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Il colpo contro il portone

Creato il 29 luglio 2014 da Signoradeifiltriblog @signoradeifiltr
IL COLPO CONTRO IL PORTONE

Il protagonista di questo racconto di Kafka passeggia con la sorella. Fa caldo. Passano davanti al portone di un cortile. Sono in una zona a loro non nota. La giovane bussa al portone (o forse accenna a farlo). Un gesto banale, semplice, scherzoso. Eppure quasi subito c’è la percezione che le conseguenze saranno durissime. La gente del posto li guarda con aria di disperazione, come se la coppia fossero già condannata. Il ragazzo sorride e ostenta tranquillità; il fatto, apparentemente insignificante, si può facilmente spiegare. Solo delle persone ignoranti come quelle del luogo possono agitarsi tanto senza motivo. Ma un gruppo di cavalieri armati di lance poco dopo si mette al loro inseguimento. C’è anche un giudice tra loro. La ragazza riesce a dileguarsi. Il giovane viene raggiunto e condotto nella casa di un contadino. L’ambiente è davvero inquietante: “Grandi pietre per il pavimento, scure, parete grigia, nuda, non so dove un anello di ferro murato, e nel mezzo qualcosa tra il pagliericcio e la tavola operatoria”. L’arrestato credeva come cittadino di poter chiarire ogni cosa e addirittura di uscirne con tutti gli onori (anche il protagonista del Processo ha pensieri simili e ugualmente fallaci). Ma dopo essere entrato in questa prigione, dispera di salvarsi. Scopre di non avere diritti o tutele, ma solo colpe.

Colpisce la sproporzione tra il “misfatto” e la punizione; oltretutto il gesto potrebbe non essere mai stato compiuto. Sembra venga punito il presunto significato dell’atto; anche l’accennare a bussare a una casa importante è uno sberleffo o una piccola manifestazione di ribellione che un potere assoluto e paranoico non può tollerare. Il gesto è avvenuto in pubblico e questa è un’aggravante. La dura reazione seguente confermerà lo status quo; nulla deve cambiare, solo la sottomissione viene permessa come la gente del posto ha capito, a differenza dei due giovani che sono forestieri. L’ignoranza della legge non è una scusante sufficiente. Il portone è intoccabile in quanto allegoria di un contesto (con le sue gerarchie) che è esso stesso intoccabile. Impressiona anche l’istantaneità dell’intervento “giudiziario”; tra i cavalieri che arrestano il ragazzo c’è anche un giudice che quindi non sembra una figura terza. Non può esserci scampo per il “colpevole”.

Basta così poco per essere sanzionati? A volte è sufficiente uno sguardo duro.

Nel 1917, all’indomani del disastro di Caporetto, nel padovano avvenne un gravissimo episodio. Si voleva imporre all’esercito la massima disciplina in un momento drammatico in cui il nemico aveva occupato parte del suolo nazionale. Il generale Graziani, nominato da poco Ispettore Generale del Movimento di Sgombero, nel pomeriggio del 3 novembre, fece fucilare contro il muro di una casa un artigliere; il militare venne arrestato mentre sfilava con il suo plotone, reo per Graziani di averlo guardato con atteggiamento di sfida e di avere il sigaro in bocca. Il generale aveva pieni poteri, di cui fece varie volte ampio uso.

Forse il giovane non mostrò soggezione davanti al superiore, forse il suo sguardo non fu abbastanza deferente; anche in questo caso, come per il colpo al portone, non è chiaro cosa sia accaduto e abbia portato a una simile reazione. Bastò comunque un nulla perché Alessandro Ruffini, di anni ventitré, finisse fucilato, a poca distanza dalla chiesa parrocchiale di Noventa Padovana.


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