Il coraggio di un Uomo: Il giorno della civetta

Creato il 13 luglio 2014 da Lucia Savoia

Una scena dell'omonimo film di Damiano Damiani

Il giorno della civetta è la storia di un “duello”: quello tra il capitano Bellodi e il capomafia Mariano Arena. È la storia di una Mafia agricola, non ancora urbanizzata, che però non è poi così distante da quella di oggi. Ma tutta la storia è soprattutto una metafora, quella della ragione che si pone alla ricerca di una verità pesante e scomoda, tra politici e complici, comparse macchiettistiche e collusi con la Mafia, che per paura, vigliaccheria o menefreghismo si rifiutano di testimoniare.
Leonardo Sciascia s’ispirò ad un episodio realmente accaduto:  il delitto di Accursio Miraglia, un sindacalista ucciso dalla mafia nel gennaio del 1947. Anche Bellodi è ricalcato su un carabiniere realmente vissuto di nome Renato Candida che, avendo capito troppe cose , prontamente venne trasferito in Piemonte dopo aver pubblicato uno dei primi libri su Cosa Nostra.  La Sicilia e la presenza soffocante della Mafia sono, per Sciascia, immagini esemplari della realtà italiana e il capitano dei carabinieri venuto dal Nord, costretto a scontrarsi con la burocrazia e le falsificazioni, rappresenta la giustizia che finirà per soccombere, vittima in minoranza di una società collusa e corrotta fino al midollo.
Questo è il punto su cui bisognerebbe far leva. È inutile tentare di incastrare nel penale un uomo come costui: non ci saranno mai prove sufficienti, il silenzio degli onesti e dei disonesti lo proteggerà sempre. Ed è inutile, oltre che pericoloso, vagheggiare una sospensione di diritti costituzionali. Un nuovo Mori diventerebbe subito strumento politico- elettoralistico, braccio non del regime, ma di una porzione del regime. Qui bisognerebbe sorprendere la gente nel covo dell’inadempienza fiscale come in America. Ma non soltanto le persone come Mariano Arena e non soltanto qui in Sicilia. Bisognerebbe di colpo piombare sulle banche; mettere mani esperte nelle contabilità, generalmente a doppio fondo, delle grandi e delle piccole aziende. E tutte quelle volpi, vecchie e nuove, che stanno a sprecare il loro fiuto dietro le idee politiche, sarebbe meglio si mettessero ad annusare intorno alle ville, le automobili fuoriserie, le mogli, le amanti di certi funzionari: e confrontare quei segni di ricchezza agli stipendi e tirarne il giusto senso. Soltanto così ad uomini come don Mariano comincerebbe a mancare il terreno sotto i piedi. In ogni altro paese del mondo, una evasione fiscale come quella che sto constatando, sarebbe duramente punita. Qui con Mariano se ne ride, sa che non gli ci vorrà molto ad imbrogliare le carte.
Sciascia mette tali parole in bocca al Bellodi e viene da chiedersi quanto queste suonino attuali al nostro orecchio. Eppure siamo nel 1961, la mafia non aveva ancora avuto quell’escalation disastrosa legata a droga, finanziamenti importanti, riciclaggio e traffico d’altro tipo. Puntare sul capitale e fare dimostrare all’indagato da dove proviene il denaro è cosa più fruttuosa che indagare su un omicidio e, seppur complicata, porterebbe alla luce tanto di quel marcio che soffoca la società. L’attualità di Sciascia, profetica e terrificante se vogliamo, sta tutta nel continuare ad avere la forza ed il coraggio di dire No alle menzogne, ai poteri occulti, alle belle parole di uno Stato che, per citare De Andrè “si costerna, s’indigna, s’impegna poi getta la spugna con gran dignità”.
È in questo libro che troviamo la frase passata alla storia: "Ci sono Uomini, mezzi uomini, ominicchi, piglianc..., quaquaraquà..." che è la cosiddetta filosofia di Don Mariano esposta  in massima lapidaria a Bellodi. Nel film di Damiano Damiani quel “piglianc…” è diventato “ruffiani” per non incorrere nella censura sempre in agguato ma, in entrambe le versioni, quelle parole sono diventate un classico.
Bellodi è un Uomo, Sciascia con lui e gli uomini sono merce rara al giorno d’oggi come allora. In un mondo in cui i quaqquaraquà “Che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre” sono il prodotto standard della società, il coraggio, quello che manca già ai mezzi uomini, il coraggio di non abbassare ossequiosi  la testa davanti al potente, rappresenta  il punto da cui ripartire.
Articolo originale di Sentieri letterari. Non è consentito ripubblicare, anche solo in parte, questo articolo senza il consenso del suo autore. I contenuti sono distribuiti sotto licenza Creative Commons.

Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :