo. Melo devi promettere. Il mestiere del mare non è per te, figliolo. Devi rassegnarti. Delresto, anche a terra potrai fare fortuna.» Ciò detto, fece immediatamente invertire la rotta, rientrò in porto e, coi pretesto di un improvviso malessere, sbarcò il figliolo.Quindi ripartí senza di lui.Profondamente turbato, il ragazzo restò sulla riva finché l’ultimo picco dell’alberaturasprofondò dietro l’orizzonte. Di là dal molo che chiudeva il porto, il mare restòcompletamente deserto. Ma, aguzzando gli sguardi, Stefano riuscí a scorgere unpuntino nero che affiorava a intermittenza dalle acque: il “suo” colombre, che incrociavalentamente su e giú, ostinato ad aspettarlo.Da allora il ragazzo con ogni espediente fu distolto dal desiderio del mare. Il padre lomandò a studiare in una città dell’interno, lontana centinaia di chilometri. E per qualchetempo, distratto dal nuovo ambiente, Stefano non pensò piú al mostro marino. Tuttavia,per le vacanze estive, tornò a casa e per prima cosa. appena ebbe un minuto libero, siaffrettò a raggiungere l’estremità del molo, per una specie di controllo, benché in fondolo ritenesse superfluo. Dopo tanto tempo, il colombre, ammesso anche che tutta lastoria narratagli dal padre fosse vera, aveva certo rinunciato all’assedio.Ma Stefano rimase là, attonito, col cuore che gli batteva. A distanza di due-trecentometri dal molo, nell’aperto mare, il sinistro pesce andava su e giú, lentamente, ognitanto sollevando il muso dall’acqua e volgendolo a terra, quasi con ansia guardasse seStefano Roi finalmente veniva.Cosí, l’idea di quella creatura nemica che lo aspettava giorno e notte divenne perStefano una segreta ossessione. E anche nella lontana città gli capitava di svegliarsi inpiena notte con inquietudine. Egli era al sicuro, sí, centinaia di chilometri lo separavanodal colombre. Eppure egli sapeva che, di là dalle montagne, di là dai boschi, di là dallepianure, lo squalo era ad aspettarlo. E, si fosse egli trasferito pure nel piú remotocontinente, ancora il colombre si sarebbe appostato nello specchio di mare piú vicino,con l’inesorabile ostinazione che hanno gli strumenti del fato.Stefano, ch’era un ragazzo serio e volonteroso, continuò con profitto gli studi e, appenafu uomo, trovò un impiego dignitoso e rimunerativo in un emporio di quella città. Intantoil padre venne a morire per malattia, il suo magnifico veliero fu dalla vedova venduto e ilfiglio si trovò ad essere erede di una discreta fortuna. Il lavoro, le amicizie, gli svaghi, iprimi amori: Stefano si era ormai fatto la sua vita, ciononostante il pensiero delcolombre lo assillava come un funesto e insieme affascinante miraggio; e, passando igiorni, anziché svanire, sembrava farsi piú insistente.Grandi sono le soddisfazioni di una vita laboriosa, agiata e tranquilla, ma ancora piúgrande è l’attrazione dell’abisso. Aveva appena ventidue anni Stefano, quando, salutatigli amici della città e licenziatosi dall’impiego, tornò alla città natale e comunicò allamamma la ferma intenzione di seguire il mestiere paterno. La donna, a cui Stefano nonaveva mai fatto parola del misterioso squalo, accolse con gioia la sua decisione.L’avere il figlio abbandonato il mare per la città le era sempre sembrato, in cuor suo, untradimento alle tradizioni di famiglia.E Stefano cominciò a navigare, dando prova di qualità marinare, di resistenza allefatiche, di animo intrepido. Navigava, navigava, e sulla scia del suo bastimento, digiorno e di notte, con la bonaccia e con la tempesta, arrancava il colombre. Egli sapevache quella era la sua maledizione e la sua condanna, ma proprio per questo, forse, nontrovava la forza di staccarsene. E nessuno a bordo scorgeva il mostro, tranne lui.« Non vedete niente da quella parte? » chiedeva di quando in quando ai compagni,indicando la scia. « No, noi non vediamo proprio niente. Perché? » « Non so. Mipareva… »« Non avrai mica visto per caso un colombre » facevano quelli, ridendo e toccandoferro.