Magazine Cinema
"Mission:Impossible" rimane il franchise d'azione più fieramente antirealistico degli ultimi decenni. Il motivo per cui adoro "Protocollo fantasma", il quarto, testosteronico capitolo della serie, è perché intercetta nell'eccesso, nel parossismo e nell'iperbole la vera missione di questo cinema: esplodere, facendo in modo che il proprio corpo sopravviva al fuoco.
Se ogni M.I. gioca a superare se stesso (non in termini qualitativi quanto in termini spettacolari-quantitativi) in "Protocollo fantasma" è il piano stesso dell'azione "impossibile" a plasmare il film in un ossessivo "sempre di più". E' un cinema, questo, completamente libidinale, modellato dal machismo impossibile e cinematografico dell'icona maschia. E' un crescendo in cui ogni azione deve apparire sempre come la più grande, per poi essere risemantizzata e "ridotta" dal climax successivo. "Protocollo fantasma" è un'opera-feticcio, l'oggetto di godimento ininterrotto dello spettatore-giocatore attratto da velocità ipersoniche e altezze vertiginose. Superarsi: parola d'ordine, regola aurea, precettivo fondativo e sempre bulimico, sempre rinviato, sempre riformulato.
L'impossibile sfida il ridicolo, lo ingloba e gli fa la corte, proiettando l'azione in situazioni eccedenti, all'interno di un regime dell'oltre popolato di tempeste di sabbia, grattacieli da scalare, avanguardismi proiettivi e ovviamente un po' di sana fantascienza emotiva. Ecco allora che il corpo si fa elastico e ipercinetico, fino a(s)fondarsi e a trasformandosi in autentico corpo animato. L'azione adrenalinica e iperrealistica (da leggere: antirealistica) slitta verso il cinema d'animazione. Non è un caso che alla regia sia subentrato Brad Bird, celebre regista pixar, che usa il CruiseCorpo (corpo-attore "impossibile" che "manca" letteralmente al tempo) come un cyborg indistruttibile, che corre, combatte e salva il mondo, ma non ha mai un capello fuori posto. Così facendo designa l'animazione come destino del cinema d'azione che vuole eccedere se stesso. Ancora una volta la morte non esiste perché non è (mai) stata inventata.
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