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Il contrabbasso, Patrick Süskind

Creato il 21 luglio 2013 da Scribacchina

Pur essendo un libro di dimensioni contenute, pensavo che per iniziare e finire Il contrabbasso di Patrick Süskind mi ci sarebbero volute un paio di sere.
Invece no.

Ieri sera i miei vicini di casa, probabilmente animati dalla calda atmosfera estiva, si sono inventati una sorta di rave party privato.
Scena: rientro poco prima di mezzanotte da una tranquilla serata con amici, passata sperimentando improbabili abbinamenti tra birre artigianali e marmellate.
Già prima di scendere dalla macchina sento una sgraditissima «musica» (mettiamola tra virgolette, và), ma penso sia l’oratorio di paese con le sue feste a tema, feste rigorosamente stoppate allo scoccare della mezzanotte.
Entro, apro le finestre che danno sul retro e… sorpresa: vedo uno degli appartamenti che guardano verso casa mia illuminato come una base spaziale, con luci intermittenti e tutto il resto. Un fortissimo vociare di ragazzi, condito da qualche bestemmia, e questa sgradevole «musica»: presumo si chiami techno perché somiglia alla techno che ascoltavano i fanciullini del Number di Corte Franca alla mia epoca; questa è un po’ diversa, con dei fill tanto assurdi che sembrano rumori di centrifuga. Il tutto a un volume inconcepibile per l’assonnata mezzanotte del mio paesello.
E non datemi della bacchettona, perché anch’io ho partecipato a feste di questo tipo quando avevo vent’anni, ma si aveva il buongusto di organizzarle nell’orto del papà di B., perso in mezzo ai campi e lontano dalle abitazioni. E anche Song 2 dei Blur (uno dei pezzi immancabili in quei party), nel suo piccolo, era dieci spanne sopra questa robaccia dance.
Mi guardo in giro, ma di vicini scandalizzati non c’è traccia… ovvio, quelli che stanno a sinistra sono al mare già da una settimana; quelli a destra vanno a letto alle otto e tengono le finestre sempre chiuse, figurati se sentono qualcosa. Per tutti gli altri, conoscendoli, so già che domattina negheranno di aver sentito volare una mosca.

Che faccio?…
Di chiudere le finestre non se ne parla: a parte il fatto che anche con le tapparelle abbassate sicuramente si sentirebbe qualcosa, col caldo che fa non mi va di fare la sauna.
Ore mezzanotte e mezza: metto il basso a tracolla, infilo le cuffie (anche se la tentazione di attaccare il jack all’amplificatore e alzare il volume a livelli palco è fortissima…) e suono un po’, confidando nel passaggio di qualche bravo vigile, capace di mettere il silenziatore a questi fanciullini.

Ore una e mezza: quasi quasi stacco, sono stanca e francamente ho pure sonno. Invece i fanciulli, animati dall’inesauribile vigore della gioventù, sono ancora in pieno rave party; la «musica» è leggermente cambiata, ma è sempre pessima.
Maledizione, maledizione, maledizione!

Sul disperato andante, mi trasferisco a letto di cuffie armata, già con la prospettiva di addormentarmi sentendo musica amica. Invece, l’occhio cade sul comodino e sul libro di Süskind… di solito non leggo con musica in sottofondo, ma stavolta posso fare un’eccezione.
Le pagine scorrono: sono persa nei discorsi del protagonista e nel blues bianco di Robben Ford, in quel mondo incantato che esiste solo nella mia testa. Mentre fuori, inascoltata, si scatena la tempesta techno.

Ore tre: il libro è finito. Tolgo le cuffie e… miracolo: la «musica» è ora a livelli umanamente sopportabili, anzi è in sordina, e il vociare dei fanciulli è ridotto a un flebile sussurro.
Forse sto sognando?… Non importa: che stia già dormendo o che possa finalmente mettermi a dormire, la prospettiva è sempre felice.

***

Il contrabbasso di Patrick Süskind è un libretto agile, veloce, si legge tutto d’un fiato; nato come testo teatrale, sicuramente è più godibile da vedere e da ascoltare in quel contesto.

Protagonista è un contrabbassista frustrato, perso in un rapporto di amore/odio verso il suo strumento che viene considerato di volta in volta come una maledizione o come un mezzo per affermarsi (inutile mezzo, perché lui resterà sempre un contrabbassista di fila, nascosto e sconosciuto a chiunque).
Libretto simpatico, tutto sommato, ma francamente mi aspettavo qualcosa di più dal suo autore.

Diciamo che quello che più mi ha colpita sono tre punti di contatto tra il mio personale pensiero (e il mio vissuto) e questo scritto.

- Numero uno: Il protagonista vive e si esercita con il suo contrabbasso in una casa completamente insonorizzata, perché il frastuono della città è talmente forte che non riuscirebbe a studiare serenamente. Qui, immediato, il pensiero è corso al baccano infernale del rave party che si stava consumando proprio mentre leggevo.

- Numero due: L’assimilare la figura del contrabbasso alla donna amata, Sarah, una cantante d’opera: «Ma talvolta – dato che siamo in argomento – lei mi appare anche di giorno. Ovviamente soltanto nell’immaginazione. Io… adesso suona ridicolo… a volte immagino di vedermela davanti, molto vicina, come il contrabbasso in questo momento. E di non potermi controllare, di doverla abbracciare… così… e con l’altra mano così… quasi come faccio con l’archetto… di circondarla col braccio… o dall’altra parte, di cingerla da dietro come faccio con il contrabbasso e di appoggiare la mano sinistra sui suoi seni, come avviene nella terza posizione sulla corda sol… quando suono da solista… ora è un po’ difficile a immaginarsi – e a destra di circondarla con l’archetto, così, in basso, e poi così e così e così…». Proprio poco tempo fa mi era capitato di vaneggiare sul tema “contrabbasso” - il magnifico strumento che è (e, temo, resterà) il mio sogno nel cassetto – e di notare come sia uno strumento forte e rassicurante, che bisogna abbracciare per far cantare. Credo sia lo stesso concetto espresso da Süskind, ma espresso da un punto di vista femminile.

- Numero tre: la splendida citazione di Goethe, uno tra i miei autori preferiti: «La musica è così in alto che nessuna mente può afferrarla, e da essa si sprigiona un effetto che domina tutti e di cui nessuno riesce a rendersi conto».
E’ stato un po’ come scoprire che una persona appena conosciuta (il contrabbassista) è in confidenza con un mio vecchio, caro amico.
E’ stato bello.


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