« Perché ridete? Perché toccate ferro? »« Perché il colombre è una bestia che non perdona. E se si mettesse a seguire questanave, vorrebbe dire che uno di noi è perduto. »Ma Stefano non mollava. La ininterrotta minaccia che lo incalzava pareva anzimoltiplicare la sua volontà, la sua passione per il mare, il suo ardimento nelle ore di lottae di pericolo.Con la piccola sostanza lasciatagli dal padre, come egli si sentí padrone del mestiere,acquistò con un socio un piccolo piroscafo da carico, quindi ne divenne il soloproprietario e, grazie a una serie di fortunate spedizioni, poté in seguito acquistare unmercantile sul serio, avviandosi a traguardi sempre piú ambiziosi. Ma i successi, e imilioni, non servivano a togliergli dall’animo quel continuo assillo; né mai, d’altra parte,egli fu tentato di vendere la nave e di ritirarsi a terra per intraprendere diverse imprese.Navigare, navigare, era il suo unico pensiero. Non appena, dopo lunghi tragitti, mettevapiede a terra in qualche porto, subito lo pungeva l’impazienza di ripartire. Sapeva chefuori c’era il colombre ad aspettarlo, e che il colombre era sinonimo di rovina. Niente.Un indomabile impulso lo traeva senza requie, da un oceano all’altro.Finché, all’improvviso, Stefano un giorno si accorse di essere diventato vecchio,vecchissimo; e nessuno intorno a lui sapeva spiegarsi perché, ricco com’era, nonlasciasse finalmente la dannata vita del mare. Vecchio, e amaramente infelice, perchél’intera esistenza sua era stata spesa in quella specie di pazzesca fuga attraverso imari, per sfuggire al nemico. Ma piú grande che le gioie di una vita agiata e tranquillaera stata per lui sempre la tentazione dell’abisso.E una sera, mentre la sua magnifica nave era ancorata al largo dei porto dove era nato,si sentì prossimo a morire. Allora chiamò il secondo ufficiale, di cui aveva grandefiducia, e gli ingiunse di non opporsi a ciò che egli stava per fare. L’altro, sull’onore,promise.Avuta questa assicurazione, Stefano, al secondo ufficiale che lo ascoltava sgomento,rivelò la storia del colombre, che aveva continuato a inseguirlo per quasi cinquant’anni,inutilmente.« Mi ha scortato da un capo all’altro del mondo » disse « con una fedeltà che neppure ilpiú nobile amico avrebbe potuto dimostrare. Adesso io sto per morire. Anche lui,ormai, sarà terribilmente vecchio e stanco. Non posso tradirlo. »Ciò detto, prese commiato, fece calare in mare un barchino e vi sali, dopo essersi fattodare un arpione. « Ora gli vado incontro » annunciò. « E’ giusto che non lo deluda. Malotterò, con le mie ultime forze. » A stanchiFonti:(continuazione) colpi di remi, si allontanò da bordo. Ufficialie marinai lo videro scomparire laggiú, sul placido mare, avvolto dalle ombre della notte.C’era in cielo una falce di luna.Non dovette faticare molto. All’im’provviso il muso orribile del colombre emerse difianco alla barca.« Eccomi a te, finalmente » disse Stefano. « Adesso, a noi due! » E, raccogliendo lesuperstiti energie, alzò l’arpione per colpire.« Uh » mugolò con voce supplichevole il colombre « che lunga strada per trovarti.Anch’io sono distrutto dalla fatica. Quanto mi hai fatto nuotare. E tu fuggivi, fuggivi. Enon hai mai capito niente. » « Perché? » fece Stefano, punto sul vivo. « Perché non tiho inseguito attraverso il mondo per divorarti, come pensavi. Dal re del mare avevoavuto soltanto l’incarico di consegnarti questo. » E lo squalo trasse fuori la lingua,porgendo al vecchio capitano una piccola sfera fosforescente.Stefano la prese fra le dita e guardò. Era una perla di grandezza spropositata. E luiriconobbe la famosa Perla del Mare che dà, a chi la possiede, fortuna, potenza, amore,e pace dell’animo. Ma era ormai troppo tardi.« Ahimè! » disse scuotendo tristemente il capo.«Come è tutto sbagliato. Io sono riuscito a dannare la mia esistenza: e ho rovinato latua.»« Addio, pover’uomo » rispose il colombre. E sprofondò nelle acque nere per sempre.Due mesi dopo, spinto dalla risacca, un barchino approdò a una dirupata scogliera. Fuavvistato da alcuni pescatori che, incuriositi, si avvicinarono. Sul barchino, ancoraseduto, stava un bianco scheletro: e fra le ossicine delle dita stringeva un piccolo sassorotondo.Il colombre è un pesce di grandi dimensioni, spaventoso a vedersi, estremamente raro.A seconda dei mari, e delle genti che ne abitano le rive, viene anche chiamatokolomber, kahloubrha, kalonga, kalu-balu, chalung-gra. I naturalisti stranamente loignorano. Qualcuno perfino sostiene che non esiste.
