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Il corridoio di legno – Giorgio Manacorda

Creato il 08 giugno 2012 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

Il corridoio di legno – Giorgio ManacordaGiorgio Manacorda esordisce in letteratura e al Premio Strega con Il corridoio di legno (Voland).

Recensione di Emanuela D’Alessio

«Lo Strega non è una mia idea però la casa editrice ci crede e va benissimo, sono contento» ha dichiarato Giorgio Manacorda all’Ansa, in occasione del suo tardivo esordio letterario. «Il corridoio di legno è breve ma ha avuto una gestazione lunghissima, di circa trent’anni. Scrivevo, non ero contento, lasciavo perdere, ci tornavo. Poi si è aperto qualcosa, mi sono avvicinato sempre di più a quello che volevo dire» spiega l’autore, esperto germanista, poeta e critico letterario.
«Non è un romanzo autobiografico, anche se ci sono delle cose vere. Forse per il tipo di sofferenze e problemi che affronta può essere considerato un romanzo generazionale. Nel libro immagino l’Italia di quegli anni con un regime sudamericano, una situazione come quella dei Colonnelli in Grecia. Ho sempre pensato che ci fosse uno scollamento perché per fare il terrorismo ci deve essere uno Stato autoritario mentre in Italia c’è sempre stata la democrazia. I comunicati delle Br sembravano deliranti perché parlavano di una realtà che non c’era, di uno Stato terribile che bisognava combattere con le armi. Io ho fatto il Sessantotto, conosciuto gente dell’ala estrema, e mi sono sempre sembrati scollati dalla realtà».
E lo è anche questa storia “scollata dalla realtà”, perché «la realtà è un testo da interpretare, correggere, rivedere e ridurre a un racconto coerente. Talvolta, dopo aver compiuto questo lavoro, così simile a quello di un correttore di bozze, il senso rimane inafferrabile e confuso il nome del nemico che stiamo combattendo. La vita non si può dire così com’è. Eppure non possiamo fare a meno di raccontarla».
Manacorda inserisce il terrorismo degli anni ’70 in un’ambientazione immaginaria, senza la pretesa di un’interpretazione e di una ricostruzione storica, senza tracciare bilanci, offrire risposte, ma con l’unico intento di interrogarsi sulla vanità delle ideologie, le origini del male e della violenza, l’ineluttabilità della solitudine e l’orribile perversione degli uomini. «Siamo tutti feroci, e lo siamo da subito. Il resto non è che conseguenza o ripetizione».
Attraverso la storia di due fratelli, Andrea e Silvestro, uniti e divisi da una feroce competizione, Manacorda ricostruisce il percorso accidentato che ha dato vita alla lotta armata e lo fa servendosi di un poliziotto che torna a Berlino per cercare risposte, per scoprire come alla base della rivoluzione si annidi soltanto violenza. Vuole sapere che fine hanno fatto i due fratelli e il gruppo di amici con cui ha trascorso nel collegio di Berlino gli anni dell’adolescenza.
Andrea soffre d’asma, «senza il lusso di una corsa, mesi di letto e di letture, non sapeva che l’asma gli serviva per non vedere il mondo e non sapeva che quello sarebbe stato il suo modo per attraversarlo senza che gli altri lo vedessero per quello che era». Dopo il collegio è rimasto a Berlino, si è legato a Lotti «tranquilla, tristissima e radiosa», e ha trovato un lavoro presso una casa editrice. Poi è tornato a Roma, in cerca del fratello Silvestro, per il richiamo ineludibile delle radici. «Le radici affondano da qualche parte anche se non lo sai. Un bel giorno cominciano a tirare e ti fanno un po’ male, poi sempre di più, finché sei costretto a seguirle, e a inabissarti con loro».
Silvestro e gli amici del collegio si sono consegnati alla lotta armata una volta rientrati in Italia. Poi «da leader della rivolta studentesca Silvestro era diventato il suo esatto contrario, il capo della reazione e, nella sua forma peggiore, quella della Milizia, instaurata per reprimere la contestazione e il terrorismo». Silvestro vuole tutto il potere, ed è disposto a qualsiasi cosa per ottenerlo. Terrorismo non come necessità ideologica quindi, ma come prosecuzione di una violenza le cui radici affondano nel privato microcosmo di ciascuno. «La verità è sempre sepolta da qualche parte molto a fondo, sepolta in pozzi innominabili, reali e metaforici».
Sono molteplici, profonde e dolenti le riflessioni che il Giorgio-poliziotto e il Giorgio-autore elaborano in questo viaggio immaginario ma radicato nella realtà, nel tempo e nello spazio, tra Berlino, Roma e l’isola Bisentina (sul lago di Bolsena). Ascoltando i propri ricordi e quelli altrui, riportando alla luce incubi e lutti di un’epoca e di una generazione, Manacorda mescola con abilità e disinvoltura il tempo e i luoghi, affida a dialoghi e monologhi interiori, a frammenti epistolari e a stralci di un diario il dipanarsi di una storia che si inerpica verso una tragica conclusione: il crollo delle illusioni, delle speranza, del senso della vita. E lo stile raffinato e colto, la scrittura di rara compattezza metaforica, l’introspezione accurata, non alleviano l’immanente senso di nostalgia di cui è intrisa ogni pagina, quella Sehnsucht, l’intraducibile parola tedesca che esprime il sentimento cui soltanto i portoghesi hanno dato un nome equivalente: saudade. «Tendere sempre a qualcosa di sconosciuto eppure goduto, sentire il desiderio di un’esperienza che non si sa di aver avuto. È il bisogno della ripetizione dell’ignoto». Una sorta di nostalgia panica da cui Silvestro avrebbe dovuto salvarsi per trovare un rimedio, una compensazione alla solitudine. Ma non c’è salvezza, soltanto amara e inutile consapevolezza.
«Non avevamo capito niente. Dell’inutilità, della caduta di tutte le speranze. Di una vita spesa in grandi battaglie di principio per ridursi a mungere le vacche, e a scrivere poesie per avere la sensazione di esistere ancora».
«Sulla faccia di Silvestro era dipinto il niente di un mondo senza padri, il crollo di un mondo interiore affollato di padri irraggiungibili. Di padri da emulare senza che l’emulazione fosse più possibile. I figli degli eroi fanno questa fine. Assistevo all’ultimo atto di una recita che era stata la replica di qualcosa che aveva avuto luogo prima della nascita del protagonista».

 Nota sull’autore
Il padre partigiano. L’amicizia con Pasolini. La poesia. Giorgio Manacorda, nato nel 1941, è un intellettuale a tutto tondo. Da Moravia a Pasolini, da Musatti a Luzi, da Zavattini a Bassani, ha conosciuto ed è stato in confidenza con tutti. Esperto e docente di letteratura tedesca, critico di poesia, ha collaborato con le pagine culturali dei più importanti quotidiani italiani. Ha pubblicato otto libri di poesia, il più recente è Scrivo per te, mia amata e altre poesie (1974-2007), Scheiwiller 2009.
Il corridoio di legno è il suo primo romanzo.

Per approfondire:
Leggi l’intervista di Antonio Prudenzano a Giorgio Manacorda su Affari italiani
Leggi la recensione su l’Unità
Leggi la recensione su il Manifesto
Leggi la recensione su Fuori le Mura

Giorgio Manacorda, Il corridoio di legno
Voland, 2012
pp. 159, €13,00


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