Magazine Diario personale
Siamo nel 1969. Lui è Evangelos detto Eddie, figlio di un commerciante greco immigrato. Ha quarant’anni, una moglie bella e ricca e una posizione invidiabile in un’industria di tabacchi. Come si usava ai tempi, la moglie, Florence, una Deborah Kerr particolarmente sensuale, è disposta a tollerare gli innumerevoli tradimenti del marito purché egli ritorni a casa amorevole, e non sposti di un millimetro l’assetto familiare. Casa, vacanze, lavoro, figli. Un grave incidente ha però minato qualcosa dentro Evangelos, e già dalle prime scene è evidente che la relazione tra i due è in stato di avanzata decomposizione. Il protagonista, un Kirk Douglas in forze e con addominali pieni, è dunque già nel mezzo di una crisi esistenziale che sembra senza via di scampo.
In stanza da letto, in una notte calda in cui prendere sonno è difficile, Florence non fa pungolarlo con domande dirette –per quell’epoca e anche per questa- per accertarsi se quell’altra lui l’abbia già dimenticata, se non sia stato che un tradimento esclusivamente di tipo sessuale e se sia possibile –e lei dice di volerlo- cominciare a ricostruire la loro storia da dove l’avevano lasciata, cioè al famoso “inizio”. Quello uguale un po’ per tutti e che non torna più.
Lui, svogliato, disteso sul divano, preda di visioni e ricordi dell’altra, una Faye Dunaway intelligente, combattiva e moderna, non fa che prendere tempo, e come il novanta per cento dei maschi adulti mugugna qua e là mezze parole, facendo sì che sia la stessa consorte a rispondersi e rassicurarsi da sola. Ancora in bilico tra l’atmosfera ovattata di una vita matrimoniale non scelta, e la realtà assai più dura di un’esistenza autentica, Evangelos non risponde. Da applauso a scena aperta la Kerr disperata, che gli si propone in tutte le versioni possibili, moglie dolce e accondiscendente, femmina piena di appetiti, bambina giocherellona, ma Kirk, nonostante le avances esplicite, non riesce a fare sesso e vede sovrapporsi sul viso della consorte quello dell’altra bionda, la ex amante che per quieto vivere ha abbandonato. Il “compromesso” dunque non funziona più. Tra continue digressioni costruite filmicamente da Elia Kazan con trucchi all’avanguardia, con un passato che entra di prepotenza nel presente incarnandosi nel reale, fa il suo ingresso la psicoanalisi oggi così odiata dagli editori.
La sua crisi non è dovuta all’amore per Gwenn. Attraverso continue digressioni –il famoso “avanti e indietro” che tanti lettori deboli rifiutano- Evangelos inizia un processo di dolorosa analisi che lo porterà a una scelta definitiva. Perché la sua esistenza, che Gwenn – la causa esterna- gli ha fatto vedere e che non gli appartiene più, non è stata nemmeno voluta esclusivamente dal padre autoritario né dalla madre debole. L’assunto del film sta nel fatto che tutto è una concausa e nessuno è del tutto responsabile delle proprie scelte, ma se ci si accorge che la strada è sbagliata bisogna cambiare, anche per poter vivere solo un’ora in maniera autentica. Così, spogliato dall’avvocato di famiglia di tutti i beni in comune e di quelli personali Evangelos darà fuoco alla casa del padre e a tutto il suo passato per essere rinchiuso in una casa di cura dove finalmente troverà il tempo per pensare. Ma Gwen, che lui nel frattempo ha rivisto e amato e che in quell’anno di distacco ha avuto un bambino chiaramente suo, andrà a cercarlo in ospedale, dove l’amorosa moglie l’ha abbandonato per fidanzarsi con l’avvocato di famiglia, per portarlo via con sé. I tratti di questo film sono assai sfumati e sono tanti. È un film pieno, denso, pieno di punti di vista che si ribaltano di continuo. I personaggi sono costruiti alla perfezione, tutti, anche quelli secondari. L’avidità della cognata, la debolezza del fratello, la debolezza della madre, l’ipocrisia di Florence appena visibile in principio e che appare sempre più evidente e cresce con il bisogno di Evangelos di una vita diversa. “Vendi tutto, Florence, vendi ogni cosa e andiamo via”, ma lei dice no. “Ho bisogno di fare niente” le dice lui durante un altro dei tanti straordinari dialoghi. “Come fare niente?, non ti capisco” lei gli risponde.
È chiaro a chiunque dal primo istante che quei due si devono lasciare, ma Kazan vuole arrivare allo scioglimento catartico, alla scelta che non è più razionalità ma necessità impellente, azzeramento e distruzione. E questo è un motivo che ritorna sempre nei film di Elia Kazan dove gli eroi sono tutti cattivi, perdenti, impotenti, uomini e donne che devono arrivare alla rottura prima di uscire in un modo o in un altro da un quotidiano claustrofobico e invivibile. Il contrario di quanto si chiede oggi all’artista e allo scrittore, costretti per essere pubblicati a inventare una realtà sognante e tutta positiva in contraddizione a una vita dove si spende il proprio tempo alla ricerca del denaro e dove la realizzazione di sé è stata soppiantata dalla necessità di sopravvivere.
Il Romanzo dello stesso regista (“Un tram che si chiama desiderio”, “Fronte del porto”, “Baby Doll”, “La valle dell’Eden”) sicuramente irreperibile ma da leggere, il film, assai più moderno di tante pellicole di oggi, questo mese su sky Classic, da non perdere.
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