Il controverso rapporto fra Storia e mercato
...e mettila da parte
Una riflessione sull’attuale mondo dell’arte non può prescindere oggi dal prendere in considerazione uno dei fattori ormai diventati cardine, se non vero e proprio traino, di tutto il sistema: il mercato.
Un protagonista giovane in rapporto a tanti altri ma che, relativamente in pochi anni, ha conquistato il suo posto alla cabina di comando del sistema, scalzando quella che può essere considerata sua sorella maggiore: la Storia dell’arte.
Oggi infatti, gli artisti più conosciuti e celebrati sono quelli che hanno un grande successo di mercato piuttosto che un nome consolidato all’interno dei libri di storia.Eppure è la Storia dell’arte quella che tra i due ha una vita più lunga: essa ha visto nascere il mercato nella seconda metà dell’Ottocento, quando ormai lei aveva già un bel po’ di anni alle spalle, ha passeggiato accanto a lui indicandogli la via, ha seguito la sua crescita e il suo sviluppo, assistendo infine al proprio sorpasso.
Storia dell’arte e Storia del mercato hanno infatti viaggiato per lo più su binari paralleli, fino a quando in questi ultimi decenni qualcosa è cambiato e ha stravolto completamente il loro rapporto.
Breve storia del mercato dell’arte
Ho già accennato a una breve storia del mercato dell’arte in questo articolo: Arte e soldi un connubio vecchio secoli.
Partiamo comunque dal principio, cioè dalla Rivoluzione Francese: è questo importantissimo evento che cambia tutto. Uno degli episodi svoltosi in quegli anni che ne dimostrano la rilevanza, è il tentativo di Jacques-Louis David di superare il tradizionale mecenatismo regio, ecclesiastico e aristocratico: nel 1805 l’artista francese espone al Louvre il
Da quel momento in poi l’artista non è più al servizio di un mecenate che ne ordina e finanzia le opere ma è pieno padrone di se stesso e del proprio lavoro. È libero di scegliere le dimensioni delle tele, è libero di decidere i colori, è libero di includere uno o più personaggi ed è anche libero di morire di fame. La famosa libertà, tanto agognata e posta come valore fondamentale in quegli anni, presenta, infatti, anche un rovescio della medaglia: non essendoci più committenti che ordinano e che pagano, per vivere della propria arte bisogna trovare qualcuno disposto a investire in essa parte del proprio denaro comprando le tele dipinte liberamente da qualcun altro.
Per incentivare questo scambio di beni, nascono le esposizioni che cambiano radicalmente il rapporto tra pubblico e produzione artistica e che nell’arco di un secolo si trasformeranno in veri e propri empori merci: è la nascita del mercato dell’arte come lo intendiamo noi oggi.
Il mercato dell’arte oggi
Dal 1805 al 2015 sono passati 210 anni, pochi rispetto a quelli che occupano l’intero arco della storia dell’arte, eppure molte cose sono cambiate. Nell’epoca moderna, la consacrazione di un artista è sempre avvenuta prima per opera di un critico che ne avvallava le capacità, poi dalle istituzioni che accettavano le sue opere in un museo e solo in infine, anche il mercato si allineava.
Pensiamo ai Burri, ai Fontana, ai Castellani o ai Boetti. Le loro opere non hanno sempre fatto registrare cifre straordinarie, tutt’altro: sono state innanzitutto consacrate da importanti storici o critici insigni e solo dopo si sono affermate anche a livello economico.Oggi le cose non sono più così. Le interrelazioni fra storia dell’arte e mercato dell’arte sono diventate fortissime ed è ormai quest’ultimo che ha avuto la meglio e tende a influenzare istituzioni e curatori. Gli artisti contemporanei più riconosciuti sono tutti stati consacrati dal mercato e dai grandi collezionisti prima ancora che da musei ed esposizioni. I vari Hirst, Koons e Cattelan, per citare solo i più famosi, sono artisti che hanno ricevuto riconoscimenti e importanti retrospettive in grandi istituzioni (Tate Gallery per Hirst, Centre Pompidou per Koons e Guggenheim di New York per Cattelan) solo dopo che il mercato ne aveva già riconosciuto il valore portando le loro quotazioni alle stelle. Un posto nella storia dell’arte se lo sono guadagnati a suon di aggiudicazioni milionarie, ma sarebbe sbagliato pensare che il loro successo sia tutto frutto di speculazioni finanziare di ricchi e avidi broker.
