Spesso si sceglie di descrivere il regime fascista come un'ombra che ha avvolto e sottomesso l'Italia per decenni, limitandosi a racchiudere in questa metafora tutto ciò che c'è da dire su un periodo buio, oscuro, cupo e pieno di orrori. L'operazione che realizza Bernardo Bertolucci mettendo in scena l'omonimo libro di Alberto Moravia è quella di trasformare questa metafora in una scelta stilistica e tematica. Con Il Conformista il regista realizza un dramma dalle tinte noir, giocando molto con la fotografia ad opera di Vittorio Storaro, utilizzando colori freddi e giochi di luce, sfruttando al meglio le ombre che vengono create sulla scena, ma anche lasciando mano libera al montatore Franco Arcalli, che rende gli inseguimenti frenetici e carichi di adrenalina, come anche i momenti di stasi potenzialmente noiosi. Tuttavia l'occhio di Bertolucci non è quasi mai fermo, si muove anzi in continuazione, quasi a sottolineare l'agitazione interiore del protagonista Marcello Clerici (Jean-Louis Trintignant, bravissimo nella sua performance), fascista dichiarato ma non convinto, il quale viene messo di fronte ad una terribile scelta: uccidere il proprio vecchio insegnante di filosofia o disertare e rischiare la propria incolumità. Incerto, pavido e insicuro fino alla fine, Clerici si mette a nudo un poco alla volta, raccontaci pian piano tute le ombre che avvolgono il suo passato e che continuano tutt'ora a tormentarlo. Carrelli orizzontali, macchine a mano e movimenti continui rendono questa narrazione coinvolgente e mai stancante, mentre il bravo autore riscopre Platone e il suo mito della caverna rendendolo attuale nel periodo in cui è ambientata la storia e trasformando di conseguenza la metaforica ombra del fascismo in una vera figura proiettata sul muro che gli uomini ammirano certi che sia la realtà, o quantomeno l'unica realtà possibile, e non una sua proiezione. Bertolucci rende inoltre il fascismo non più un dramma comune di una nazione, ma un dilemma interiore, un problema personale che va affrontato da soli, una decisione (forzata dalle necessità dell'epoca) che comporterà una serie di incertezze e dilemmi che nessuno potrà aiutare ad affrontare. Clerici è di fatto lasciato solo nelle sue scelte, antieroe tipico del cinema noir, infedele e preoccupato, bugiardo e voltagabbana, impossibile da compatire appieno nonostante i suoi trascorsi. Ironico, inoltre, che il protagonista riesca a dissolvere le ombre del suo passato soltanto nel momento in cui Mussolini rassegna le sue dimissioni, soltanto quando appunto l'ombra del fascismo, l'unica realtà visibile fino ad allora, viene dissipata. Ora Marcello Clerici riesce ad aprire gli occhi e a scoprire che ciò che pensava accaduto in passato non era la verità: solo dopo la caduta del fascismo egli riesce ad incrociare lo sguardo di Lino, la vecchia ombra che oscurò il suo passato e il suo presente, mentre l'inno d'Italia sotto forma di popolo in massa travolge un fascista cieco, Italo Montanari, lasciato al suo destino dallo stesso Clerici, unica luce che poteva illuminare il suo cammino. E mentre le Rondinelle tornano a cantare per concludere il film, noi restiamo a guardare un antieroe disilluso, pronto ad accogliere nuove ombre come ha accolto quelle precedenti, che non ha problemi a farsi incatenare in quella caverna ancora una volta, realizzando assieme al protagonista che un lieto fine è impossibile e capendo assieme al regista che l'unico modo per rendere più cupa e oscura questa vicenda e usare i toni tipici del cinema noir.
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Spesso si sceglie di descrivere il regime fascista come un'ombra che ha avvolto e sottomesso l'Italia per decenni, limitandosi a racchiudere in questa metafora tutto ciò che c'è da dire su un periodo buio, oscuro, cupo e pieno di orrori. L'operazione che realizza Bernardo Bertolucci mettendo in scena l'omonimo libro di Alberto Moravia è quella di trasformare questa metafora in una scelta stilistica e tematica. Con Il Conformista il regista realizza un dramma dalle tinte noir, giocando molto con la fotografia ad opera di Vittorio Storaro, utilizzando colori freddi e giochi di luce, sfruttando al meglio le ombre che vengono create sulla scena, ma anche lasciando mano libera al montatore Franco Arcalli, che rende gli inseguimenti frenetici e carichi di adrenalina, come anche i momenti di stasi potenzialmente noiosi. Tuttavia l'occhio di Bertolucci non è quasi mai fermo, si muove anzi in continuazione, quasi a sottolineare l'agitazione interiore del protagonista Marcello Clerici (Jean-Louis Trintignant, bravissimo nella sua performance), fascista dichiarato ma non convinto, il quale viene messo di fronte ad una terribile scelta: uccidere il proprio vecchio insegnante di filosofia o disertare e rischiare la propria incolumità. Incerto, pavido e insicuro fino alla fine, Clerici si mette a nudo un poco alla volta, raccontaci pian piano tute le ombre che avvolgono il suo passato e che continuano tutt'ora a tormentarlo. Carrelli orizzontali, macchine a mano e movimenti continui rendono questa narrazione coinvolgente e mai stancante, mentre il bravo autore riscopre Platone e il suo mito della caverna rendendolo attuale nel periodo in cui è ambientata la storia e trasformando di conseguenza la metaforica ombra del fascismo in una vera figura proiettata sul muro che gli uomini ammirano certi che sia la realtà, o quantomeno l'unica realtà possibile, e non una sua proiezione. Bertolucci rende inoltre il fascismo non più un dramma comune di una nazione, ma un dilemma interiore, un problema personale che va affrontato da soli, una decisione (forzata dalle necessità dell'epoca) che comporterà una serie di incertezze e dilemmi che nessuno potrà aiutare ad affrontare. Clerici è di fatto lasciato solo nelle sue scelte, antieroe tipico del cinema noir, infedele e preoccupato, bugiardo e voltagabbana, impossibile da compatire appieno nonostante i suoi trascorsi. Ironico, inoltre, che il protagonista riesca a dissolvere le ombre del suo passato soltanto nel momento in cui Mussolini rassegna le sue dimissioni, soltanto quando appunto l'ombra del fascismo, l'unica realtà visibile fino ad allora, viene dissipata. Ora Marcello Clerici riesce ad aprire gli occhi e a scoprire che ciò che pensava accaduto in passato non era la verità: solo dopo la caduta del fascismo egli riesce ad incrociare lo sguardo di Lino, la vecchia ombra che oscurò il suo passato e il suo presente, mentre l'inno d'Italia sotto forma di popolo in massa travolge un fascista cieco, Italo Montanari, lasciato al suo destino dallo stesso Clerici, unica luce che poteva illuminare il suo cammino. E mentre le Rondinelle tornano a cantare per concludere il film, noi restiamo a guardare un antieroe disilluso, pronto ad accogliere nuove ombre come ha accolto quelle precedenti, che non ha problemi a farsi incatenare in quella caverna ancora una volta, realizzando assieme al protagonista che un lieto fine è impossibile e capendo assieme al regista che l'unico modo per rendere più cupa e oscura questa vicenda e usare i toni tipici del cinema noir.
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