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Il colore della libertà – l’Apartheid e Nelson Mandela

Creato il 07 agosto 2013 da Ildormiglione @ildormiglione

Nelson Mandela può essere considerato a pieno titolo uno dei personaggi-simbolo del ventesimo secolo. Essenza vivente della lotta contro l’Apartheid, dopo aver trascorso ben ventisette anni in prigionia divenne nel 1994 il primo presidente democraticamente eletto in un Sud Africa non più segregazionista. Mandela, con il suo African National Congress (ANC), a causa della lotta contro ogni forma di discriminazione razziale nei primi anni ’60 venne arrestato e accusato di tradimento. Il 12 giugno 1964 venne condannato all’ergastolo. Ma anche durante la prigionia, Mandela seguì sempre con grande interesse ed entusiasmo l’attività del movimento che intanto raccoglieva grandi consensi. Lo slogan “Nelson Mandela libero” fu inneggiato in tutto il mondo: le campagne anti-apartheid diventarono presenti dappertutto. Nelson Mandela restò in carcere fino al 1990, dopo ventisette anni di prigionia, fu rilasciato per ordine del presidente sudafricano de Klerk. Nel 1993 ottenne il premio Nobel per la pace. Eletto Presidente del governo sudafricano, nel 1994, Mandela affidò la vicepresidenza proprio a de Klerk, vi resto in carica fino 1999. Durante gli anni di prigionia Mandela fu guardato a vista da una guardia carceraria di nome James Gregory, che per la sua conoscenza dello Xhosi, il dialetto nativo di Mandela poteva controllare agevolmente la sua corrispondenza (che provvedeva a censurare con solerzia) e le sue conversazioni semestrali con la moglie. “Il colore della Libertà (Goodbye Bafana)” mostra come si evolve il rapporto tra prigioniero ed aguzzino e come il carisma di Mandela lentamente faccia comprendere a Gregory l’ingiustizia dell’Apartheid e la intenzioni pacifiche del suo movimento, che aspira alla nascita di un nuovo Sud Africa in cui tutti siano liberi e pronti a collaborare l’uno con l’altro in condizioni di parità. Così il film si dipana dalla fine degli anni ’60 fino al rilascio di Mandela. Viene così mostrata una realtà speculare in cui entrambi sono prigionieri del proprio ruolo: Mandela perché terrorista e detenuto politico e Gregory perché amante dei “kaffer”, il termine dispregiativo con cui venivano definiti in Sud Africa gli uomini di colore. La storia però finirà per dare ragione ad entrambi. L’ottica però è tutta secondo la visuale del carceriere, che ha del resto firmato la biografia da cui è tratto il libro di memorie, anch’esso dal titolo Goodbye Bafana. Tuttavia intorno ad uomini come Nelson Mandela è impossibile tracciare un disegno biografico preciso e armonico che funzioni in ogni aspetto e riesca a trasmettere l’incredibile profondità della sua vita. Inoltre risulta difficile capire a pieno il film se non si conosce cosa è stata e cosa ha rappresentato l’apartheid in Sud Africa. L’apartheid (in lingua afrikaans “separazione”) era la politica di segregazione razziale istituita dal governo di etnia bianca del Sudafrica nel dopoguerra e rimasta in vigore fino al 1993. L’apartheid fu dichiarato crimine internazionele da una convenzione delle Nazioni Unite, votata dall’assemblea generale nel 1973 ed entrata in vigore nel 1976, e quindi successivamente inserito nella lista dei crimini contro l’umanità. Il termine apartheid fu usato in senso politico per la prima volta nel 1917, ma solo dal 1948 l’idea venne trasformata in un sistema legislativo.L’apartheid aveva due manifestazioni: la separazione dei bianchi dai neri nelle zone abitate da entrambi; l’istituzione dei bantustam, i territori semi-indipendenti in cui molti neri furono costretti a trasferirsi. In Sudafrica, mentre i neri e i creoli costituivano l’80% circa della popolazione, i bianchi si dividevano in coloni di origine inglese ed afrikaner. Gli afrikaner, che costituivano la maggioranza della popolazione bianca, erano da sempre favorevoli ad una politica razzista; mentre i sudafricani di origine inglese, malgrado il sostanziale appoggio dell’apartheid, erano più concilianti nei confronti dei connazionali neri. Le principali leggi che costituivano il sistema dell’apartheid erano: proibizione dei matrimoni interrazziali; divieto di rapporti sessuali con una persona di razza diversa; registrazione obbligatoria per caratteristiche razziali (Population Registration Act); divieto di ogni opposizione che venisse etichettata dal governo come “comunista” (usata per mettere fuorilegge nel 1960 l’African National Congress), divieto di entrata in alcune aree urbane e nelle stesse strutture pubbliche a persone di colore; provvedimenti tesi a rendere più difficile per i neri l’accesso all’istruzione; discriminazione razziale in ambito lavorativo. Chiunque si opponeva al sistema dell’apartheid così strutturato incappava in conseguenze penali. I neri venivano deportati con la forza nelle cosiddette “homeland del sud”, costretti a lasciare le loro case e gli affetti, senza godere di alcun tipo di diritto.

Nel film il sistema dell’apartheid è affrontato solo in parte, il regista sceglie di tralasciare la storia complessa del politico Mandela per entrare nel regno dell’intimità; svela l’uomo, invisibile a molti, che combatte 27 anni nel silenzio dei suoi pensieri. Il film non cerca di imporre le drammatiche vicende di un paese ma sottolinea la grandezza di un uomo, spesso debole, malato, terribilmente solo ma comunque in grado di essere esempio e mito al tempo stesso. Così come specchio e interlocutore ideale appare il secondino James Gregory, l’altro personaggio della storia che incrocia il suo destino proprio con la grandezza del suo prigioniero. Tuttavia, il protagonista non è Nelson Mandela ma il riflesso che quest’ultimo crea nel suo carceriere. James è un semplice militare eppure, a sorpresa, il suo destino sarà identico a quello di Nelson. Unico neo che non va trascurato sono le dichiarazioni del biografo ufficiale di Nelson Mandela, il giornalista Anthony Samson, secondo il quale il libro di James Gregory sarebbe in realtà frutto di un abile falsificazione. Gregory cioè non avrebbe mai avuto autentici contatti con Mandela, ma sarebbe venuto a conoscenza di molti dettagli della sua vita privata grazie al suo ruolo di controllore della corrispondenza del futuro presidente. Un’ombra che ci fa dubitare di un film presentato come “storia autentica” in ogni suo aspetto. Mentre non ci sono dubbi sul messaggio di tolleranza, rispetto e integrazione che il film lancia. Si consiglia la proiezione soprattutto nelle scuole.


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