« Le storie che si scriveranno, i quadri che dipingeranno, le musiche che si comporranno, le stolte pazze e incomprensibili cose che tu dici, saranno pur sempre la punta massima dell’uomo, la sua autentica bandiera [...] quelle idiozie che tu dici saranno ancora la cosa che più ci distingue dalle bestie, non importa se supremamente inutili, forse anzi proprio per questo. Più ancora dell’atomica, dello sputnik, dei razzi intersiderali. E il giorno in cui quelle idiozie non si faranno più, gli uomini saranno diventati dei nudi miserabili vermi come ai tempi delle caverne. »
Dino Buzzati Traverso, conosciuto come Dino Buzzati (San Pellegrino di Belluno, 16 ottobre 1906 – Milano, 28 gennaio 1972), è stato uno scrittore, giornalista, drammaturgo, librettista e
Dino Antonio Buzzati Traverso nasce nella villa di famiglia presso San Pellegrino, località alle porte della città di Belluno. Il padre è Giulio Cesare Antonio Buzzati Traverso (1862-1920), celebre giurista veneziano proveniente da un’illustre famiglia bellunese, mentre la madre, Alba Jessica Mantovani (morta nel 1961), era di Venezia e imparentata con una famiglia del patriziato (i Badoer). È il terzo di quattro fratelli: gli altri sono Augusto (1903-?), Angelina (1904-2004) e Adriano Buzzati Traverso (1913-1983) (quest’ultimo diverrà poi un noto genetista). La famiglia Buzzati Traverso trascorreva le estati nella villa a Belluno e il resto dell’anno a Milano, dove il padre — docente di diritto internazionale — lavorava alla neonata Università Luigi Bocconi, dividendosi tra questa e l’insegnamento alla più anticaUniversità di Pavia.
La villa di famiglia e la biblioteca, fondamentali nella formazione dello scrittore, meriterebbero una storia a parte. Nei primi anni della sua infanzia lo scrittore presentò una grande attenzione e sensibilità per le arti figurative e per la musica, imparando a suonare a dodici anni pianoforte e violino, abbandonando però in seguito gli studi. Connaturato alla crescita di Buzzati è anche l’amore per la montagna, che lo porterà a scalare e a sognare le montagne per tutta la vita. Dopo i primi anni, e dopo la morte del padre, a quattordici anni, Buzzati si iscrive al più rinomato liceo di Milano, il Parini, dove conoscerà Arturo Brambilla, che in seguito diventerà il suo migliore amico; i due si cimentarono anche in duelli di scrittura, da cui nacque la prima produzione letteraria dell’autore bellunese. Con lui inizierà una fitta corrispondenza che continuerà sino alla prematura morte di Brambilla, lasciando un vuoto incolmabile nella vita dello scrittore. La loro fitta corrispondenza durata tutta la vita verra’ pubblicata nel volume “Lettere a Brambilla”[
In questi anni Buzzati scopre l'interesse per la cultura egizia (nelle lettere con Brambilla si firmerà a lungo Dinubis) e per Arthur Rackham. Terminati gli studi superiori Buzzati inizia a mostrare le prime velleità letterarie iniziando a pensare di scrivere un romanzo, e si iscrive a giurisprudenza per assecondare le volontà della famiglia e per proseguire la tradizione (i due fratelli infatti avevano intrapreso strade diverse iscrivendosi l'uno a ingegneria e l'altro a biologia).
Nel 1928, poco prima di terminare gli studi universitari, entra, dopo un curriculum scritto con una splendida calligrafia, come praticante alCorriere della Sera del quale diverrà in seguito redattore, ed infine inviato. I suoi articoli al Corriere furono relativamente pochi, in quanto vi lavorò a lungo con l'importante qualifica dititolista (chi pensa ai titoli degli articoli). Sempre nel 1928 anno si laurea in giurisprudenza con una tesi dal titolo La natura giuridica del Concordato.
