IL COMANDANTE E LA CICOGNA (Italia-Svizzera-Francia 2012)
Soliti alti (pochi, sebbene non pochissimi) e bassi (molti) del cinema italiano: dopo le recenti, esaltanti prove di Giordana, Ciprì, Bellocchio e Virzì e le mezze delusioni di quella che dovrebbe essere, per fama e riconoscimenti internazionali, la coppia d’oro del nostro cinema attuale (Sorrentino e Garrone), arriva questa sonora e sgangherata schifezza di Silvio Soldini – che un genio non è mai stato, d’accordo, ma che in passato aveva quantomeno saputo partorire pellicole piacevoli, carine, se non quasi memorabili (cfr. Pane e tulipani, Giorni e nuvole…). Che ti è successo, Silvio?
Svogliato, fiacco, poco divertente, narrativamente impalpabile: Il comandante e la cicogna è un film così brutto e inutile da risultare quasi inspiegabile. Non saprei nemmeno dire di cosa parla: siamo a Torino (una Torino per lo più squallida e periferica; tra tutti i tantissimi film girati negli ultimi anni sotto la Mole questo è di gran lunga il peggiore), c’è un idraulico (Valerio Mastandrea) che parla di notte con la moglie defunta (Claudia Gerini) e il cui figlio ha “adottato” una cigogna, c’è una giovane pittrice frustrata e in crisi economica (Alba Rohrwacher), c’è un avvocato maneggione (Luca Zingaretti), c’è un grasso nonsocosa che passa le giornate a fare nonsocosa e a citare frasi di personaggi celebri (Giuseppe Battiston)… Un film “corale” con un buon cast, insomma, le cui storie, però, già di per sé poco interessanti, non si intrecciano e amalgamano come dovrebbero.
E poi ci sono le statue. Che dovrebbero rappresentare il “colpo di genio” della pellicola, l’elemento di distinzione tra questa e le mille altre commediole italiane che ogni anno passano, spesso senza lasciare traccia di sé, sugli schermi del nostro paese: Garibaldi, Leonardo, Verdi e Leopardi (almeno credo che si tratti di loro: a un certo punto ho smesso di prestare attenzione ai dettagli del film) pensano ad alta voce, interrogandosi sul presente e sul futuro d’Italia. Non si capisce bene il modo in cui tutto ciò dovrebbe avere a che fare con le vicende narrate nel film (se l’obiettivo era che i pensieri di questi grandi del passato facessero da contrappunto etico-filosofico alle disavventure dell’idraulico o della pittrice… be’, obiettivo fallito), ma soprattutto non si capisce come mai geni defunti di questo calibro dovrebbero pensare cose tanto banali (“Forse era meglio se rimanevano gli austriaci?”, si chiede Garibaldi alla faccia dell’originalità).
Oddìo che film insulso. Così insulso che quasi mi dispiace l’abbiano girato sotto casa mia. Speriamo che non faccia scendere il prezzo (già non esaltante) della mia mansardina, ora che la vorrei vendere…
Alberto Gallo