Nel mondo anglosassone, a differenza di quello italiano, esiste un fitto dialogo tra istituzioni, mercato (case d’asta e gallerie) e collezionisti. È un meccanismo rodato che ha innescato la nascita di un sistema virtuoso pronto a difendere e valorizzare gli artisti in ambito nazionale e internazionale, portandoli a diventare tra i più conosciuti e ambiti al mondo.
Per gli artisti italiani, e più in generale per quelli dei paesi mediterranei, succede qualcosa di simile ma solo qualora il loro
valore sia già comprovato da un fondamento storico culturale rilevante e spesso comunque per opera di operatori stranieri. I nostri artisti più quotati, infatti, hanno raggiunto le cifre che fanno scalpore non qui in Italia ma nelle aste londinesi e newyorkesi. I vari Fontana, Burri, Castellani o l’ultima superstar delle aste, Paolo Scheggi, per esempio, hanno ottenuto i loro record price fuori dal Bel Paese. Sembra che l’Italia, spesso fin troppo a sproposito decantata come la patria dell’arte, non riesca ad aver fiducia delle potenzialità di quegli artisti che non hanno dipinto Madonne e Cristi crocifissi, fino a quando non arriva qualcuno da oltre confine a suggerirci che quel nostro connazionale forse un po’ di valore ce l’ha.Emblematico il caso di Burri: se non fosse per la serie d’iniziative organizzate a Città di Castello, suo paese natale, il centenario della sua morte passerebbe completamente in sordina nella nostra penisola. Nessun altro museo italiano, infatti, ha progettato qualcosa d’importante e ancora una volta ha dovuto pensarci un’istituzione straniera a ricordarci la grandezza di uno dei nostri artisti più apprezzati e considerati nel mondo. Il Guggenheim Museum di New York lo celebra, infatti, con una retrospettiva degna di questo nome. Ovviamente in parallelo si stanno muovendo gli operatori del mercato americani e nei cataloghi delle case d’asta sono già apparsi importanti opere che verosimilmente segneranno nuovi record price per l’artista umbro.
Italia patri di artisti e di… mercanti
L’Italia rimane quindi un enorme bacino in cui galleristi stranieri vengono a riscoprire e riportare all’attenzione importanti artisti dimenticati dal mercato, ma ben presenti nei libri di storia dell’arte, per dare loro il successo, anche economico, che meritano. D’altronde dopo il 2008 e in seguito ai tonfi di quei giovani artisti super quotati oggi completamente spariti da aste e mercato, i collezionisti sono molto più attenti a scegliere le opere sulle quali scommettere. Anche se le cifre non sono cambiate, anzi in molti casi sono addirittura aumentate, la tendenza è quella di investire i propri risparmi sui lavori di artisti con un riconosciuto background alle spalle. È la rivincita della Storia dell’arte che sta facendo sentire il suo peso anche in questioni prettamente commerciali.
Le speculazioni esistono sempre, ma quando sono costruite su artisti che hanno un curriculum ricco e importante e i cui nomi si leggono nei libri di storia dell’arte, il pericolo di andare incontro a brutti scherzi è ridotto. Anche quando si è predisposti a un rischio più elevato e si vuole puntare sui giovani, un occhio di riferimento va sempre dato a quella grande maestra che è la storia. Un giovane artista che ha la pretesa di essere considerato tale e ha l’ambizione di lasciare un segno nella storia, deve lavorare con la consapevolezza che prima di lui c’è stato qualcuno ed è da lì, dove i suoi predecessori si sono fermati, che lui deve partire.
L’arte non è un fatto personale e tanto meno un’esclusiva faccenda di estro e d’ispirazione. Fare arte è prima di tutto una questione di preparazione e di conoscenza.
Storia e mercato possono qui trovare un punto di equilibrio.
Tu cosa ne pensi, qual è oggi secondo te il ruolo del mercato all’interno del sistema dell’arte? Mi interessa conoscere il tuo parere, lascia pure un commento qui sotto.
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