Nel 1933 uscì il suo primo romanzo, Bàrnabo delle montagne, al quale seguì dopo due anni Il segreto del Bosco Vecchio. Da entrambe le opere furono tratti film ad opera di registi italiani: il primo girato da Mario Brenta nel 1994, il secondo da Ermanno Olmi nel 1993.
Fra il 1935 e il 1936 si occupò del supplemento mensile La Lettura.
Il 9 giugno 1940 Buzzati pubblicò il suo più grande successo: Il deserto dei Tartari, scritto l'anno precedente (il titolo originale doveva essere La fortezza, poi fu cambiato su suggerimento di Leo Longanesi, che lo pubblicò da Rizzoli[2]), dal quale nel 1976 Valerio Zurlini trasse il film omonimo. In quegli anni Buzzati cominciava a dedicarsi ai suoi fortunati racconti brevi, talvolta pubblicati anche sulle pagine del Corriere. Accanto all’attività narrativa, Buzzati continuò la sua attività di giornalista: quando uscì Il deserto dei Tartari era inviato di guerra adAddis Abeba per il Corriere. Il 25 aprile fu suo l’editoriale di commento alla Liberazione che uscì sulla prima pagina del Corriere con il titolo Cronaca di ore memorabili.
Nel 1946, Buzzati cambiò editore passando a Mondadori.
Nel 1949 fu inviato dal Corriere al seguito del Giro d’Italia, all’epoca la manifestazione sportiva più seguita nella penisola. Nello stesso anno Il deserto dei Tartari usciva in lingua francese, riscuotendo un lusinghiero successo. Nacque allora la popolarità di Buzzati in Francia.
Nel 1958 vince il Premio Strega con la raccolta Sessanta racconti.
Con un tono narrativo fiabesco, Buzzati affrontava temi e sentimenti quali l’angoscia, la paura della morte, la magia e il mistero, la ricerca dell’assoluto e del trascendente, la disperata attesa di un’occasione di riscatto da un’esistenza mediocre (Le mura di Anagoor, Il cantiniere dell’Aga Khan, Il deserto dei Tartari), l’ineluttabilità del destino (I sette messaggeri) spesso accompagnata dall’illusione (L’uomo che voleva guarire). Il grande protagonista dell’opera buzzatiana è proprio il destino, onnipotente e imperscrutabile, spesso beffardo (come ne Il deserto dei Tartari). Perfino i rapporti amorosi sono letti con quest’ottica di imperscrutabilità (Un amore)[3]. La letteratura di Buzzati appartiene al genere fantastico, anche se talvolta presenta vicinanze al genere horror.
Fra i suoi ultimi scritti rientra I miracoli di Val Morel, pubblicato nel 1971 e non più ristampato. Il libro è una raccolta di finti miracoli, che nell’invenzione dell’autore sarebbero stati attribuiti a Santa Rita dalla tradizione popolare, e ispirati alla località di Valmorel di Limana.
Accanto all’attività di scrittore e giornalista, Buzzati si dedicava alla pittura (terrà con successo anche alcune mostre) e al teatro, dando vita a un sodalizio con il musicista e direttore di orchestra Luciano Chailly, curando personalmente anche le scenografie delle sue rappresentazioni. Interessanti le esperienze come sceneggiatore, che lo videro collaborare con Federico Fellini alla stesura de Il Viaggio di G. Mastorna, il progetto che il regista inseguì tutta la vita, e che non ebbe mai luce. Sempre per il cinema, e probabilmente per lo stesso Fellini, realizzò anche il racconto e trattamento “Se sono grasso che male c’è”, andato purtroppo disperso.[senza fonte]
Fu, da un certo punto di vista, un autore molto realistico che affrontava la gente con i temi della solitudine e dell’angoscia. Uno dei pochi in Italia a promuovere i canoni della letteratura fantastica.
Morì di tumore al pancreas (male che già causò il decesso del padre nel 1920) alla clinica “La Madonnina” di Milano il 28 gennaio 1972.
