Il commissario, diretto da Luigi Comencini nel 1962, si distingue dalle altre collaborazioni con Age e Scarpelli per i toni più cupi, grotteschi, che sono invece caratteristici di molti film in cui Alberto Sordi interpreta i caratteri degli italiani e ne scandaglia molte figure professionali, mettendole in ridicolo o cogliendo la tragedia delle loro vite quotidiane. Anche questo ritratto è deformante, a tratti sgradevole, ed è proprio questo il suo punto di forza: esasperare i difetti della personalità, che sarebbero accettabili se più moderati e risultano invece mostruosi quando sono l’unica ragione di esistere del personaggio.
Il commissario Lombardozzi, vice in procinto di essere promosso, è smodatamente ambizioso e onesto al tempo stesso: una curiosa forma di arrivismo legale che lo porta a sfruttare ogni occasione possibile per mettersi in luce assillando i suoi superiori. Non si vergogna nemmeno un attimo di sé, del suo zelo: «Un commissario quando segue una pista non si ferma davanti a niente», ripete alla fidanzata che vorrebbe ricevere più attenzioni, e che invece deve assistere a dei teatrini che si risparmierebbe volentieri. I continui contrattempi ai pranzi familiari o il rifiuto categorico di ricevere piccoli favori, come nell’occasione in cui costringe il vigile a fargli la multa, ne sono un esempio. La sceneggiatura dimostra però come anche comportamenti positivi o in buona fede, se portati all’eccesso, si ritorcano contro il protagonista. Umiliato e disoccupato, Lombardozzi – e gli sceneggiatori non hanno paura di raccontare una fine così meschina – è costretto a elemosinare il lavoro dal suo futuro suocero: guidare un carretto pubblicitario per la pasta che produce, passando attraverso una strada che gli ricorda qual è il destino cui possono andare incontro le persone più oneste. Una via intestata al dottor Di Pietro, sociologo ed educatore, proprio quello la cui moralità discutibile era nota allo stesso commendatore che gli aveva intestato la strada, anch’egli vittima delle continue pressione dell’ex vicecommissario. Danno e beffa per chi ha dovuto rinunciare ai suoi principi per sopravvivere.
Paolo Ottomano