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Dato che non vedo il motivo, come al solito, per cui come me anche voi dobbiate vedere pellicole che si potrebbero evitare, mi sembra cosa buona e giusta mettervi in guardia. Di seguito un paio di pellicole viste di recente e che sconsiglio:
THE GOOD HEART (2009)
Regista: Dagur Kári
Attori: Paul Dano, Brian Cox and Bill Buell
Paese: Danimarca, Islanda, USA, Francia, Germania
Il nome Dagur Kári probabilmente non vi dirà nulla. Il titolo del suo esordio, però, vi dirà forse qualcosa in più. “Nói Albínói” infatti non è certo una pellicola che lascia indifferenti; non sconvolge ma è sufficientemente atipica e personale da lasciarsi ricordare. Con questo suo terzo lungometraggio, tuttavia, il regista islandese sembra non aver nel tempo coltivato particolarmente quello stile non solo intravisto nella sua opera prima. Pur non abbandonando una fotografia quasi gelida e delle parentesi ironiche spiazzanti e in grado di strappare più di un sorriso, non riesce ad imprimere alla pellicola quella forza necessaria a renderne interessante o anche solo piacevole la visione.
L'intreccio tra le altre cose è fin troppo debole. Su questo aspetto si sarebbe potuto chiudere un occhio, essendo principalmente una commedia, ma non mostrandosi la pellicola capace di offrire anche dell'altro, diviene impossibile non prenderlo in considerazione e anzi aspettarsi qualcosa dallo stesso. Invano, è il caso di aggiungere. Non che gli scambi o i personaggi delineati non funzionino; invero, al contrario, hanno un potenziale che se fosse stato sfruttato con maggiore convinzione avrebbe permesso al film di imporsi in maniera ben più memorabile. E invece quel potenziale i protagonisti si limitano a mostrarlo salvo poi non andare oltre. Se quindi inizialmente “The Good Heart” appare accattivante con un certa facilità, nel prosieguo con altrettanta facilità stanca, fino alla chiusura, che è anche la parte meno riuscita dell'intera opera.
A rendere più amaro il retrogusto dell'occasione sprecata interpretazioni assolutamente ottime. Da Brian Cox a Paul Dano, passando per caratteristi quali Damien Young e Nicolas Bro (protagonista di "Offscreen")
ANO BISIESTO (2010)
Regista: Michael Rowe
Attori: Monica del Carmen, Gustavo Sánchez Parra
Paese: Messico
Vincitore del prestigioso premio “Caméra D'or” a Cannes, l'esordio dell'australiano Michael Rowe è a mio avviso leggermente deludente. C'è del metodo e della ricercatezza, su questo non v'è dubbio alcuno. A partire da scelte coraggiose come quella della location. È una sola, ossia la casa della protagonista; la regia non uscirà mai fuori dalla stessa, tanto da riuscire a creare un senso di claustrofobia decisamente funzionale al racconto; anche i movimenti di macchina sembrano porsi lo stesso obiettivo, optando per una quasi totale assenza di movimenti veloci o di sequenze troppo brevi. In tal modo viene azzerato un dinamismo che non fa altro che accentuare l'atmosfera oppressiva del film. Forse troppo, però. Scemata infatti la curiosità iniziale generata da qualsiasi opera, l'assenza di dinamismo risulta utile ad uno sguardo razionale, ma improduttiva a livello prettamente emotivo. Si tenga presente che la protagonista è, insieme all'uomo con cui dà inizio ad una relazione, l'unico personaggio, ma Rowe non lo rende tale da provare nei suoi confronti un particolare trasporto. A livello razionale, ancora una volta, delinea perfettamente il personaggio, ma il risultato è proprio in quanto tale freddo.
Altra scelta coraggiosa ma ottimamente gestita in “Ano Bisiesto” è il ricorso ad un sesso diverso, violento e sadomasochistico, descritto con una naturalezza assoluta, nonostante almeno un paio di scene nelle mani di qualche altro regista sarebbero state tutto fuorché naturali. Rowe invece non spettacolarizza nulla, non crea del facile sensazionalismo e tratta l'orientamento sessuale per quello è, ossia un semplice orientamento sessuale. Bravissima la protagonista, nelle scene più spinte come nelle altre; offre una prova anch'essa coraggiosa e al termine davvero notevole.
Ciononostante il limite principale della pellicola non viene mai aggirato, ossia la freddezza e incapacità di creare empatia, benché sulla carta pellicola e direzione della stessa siano difficili da criticare. Ed è questo il problema, in tutta probabilità, ossia molta attenzione all'estetica e alla tecnica e meno, molto meno, al volto più viscerale del racconto.
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