Il 12 ottobre l’Onu vota una risoluzione che concede 45 giorni ai paesi della comunità economica dell’Africa Occidentale (Ecowas in inglese, Cedeao in francese) per proseguire la mediazione di pace tra il Governo di Bamako e i ribelli del nord, regione dell’Azawad. In mancanza di risultati, la risoluzione preannuncia l’orientamento ad accogliere la “richiesta d’intervento militare internazionale avanzata dal governo di Bamako”.
Il 20 dicembre, come promesso: la nuova risoluzione, n. 2085 ( leggibile qui UN.org http://www.un.org/News/Press/docs/2012/sc10870.doc.htm ; sibillina la nota finale “ For information media • not an official record” ) con la quale il Consiglio di Sicurezza approva l’intervento, lo denomina African-led International Support Mission in Mali (AFISMA), la esplicita: Mission in Mali for Initial Year-Long Period, richiede che il dispiegamento di truppe per l’offensiva sia preceduto sia dalla continuazione degli sforzi di mediazione, sia dalla ricostruzione dell’esercito maliano con il contestuale addestramento dei soldati. La durata prevedibile di questa fase preparatoria è quantificabile in un anno, come precedentemente anticipato dal mediatore incaricato dall’Onu, Romano Prodi, in varie interviste.
Che cosa era accaduto nelle settimane intercorse fra le due risoluzioni? Nulla che avesse un concreto valore di mediazione, al contrario un aggravamento delle condizioni caotiche del paese giunte all’apice l’11 dicembre per una nuova inspiegabile mossa del capitano golpista Amadou Sanogo che, altrettanto inspiegabilmente, anziché essere da tempo agli arresti continua a tenere in scacco il paese. Perfino elevato al rango d’interlocutore, poiché Romano Prodi, in un’intervista del 15 dicembre a Radio24, aveva annunciato una visita in Mali per incontrare anche “ il lupo”, ovvero quel Sanogo che quattro giorni prima, 11 dicembre, con un secondo colpo di stato lampo aveva arrestato e costretto alle dimissioni il primo ministro Diarra. Capo di governo prontamente sostituito dal presidente Traoré con una naturalezza nell’accettare i fatti che lascia davvero perplessi, se non fosse noto il fatto che le redini del Mali in realtà sono saldamente nelle mani dell’uomo della Francia e presidente del Burkina Faso, Blaise Campaoré.
Non occorre, pertanto, un diabolico esercizio di complottismo per supporre in questo Capitan Fracassa dal berretto rosso una marionetta della Francia, la nazione che più di tutte preme per un rapido intervento militare internazionale: nella primavera prossima, altro che tra un anno! I suoi interessi sulle ricchezze minerarie della regione non ammettono ritardi e la protervia con cui ha sempre sfruttato e destabilizzato il Sahel sono un dato storico inconfutabile.
Anche nella capitale, governo in testa, vi è chi in considerazione della nullità dell’esercito nazionale vede nell’arrivo di truppe internazionali la salvezza dell’unità del paese; la nazione sta arretrando sotto ogni punto di vista e una parte della pubblica opinione, lontana dall’inferno dell’Azawad, comprensibilmente spera nel miracolo delle armi straniere.
Certamente sullo stesso versante sono gli USA, in ossequio alla dottrina Obama per l’Africa che punta a una militarizzazione del continente e a questo scopo potenzia Africom, il comando delle forze armate USA per le operazioni nel continente.
Non favorevoli, invece i due maggiori gruppi politici in armi del Nord: MNLA e Ansar Dine.
Come detto nel post Tuareg del mali nella tormenta , a Maggio queste due componenti della ribellione Azawad avevano stipulato un compromesso. Sostanzialmente si era deciso rimandare a un futuro referendum la decisione sull’adozione o meno della sharia, voluta da Ansar Dine, e di non affrontare nell’immediato la questione dell’indipendenza (voluta da MNLA) o dell’autonomia amministrativa della regione.
L’accordo sembra resistere alle circostanze avverse di cui diremo tra poco, poiché in
Per quanto si voglia vedere in quest’accordo una difesa del proprio potere sul territorio, la ragione d’essere è tutt’altro che debole. Si tratta di non peggiorare la condizione di vita della popolazione, come certo accadrebbe con gli scontri e l’occupazione da parte di truppe di paesi vicini aiutate da reparti dell’esercito. Non è difficile intravedere la possibilità che ciò dia la stura a vendette, ritorsioni, soprusi, il che aumenterebbe le dimensioni dell’esodo della popolazione, già ora elevato e che l’Onu stessa stima potrebbe arrivare a sfiorare il milione.
Proprio sulle condizioni attuali di vita della popolazione la stampa internazionale insiste a favore della missione ONU, sottolineando le violenze e le distruzioni commesse dai gruppi jihadisti. Soprusi e crimini che avvengono certamente, ma in massima parte per mano di un soggetto ben preciso che nulla ha a che fare con le rivendicazioni politiche dell’Azawad. Non evidenziare che le prevaricazioni sono opera del MUJAO crea, volutamente, l’impressione che tutte le componenti della regione siano somiglianti nell’azione criminale e passibili di un’offensiva globale.
Uno sguardo al passato per comprendere le necessarie distinzioni.
Alla nascita del movimento indipendentista MNLA, ottobre 2011, aderirono capi tribali locali, reduci delle ribellioni degli anni precedenti e i combattenti di ritorno dalla Libia. Non aderì, avendo mancato l’obiettivo di esserne il leader, Iyad Ag Ghali , un capo della ribellione Tuareg del 91 e del 2006, poi diplomatico, negoziatore per la liberazione di ostaggi nelle mani dei jihadisti dell’AQMI, sodale di vari servizi segreti (vedere post ) .
Ag Gali fondò il suo gruppo salafita, lo chiamò Ansar Dine, lo presentò in YouTube e lo fece entrare nella lotta contro l’esercito nazionale; probabilmente anche con l’eccidio di 100 soldati che all’opinione pubblica venne presentato come crimine commesso dal MNLA e suscitò una rivolta delle mogli (ved post ), primo colpo al prestigio del presidente Amadou Toumani Touré, poco dopo destituito.
Il Mujao si è fatto conoscere con l’attentato di Tamanrasset in Algeria e con il rapimento di cooperanti europei, fra i quali Rossella Urru, e ha proseguito terrorizzando la popolazione locale: taglio delle mani ai ladri, lapidazione delle donne, distruzione delle tombe. Impresa quest’ultima rilanciata dai media con gran clamore, e poca onestà allorchè gli articoli sui “mausolei” erano illustrati con le immagini delle magnifiche antiche moschee, anziché con le più modeste tombe dei santi Sufi.
Tutto questo serve a far apparire sensato agli occhi dell’opinione pubblica l’invio della forza militare, mentre l’Onu ambiguamente vota un intervento contro cui, nello stesso tempo mette in guardia.
I frutti amari di quest’ambiguità sono l’afflusso in Mali di contractor e di istruttori militari (400 solo dalla Francia), di “ jihadisti di professione” che, formando bande o unendosi a quelle esistenti, fomentano la guerra civile e favoriscono il discredito e l’emarginazione dell’unica componente che ha per la regione un progetto politico, il Movimento di liberazione dell’Azawad, MNLA.
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La ribellione dell’Azawad è disucssa in questo blog fin dall’esordio; i post sono rintracciabili alle Tag “Mali” e “Tuareg“
Raccolta di articoli in continuo aggiornamento :