Parigi, 1817. L’avvocato Derville riceve una sera nel suo studio un uomo molto male in arnese, all’apparenza un misero vagabondo, che sostiene di essere il conte Chabert, colonnello di Bonaparte dato ufficialmente per morto 10 anni prima nella battaglia di Eylau. Racconta che, tornato in Francia dopo lunga e penosa odissea, ridotto ad anonimo cencioso, e sofferente per le conseguenze delle terribili ferite riportate in battaglia, non ha trovato più nessuno di coloro che potevano riconoscerlo. Sua moglie, ritenuta vedova, aveva ereditato la sua colossale fortuna e l’aveva incrementata con abili speculazioni finanziarie; si è risposata col conte Ferraud, un aristocratico ambizioso che aspira ardentemente ad ottenere la Parìa di Francia. La contessa, avida e scaltra, per salvaguardare i propri interessi si è finora rifiutata di vedere l’uomo che dice di essere il colonnello Chabert: a lei più che a chiunque fa comodo che il suo primo marito, a cui deve tutto, ‘resti morto’. L’avvocato Derville, a sorpresa, è disposto a dare credito all’uomo, e ad aiutarlo legalmente a recuperare parte dei suoi beni nonché la propria identità e il proprio rango.
L’impresa sarà complessa, anche per il competente e geniale Derville, e non priva di colpi di scena.
Il film è tratto da un racconto di Balzac, ma decisamente si tratta di un film che supera il romanzo, per quanto si sia mantenuto ad esso fedele sotto molti aspetti. L’originale e determinante intreccio del libro è stato potenziato dalla sceneggiatura, e i personaggi nel film hanno più sfumature, sono più ‘umani’ sia nel bene che nel male, e il tutto si traduce in un film molto coinvolgente e di forte impatto emotivo.
E’ una pellicola che consiglio caldamente: mi ha spinta a leggere il testo di Balzac, che però mi è piaciuto meno.
Per almeno metà della storia è basilare lo stato di mistero e incertezza sulla veridicità del racconto: l’uomo è davvero Chabert?
Lo sfondo sociale e politico, il periodo della Restaurazione e del capitalismo nascente, ha un peso nella vicenda: proprio negli intrallazzi degli aristocratici per accaparrarsi le cariche al ritorno del Re, ha radici il segreto della contessa Ferraud, la sua preoccupazione nascosta; lì è il motivo per cui è così attaccata al denaro e spietata nel ‘voler mantenere morto’ a tutti i costi il primo marito Chabert.
E dunque lo spettatore è sempre più avvinto da un’ amara storia di ingiustizia e sperequazione, di cupidigia e opportunismo, e di disperazione.
Da una parte c’è il reduce (Depardieu) che in passato ha dato tanto e ora non ha più nulla, nemmeno un’identità, e riceve danno e beffa, emarginato, derubato e dimenticato (“sepolto una volta sotto i morti, ora lo si vuole seppellire sotto un fascio di carte”): emblematicamente le scene della guerra, della morte e della spogliazione dei caduti, nel corso del film tornano ripetutamente nella memoria dell’uomo che dice d’essere Chabert.
Dall’altra parte c’è la meschinità, l’avidità e la cattiveria di chi ha tutto (F. Ardant) e, lungi dal provare gratitudine, non vuole concedere nulla anzi vorrebbe, pur di salvaguardare il proprio interesse, l’annientamento completo di chi già annega nella disgrazia: “Decisa a tutto pur di realizzare i propri fini, la contessa Ferraud non sapeva ancora che cosa si dovesse fare di quest’uomo: l’unica certezza era che bisognava annientarlo socialmente”.
Ma il vero, straordinario protagonista di questa storia è l’avvocato Derville (Fabrice Luchini).
Il personaggio dell’avvocato, tradizionalmente freddo, cinico, incapace di emozioni e compassione, in questo film diventa, con piacevolissima sorpresa dello spettatore, colui che prende in mano l’azione e la rende avvincente: Derville non nasconde le proprie simpatie e antipatie e, sia per intelligenza che per compassione che per amor di giustizia, diventa, senza indugi e animato da sentimenti veri, angelo vendicatore di chi è più debole e privo di difese, fino al colpo di scena (e di genio) finale.
Una figura d’avvocato come poche ne ho viste al cinema: stakanovista nel lavoro, è un geniale professionista conteso da ricchi ed aristocratici che tuttavia sfodera la massima dedizione per il reietto della società a cui è disposto a dare fiducia fino in fondo, conducendo una difficile partita a favore del reduce.
