IL COMODINO DEI SERPENTI – Rubrica dedicata ai libri sul comodino
Il comodino di Manuela Di Vito
Ok, ho appena finito di leggere Ragazze di campagna di Edna O’Brien (trad. di Cosetta Cavallante, Elliot, 2013) e sbotto: quanto non mi piacciono i finali aperti! I non finali, quelle storie che sai dove cominciano ma non sai dove vanno a parare. Certo, è una dolcissima fotografia dell’adolescenza femminile e dell’Irlanda, dei luoghi che per altro ho visitato la scorsa estate: Wicklow, Galway, Dublino. Più che natura selvaggia campagna selvaggia e collinosa, come l’animo di due ragazze di quattordici anni, tra le cui pieghe, fossi boschetti cespugli sali e scendi, si rintana sempre qualcosa, nascosto alla vista di chi le circonda. Un pensiero, un sentimento, un gesto, un cane, un uomo. Un uomo, non un ragazzo. Ma manca il finale!
Forse è per questo che, subito dopo, come niente attacco Il Pianeta di Standish di Sally Gardner (trad. di D. Vezzoli, Mondadori, 2013) ed ecco una storia a cui invece manca l’inizio. La fine c’è, qui, ed è proprio una fine coi fiocchi. È il Piccolo principe cresciuto che però trova di nuovo la stessa, tristissima strada per tornare a casa. Casa, che qui però non si chiama B 612 ma Pianeta Platone ed è il luogo dove si rifugiano i sogni di due ragazzi, Standish ed Hector. Sogni scappati da una Terra in cui è diventato impossibile esistere. Eppure nessuno ci dice bene cos’è successo, mai, nessuno ci spiega chi sono gli uomini con la giacca di pelle e gli occhiali scuri né gli Afidi Verdi, nessuno ci fa mai incontrare un Ostruzionista o ci parla di una guerra in particolare. Tutto si risolve nel giro di poche settimane e quello che riusciamo a vedere è solo ciò che vede, ricorda e pensa Standish Traedwell. Quello che fa. Racconto distopico, appassionante cifra stilistica. La voce del protagonista è chiara e distinta e riesce a portarti con lui. Tu che non sai niente ma conosci solo Standish e non riesci a mollarlo, gli stai incollato, fino alla fine.
Ora ho capito che ci sono le storie che sono storie, che hanno un inizio e una fine, le storie fatte di tempo, sequenze, accadimenti, persone, quelle che magari hanno pure una morale, e poi ci sono altre storie. Queste ultime non sono fatti ma nomi. I loro confini non sono segnati da quella materia sfuggente che è il tempo ma da carne e sangue e soprattutto pelle, e queste cose, per quanto materiali, sono infinite.
Dopo aver navigato per mari nuovi è bene però, tornare ogni tanto presso lidi conosciuti. Tu che mi consigli Jane, di leggere stasera? A rispondere non è lei direttamente ma per sua vece Fanny: Di certo tieniti lontana da Lovers’ Vows, risponde con un certo turbamento nella voce e, se proprio, leggi Sir Walter Scott e sogna «molti scudi e laceri stendardi».
Cara, carissima Fanny, tu sei l’emblema stesso del conosciuto che si oppone al cambiamento, la stabilità che tiene testa ad ogni scossone che la modernità porta con sé, la tua non è passività ma forza, la tua immobilità è resistenza e Mansflied Park di Jane Austen (trad. di L. De Palma, BUR, 2002) è il regno che tu difendi con coraggio. Non sapevi che è inutile opporsi al cambiamento ed è un bene, poiché altrimenti non ci avresti insegnato che val la pena, per lo meno, sempre di provare a restare se stessi, anche in mezzo alle tempeste e alle guerre.
Infine, dopo non so quanto tempo, eccomi qui, a tornare su un classico che per me è nuovo, e ancora, pure, alla mia vecchia passione che sono i libri per ragazzi che, però, solo per ragazzi non sono mai. Sto finendo di leggere, ora, La collina dei conigli di Richard Adams (BUR 2013) e mi sono innamorata, che un coniglio di più non potrebbe, di quell’«aperta campagna coltivata» dell’Hampshire, fatta di «ampi soffici pascoli, in lieve pendio e divisi, non da siepi, ma da argini, non tanto alti, larghi come un viottolo e sui quali crescevano sambuchi, cornioli, evònimi», «praticelli colorati come arazzi, trapunti di centaura, di brunella e tormentilla». Sembra un poetico trattato di botanica, completo di odori che cambiano a ogni ora del giorno, e invece è un’avventura meravigliosamente narrata di animali che sembrano uomini – hanno una lingua, il lapino, usi e costumi, una mitologia – e ci fa ricordare che, tolto il pelo, sono gli uomini a non essere altro che animali, per fortuna e senza togliere niente a nessuno.
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Il comodino di Manuela Di Vito