Quando Ihab Assan scrisse “Lo smembramento di Orfeo”, non pensava certo che il postmoderno si sarebbe evoluto in questo modo. Tutti stanno imparando fin troppo bene il gioco delle citazioni di Quentin Tarantino, e allora che fare, se non farsi beffa dei celebrati maestri del nuovo cinema e del postmodernismo in toto?
Guardando “Cruel restaurant”, lo spettatore non sa davvero cosa aspettarsi. Ci si approccia come a un normale horror giapponese: bambini orrorifici che ti trascinano nel loro personale inferno fatto di unghie rotte e scarpe da donna; paure ataviche ereditate da tradizioni estranee, come quella statunitense; tanta acqua, perché chi ha concepito i cliché dell'horror in Giappone, evidentemente, è stato buttato da piccolo in una piscina, pur non sapendo nuotare.
“Cruel restaurant” inizia in medias res: delle membra umane appaiono in riva al mare, e giornalisti e sbirri si ritrovano a parlare di uno strano ristorante di ravioli, in cui si dice che il ripieno contenga carne umana. Qualunque spettatore con un po' di acume dice: “Ok, non è possibile che fin dall'inizio sia svelato il mistero”. E allora si fa affidamento su Mihiro, pornostar di comprovata fama, che per un giorno diventa la Beatrix Kiddo dei lavioli al vapole (o raviori al vapore, come possiamo leggere su qualunque menu al ristorante cinese, che pecchi di ipercorrettivismo). Già, perché per fare dei buoni ravioli, bisogna allenarsi. Arti marziali e altro, come il maestro simil hentaile insegna, in un tour de force sessuale.
Una storia al penultimo sangue, quello dell'ennesima vittima, che lascia presagire che davvero la carne umana sia utilizzata per il ripieno dei ravioli. Uno show politically correct per vegani, a una prima occhiata. Finché non si scopre il mistero, il segreto degli ottimi ravioli di Mihiro, che non riveleremo, perché questo non è uno spoiler. O forse sì.
Perché appena prima dei titoli di coda Mihiro fa i ravioli. Dopo un bel bagno caldo naturalmente. Si posiziona e spluf!
Il mistero di questo film, che continua persino durante i titoli di coda, è tutto in uno spluf. Per buona pace di chi si aspettava che la pellicola parlasse di bambini.
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