Le sue ceneri verranno disperse sulla Croda da Lago
Dediche
A Buzzati sono stati dedicati:
una sala presso la sede milanese del Corriere della Sera
una via di Milano
il sentiero che collega Valmorel a Limana (provincia di Belluno)
un sentiero attrezzato che porta alla cima del monte Cimerlo nel Gruppo delle Pale di San Martino (Trento)
il nome di un orso che per mesi nel 2010 ha vagato nelle foreste delle Dolomiti e delle Prealpi Venete
Lo scrittore sudafricano J. M. Coetzee, premio Nobel nel 2003, si è ispirato alla trama de Il deserto dei Tartari per scrivere uno dei suoi capolavori, Aspettando i barbari, pubblicato nel 1980. Ancora oggi, grazie a un numero elevatissimo di traduzioni Buzzati è forse più famoso all’estero che in Italia.
Seguono alcune delle principali opere di Dino Buzzati.
Romanzi
Bàrnabo delle montagne, Treves-Treccani-Tumminelli, Roma-Milano 1933; n. ed. Garzanti, Milano 1949; Mondadori, Milano 1979
Il segreto del Bosco Vecchio, Treves, Milano 1935; n. ed. Garzanti, Milano 1949; Mondadori, Milano 1979
Il deserto dei Tartari, Rizzoli, Milano 1940; Mondadori, Milano 1945
La famosa invasione degli orsi in Sicilia, Rizzoli, Milano 1945; Martello, Milano 1958; Giunti, Firenze 1965; Mondadori, Milano 1977
Il grande ritratto, Mondadori, Milano 1960
Un amore, Mondadori, Milano 1963
Raccolte
I sette messaggeri, Mondadori, Milano 1942
Paura alla Scala, Mondadori, Milano 1949
Il crollo della Baliverna, Mondadori, Milano 1954
Esperimento di magia: 18 racconti, Rebellato, Padova 1958
Sessanta racconti, Mondadori, Milano 1958, premio Strega
Egregio signore, Siamo spiacenti di… (con illustrazioni di Siné), Elmo, Milano 1960; con il titolo Siamo spiacenti di, Mondadori, Milano 1975
Il colombre e altri cinquanta racconti, Mondadori, Milano 1966
La boutique del mistero: trentuno storie di magia quotidiana, Mondadori, Milano 1968
Le notti difficili, Mondadori, Milano 1971
L’uccisione del drago e altri racconti, scelta e commento a cura di Domenico Manzella, Ed. scolastiche B. Mondadori, Milano 1968
Il deserto dei Tartari e dodici racconti, a cura di Ettore Mazzali, Ed. Scolastiche B. Mondadori, Milano 1970
Cronache terrestri, a cura di Domenico Porzio, Mondadori, Milano 1972
Il delitto all’italiana: diciotto cronache “nere” e undici disegni, prefazione di Franco Di Bella, Mondadori, Milano 1977
Romanzi e racconti, a cura di Giuliano Gramigna, Mondadori, Milano 1978
180 racconti, Mondadori, Milano 1982
Cronache nere, a cura di Oreste del Buono, Theoria, Roma 1984
Il reggimento parte all’alba, Frassinelli, Milano 1985, 19962
Mi chiamo Dino Buzzati, 1988
Il meglio dei racconti, a cura di Federico Roncoroni, Mondadori, Milano 1989
Le montagne di vetro: articoli e racconti dal 1932 al 1971, a cura di Enrico Camanni, Vivalda, Torino 1989
Lo strano Natale di Mr. Scrooge e altre storie, a cura di Giulio Nascimbeni, Mondadori, Milano 1990
Il buttafuoco: cronache di guerra sul mare, Mondadori, Milano 1992
Opere scelte, a cura di Giulio Carnazzi, Mondadori “I Meridiani”, Milano 1998
La “nera” di Dino Buzzati, a cura di Lorenzo Viganò, 2 voll.: I. Crimini e misteri e II. Incubi, a cura di Lorenzo Viganù, Oscar Mondadori, Milano 2002
Le cronache fantastiche di Dino Buzzati, 2 voll.: I. Delitti e II. Fantasmi, a cura di Lorenzo Viganò, Mondadori, Milano 2003
Il panettone non bastò. Scritti, racconti e fiabe natalizie, a cura di Lorenzo Viganò, Mondadori, Milano 2004
I capolavori, Mondadori, Milano 2005