In lui convivono l’esperto avvocato di successo, un po’ dandy, frequentatore del ‘bel mondo’, e l’uomo di gran cuore e di nobili sentimenti, di integrità morale profonda ma non esibita, unita a un intelletto non comune: un autentico ‘giusto’ che sa leggere a sua volta nei cuori altrui.
Non facile certo, recitare questo personaggio, carta vincente del film a mio avviso: infatti laddove Balzac nel racconto utilizzava Derville come mero e passivo osservatore di una vicenda iniqua, in questo film invece l’avvocato giudica moralmente ed entra in azione, diventa protagonista e deus ex machina.
Il regista Yves Angelo, oltre ad aver incrementato l’idea di partenza di Balzac con una sceneggiatura appassionante, si è avvalso di un cast ottimo a dir poco.
Luchini e Depardieu rivaleggiano in bravura, ma è Luchini quello che impressiona di più.
Il ruolo dell’avvocato è sempre un ruolo ingrato, ma Fabrice Luchini, attore straordinario amatissimo in Francia (personalmente ho cominciato a conoscerlo dai film di Rohmer), entra con naturalezza nei panni del complesso e originale avvocato Derville.
I suoi monologhi sono intensi e coinvolgenti, le sue battute sagaci e spesso fulminanti: riesce a far trasparire rabbia, disprezzo e condanna per l’iniquità e la meschinità della contessa Ferraud, pur mantenendoli abilmente contenuti dietro l’atteggiamento elegante e impeccabile che ci si aspetta dal grande avvocato che interpreta.
“Rinunciate ad uccidere quella donna. Sareste capace di sbagliare, il che sarebbe davvero imperdonabile”
L’attore conferisce a Derville il piglio deciso di chi non tollera ingiustizie ed è pronto all’azione (e anche a giocarsi soldi, reputazione, e ricchi clienti), e rende perfettamente il carattere disilluso e smaliziato, e al contempo romantico e moralmente limpido, di Derville.
Depardieu in stato di grazia; nei panni del reduce dell’Impero, riesce a trasmettere anche solo con gli sguardi tutta la malinconia, l’amarezza, ma anche l’imprevedibilità (è davvero un po’ pazzo?) del suo personaggio. L’attore smette la recitazione sopra le righe che gli è più abituale, e dà un’interpretazione superba per le molte emozioni che esprime senza ricorrere a sbavature o esuberanze di troppo.
Poche volte ho visto Depardieu al contempo così incredibilmente espressivo e così ‘contenuto’: i sentimenti dell’ex soldato, talvolta esplosioni di passione, talaltra sfumature impercettibili, si rincorrono mutevoli ed enigmatici, e l’attore riesce a trasmetterli interamente allo spettatore con una recitazione intensa e pur ferma e rigorosa, che ne aumenta la credibilità. Ammirevole.
Fanny Ardant, anche se oscurata dalla bravura dei due colleghi, si cala con perizia nell’antagonista odiosa, avida e senza scrupoli, e tuttavia a sua volta esasperata e sfinita dalle sue egoistiche preoccupazioni. Donna di abituale doppiezza, la contessa finge sempre, simula continuamente sentimenti ed emozioni falsi; eppure è talmente stanca da lasciarsi sfuggire qualche emozione vera ogni tanto: la Ardant è abbastanza brava da lasciare davvero nel dubbio gli spettatori su quali siano i rari momenti ‘sinceri’ che sfuggono alla contessa in mezzo alle tante finzioni.
Bellissimi e molto eleganti gli abiti indossati dalla Ardant (Franca Squarciapino ha ricevuto il nastro d’argento per i costumi); belle e sontuose le scenografie e la fotografia, di grande effetto sia gli interni che gli esterni, sia quando illustrano il lusso più raffinato sia quando rappresentano la miseria più nera.
Poco sottofondo sonoro, un po’ di Beethoven, alternato a ben più efficaci e appropriati silenzi.
Regia: Yves Angelo
Titolo originale: Le colonel Chabert
Tratto dall’omonimo racconto di H. de Balzac
Sceneggiatura: Yves Angelo, Jean Cosmos, Veronique Lagrange
Francia, 1994
Drammatico / 110 Min /Colore
Personaggi e interpreti:
Fabrice Luchini: avvocato Derville
Gérard Depardieu: colonnello Chabert
Fanny Ardant: contessa Ferraud
André Dussollier: conte Ferraud
Costumi: Franca Squarciapino
Fotografia: Bernard Lutic
Musiche: Pierre Gamet, Gerard Lamps