Il device di carta che mi hanno regalato al compleanno è il secondo libro di Paolo Giordano.
Uno che di mestiere faceva altro e si è ritrovato a vendere svariati milioni di copie in giro per il mondo dei suoi “Numeri primi”, per non dire dei diritti d’autore del bel film che ne hanno tratto.
Io li avevo amati parecchio, quei numeri primi, al solito mio nella corrente della ggente e controcorrente rispetto a quelli che la narrativa italiana fa cagare e quel libro in particolare.
Io, come detto, li avevo amati parecchio e quando ho visto in libreria “Il corpo umano” nella sua edizione ipertrofica mi sono detto.
a) sarà deludente
b) sarà bello come il primo
c) ci farà capire quanto il primo fosse sopravvalutato (e in verità questa ipotesi mi atterriva un po’ perchè io, non so se l’ho detto, quei numeri primi li ho amati parecchio).
Alla fine nessuna delle tre è stata la risposta giusta perchè “Il corpo umano” è, semplicemente, più bello del primo.
Perchè rispetto ai numeri primi – che ho peraltro molto amato – questo è un libro più maturo. Un libro da scrittore, non da scienziato.
Ci sono le stesse emozioni del primo, la stessa straordinaria capacità di focalizzare personaggi angosciati e angoscianti che dapprima pensi “uh, come sono sfigati” e poi ti chiedi come mai ti somigliano così tanto.
Là c’erano Alice e Mattia, qui ci sono Egitto, Cederna, Ietri, Torsu, Zampa, Renè.
Sono soldati italiani in missione in Afghanistan, gente che va a fare la guerra – ed è una scelta impopolare quella di parlare di soldati in un paese di pacifisti – pensando di silenziare il rumore interiore delle esplosioni delle loro vite “civili”.
La guerra non cura, però, e i nostri torneranno (non tutti) con cicatrici visibili aggiunte a quelle, non curate, che si portano dentro.
Dicevo che questo libro è comunque più organico, rispetto ai numeri primi, e soprattutto rispetto alla parte di Alice e Mattia adulti che non mi aveva convinto fino in fondo nelle scelte narrative.
Qui invece si cresce, si conoscono i personaggi, si va con loro in missione e gli si resta vicino nel dramma, nel ritorno, nelle non soluzioni.
Alla fine ti mancano e, come ho già avuto modo di dire, è la cartina di tornasole che un libro funziona.
(Unica notazione negativa. Non puoi chiamare il maresciallo figo Renè e non aspettarti che io me lo immagino con la faccia di Pannofino per tutto il libro)