I fuorilegge della montagna. Uomini, cime, imprese, a cura di Lorenzo Viganò, Mondadori, Milano 2010
Teatro
Piccola passeggiata, 1942
La rivolta contro i poveri, 1946
Un caso clinico, 1953
Drammatica fine di un noto musicista, 1955
Sola in casa, 1958
Una ragazza arrivò…, 1959
Le finestre, 1959
L’orologio, 1959
Un verme al ministero, 1960
I suggeritori, 1960
Il mantello, 1960
L’uomo che andrà in America, 1962
L’aumento, 1962
La colonna infame, 1962
Spogliarello, 1964
La telefonista, 1964
La famosa invasione degli orsi in Sicilia, a cura di Gianni Colla, 1965
La fine del borghese, 1966
Teatro, Mondadori, Milano 2006 (raccolta)
Libretti
Ferrovia soprelevata: racconto musicale in sei episodi, Ed. della Rotonda, Bergamo 1955 (musica di Luciano Chailly)
Procedura penale, Ricordi, Milano 1959 (musica di Luciano Chailly)
Il mantello: opera in un atto, Ricordi, Milano 1960 (musica di Luciano Chailly)
Era proibito, Ricordi, Milano 1961 (musica di Luciano Chailly)
Battono alla porta, Suvini-Zerboni, Milano 1963 (musica di Riccardo Malipiero), Premio Italia
Altro
Il libro delle pipe, con Eppe Ramazzotti, Antonioli, Milano 1946; Martello, Milano 1966; Giunti, Firenze 1986
In quel preciso momento, Neri Pozza, Venezia 1950, 19552 e 19633
Il postino di montagna, 1951 (testo per un documentario di Adolfo Baruffi)
Le storie dipinte, a cura di Mario Oriani e Adriano Ravegnani, All’insegna dei re magi, Milano 1958
Poema a fumetti, Mondadori, Milano 1969
I miracoli di Val Morel, prefazione di Indro Montanelli, Garzanti, Milano 1971
Congedo a ciglio asciutto di Buzzati, inediti, a cura di Guido Piovene, 1974
I misteri d’Italia, Mondadori, Milano 1978
Dino Buzzati al Giro d’Italia, a cura di Claudio Marabini, Mondadori, Milano 1981
Lettere a [Arturo] Brambilla, a cura di Luciano Simonelli, Mondadori, Milano 1985
Bestiario, Mondadori, Milano 1991
La mia Belluno, a cura della Comunità Montana Bellunese – Assessorato alla cultura, 1992
Buzzati racconta: storie disegnate e dipinte, a cura di Maria Teresa Ferrari, Electa, Milano 2006
Far pubblicare un romanzo è più difficile o più facile di una volta, Henry Beyle ed., Milano 2011
Luca Steffenoni. Buzzati e la cronaca nera in: “Nera. Come la cronaca cambia i delitti”. 2011, casa editrice San Paolo, ISBN 978-8821571985
Film tratti da opere di Buzzati
Un amore di Gianni Vernuccio (1965)
Il fischio al naso di Ugo Tognazzi (1967)
Il deserto dei Tartari di Valerio Zurlini (1976)
Il segreto del bosco vecchio di Ermanno Olmi (1993)
Barnabo delle montagne di Mario Brenta (1994)
Opere dedicate a Dino Buzzati [modifica]
Il quadro di Buzzati di Fabrizio De Rossi Re, su testo di Luis Gabriel Santiago opera in musica per la radio scritta per la RAI RadioTre in occasione del centenario della nascita di Buzzati (trasmissione RAI Radiotre ottobre 2006).
Il Trois pièces pour dames seules (1982) da L’orologio, Spogliarello e Sola in casa di Dino Buzzati messa in scena da Pietro Pizzuti al Théâtre de l’Esprit Frappeur (Bruxelles) con Viviane Collet, Stéphane Auberghen, Anne Carpriau.
La finestra sul deserto – a oriente di Buzzati di Vittorio Caratozzolo, Bonanno editore, Acireale-Roma, 2006.
Note
1. ^ Il nome gli fu dato in ricordo dello zio materno, il letterato Dino serti Mantovani, noto per aver scritto una biografia di Ippolito Nievo.
2. ^ Alberto Papuzzi, «Dino Buzzati», La Stampa, 28 aprile 2010.
3. ^ L’amore carnale per una città in un capolavoro dimenticato di Dino Buzzati
4. ^ Disperdere le ceneri ora si può: Buzzati tornerà sulle Dolomiti