Il corridoio di sviluppo eurasiatico e la posizione dell’India

Creato il 29 giugno 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

A causa della geografia e della storia coloniale, negli ultimi due secoli e mezzo l’India è stata piuttosto marginalizzata rispetto all’Asia Centrale. La politica britannica è stata plasmata da strategie legate al Grande Gioco, come quella di utilizzare l’Afghanistan e l’Iran come Stati cuscinetto in modo tale da mantenere la Russia e l’entroterra eurasiatico alla larga dal Subcontinente. Poiché per il Regno Unito l’unica via di accesso all’India era rappresentata dal mare, i collegamenti via terra erano strettamente controllati e talvolta bloccati per il timore che potessero essere utilizzati da nemici o avversari. In linea con la sua posizione ai margini dell’Europa, la Gran Bretagna definì l’India come una parte della periferia dell’Heartland di Mackinder. Regioni periferiche come il Myanmar, il Tibet e la catena dell’Hindu Kush furono colonizzate o presidiate; il fiume Amu Darya fu indicato come l’estremo limes nordoccidentale dell’impero indiano. Una dottrina simile vede oggi l’Occidente, sotto la guida degli Stati Uniti, tentare di mantenere in pugno l’Afghanistan e di riportare l’Iran sotto il suo controllo, invocando una serie di pretesti diversi.

Tuttavia, negli ultimi anni, in seguito alla nuova situazione strategica, diversi esperti militari indiani hanno sostenuto la necessità di un mutamento del ruolo dell’India nell’intera regione1. A partire dal giugno 2012 Nuova Delhi ha formalmente presentato domanda di ammissione all’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai (OCS) e contemporaneamente sta crescendo il suo impegno concreto nell’associazione dei BRICS. Secondo la comunità strategica del paese il mercato unico più promettente dell’intera regione è quello che comprende il nord del Subcontinente e le aree del Tibet e della Cina Meridionale2.

Una conseguenza inevitabile di questa piega politica è lo sviluppo di vie di comunicazione tra Turkmenistan, Uzbekistan e Pamir, tra i passi del Karakoram e l’Himalaya, insieme agli oleodotti e gasdotti in fase di preparazione fra i territori dell’Iran, del Pakistan e dell’India (IPI) e fra quelli del Turkmenistan, dell’Afghanistan, del Pakistan e dell’India (TAPI). La realizzazione di quest’ultimo progetto ha preso il via in occasione dell’incontro avvenuto nel maggio 2012 ad Azara in Turkmenistan tra i rappresentanti dei quattro governi. Secondo i piani, il gasdotto trasporterà dal giacimento dello Yolotan e per 1763 km 90 milioni di metri cubi di gas naturale, non uniformemente distribuiti lungo le tre nazioni beneficiarie.

Affinché la pipeline sia adeguatamente protetta e avvantaggi i paesi che ne sono attraversati, sarebbe necessario pianificare un corridoio di sviluppo lungo tale percorso, simile a quello eurasiatico previsto tra Cina, Kazakistan, Kirghizistan e Russia, specialmente per l’importanza di pacificare l’Afghanistan, costruendo e diffondendo prosperità in un paese tanto lacerato dai conflitti. Sia l’India che il Pakistan hanno gradito l’interesse della Russia a partecipare al progetto, sia finanziariamente che dal punto di vista tecnologico.

Oltre al difficile futuro dell’Afghanistan, il problema maggiore, sia per la costruzione del TAPI sia per la complessiva reintegrazione dell’India all’interno del tessuto economico eurasiatico, riguarda il Pakistan, la cui creazione fu sostenuta dagli inglesi per poter controllare l’accesso indiano al Medio Oriente e all’Asia Centrale. Gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali hanno successivamente rilevato questa politica, ponendo di fatto finora un veto sulle relazioni indo-pakistane. Tuttavia, il recente e sempre più forte allontanamento tra Washington e Islamabad ha avuto come corollario un nuovo desiderio di cooperazione tra i due paesi dell’Asia Meridionale, mossi da una convergenza di interessi economici. Pertanto, l’accordo per il TAPI è stato alla fine raggiunto e l’attesa visita del Presidente russo Putin in Pakistan favorirà la tendenza alla riconciliazione regionale, reciprocamente vantaggiosa, nell’ambito della SAARC (South Asian Association for Regional Cooperation – Associazione dell’Asia Meridionale per la cooperazione regionale) e dell’OCS. Un passo in avanti in questa direzione si è avuto con l’inclusione dell’Afghanistan nella SAARC allo scopo di favorire la sua partecipazione alle nuove sinergie regionali.

L’obiettivo dell’India, nonché del Pakistan, dovrebbe essere quello di emulare la Cina, inserendosi nella rete ferroviaria e stradale pan-eurasiatica, che ha già comportato nel luglio 2011 l’inaugurazione di una linea ferroviaria diretta di treni merci da Chungqing in Cina a Duisburg in Germania3. La Russia ha avanzato la proposta di una linea ferroviaria indo-siberiana che si estenda dalla regione degli Urali a tutta la Siberia meridionale. Kazakistan, Kirghizistan, Tajikistan, Afghanistan e Pakistan4 osservano con favore al nuovo tratto sino-eurasiatico in programma, che collegherebbe Kashgar nello Xinjiang con Andijan nella Valle di Fergana per estendersi fino al Tajikistan e all’Afghanistan. Come evidenziato in precedenza, l’India ha già stretto accordi strategici con Mosca e il Kazakistan oltre ad avere investimenti di natura energetica in Russia, Iran e vari altri Stati dell’Asia Centrale.

La ferrovia trans-tibetana costruita dalla Cina offrirà un’ulteriore opportunità di collegamento tra l’India e il suo vicino settentrionale qualora la linea venga estesa a Katmandu in Nepal dove si collegherebbe alle ferrovie indiane settentrionali. L’esistenza di garanzie reciproche di sicurezza sarebbe la precondizione fondamentale per l’apertura di questa via di comunicazione.

A causa delle restanti incertezze nella sua relazione con il Pakistan, l’India si è finora focalizzata sulla prospettiva del Corridoio Nord-Sud che, da Bandar Abbas in Iran, giunge a Merw in Turkmenistan per collegarsi, attraverso Samarcanda e Tashkent, con le arterie est-ovest dall’Europa alla Cina; si tratta del più corto tratto stradale che collega il Golfo Persico, il bacino dell’Oceano Indiano e l’Europa oltre che la Cina. Questo corridoio passa parallelo alla Cina e al Pakistan, ai collegamenti tra Karachi e Gwadar sull’Oceano Indiano e i territori dello Xinjiang, attraverso la parte di Kashmir occupata dal Pakistan. È ovvio che un avvicinamento tra India e Pakistan sulla questione del Kashmir consentirebbe all’India di utilizzare questa arteria per il commercio con la Cina e l’Asia Centrale.

Ammesso che una situazione stabile si possa determinare tra Nuova Delhi e Islamabad, la linea da Lahore a Peshawar potrebbe essere estesa a Kabul, passare oltre il fiume Amu Darya fino all’Uzbekistan, offrendo un collegamento più veloce e diretto tra il cuore dell’Asia Meridionale e il centro del continente eurasiatico, oltre che un asse per un corridoio di sviluppo in un’area densamente popolata che ha sempre rivestito un ruolo centrale nella storia di questa parte del mondo.

Gli Stati Uniti, in quanto successori della talassocrazia britannica, nutrono molti dubbi in merito a tali progetti in quanto potrebbero ostacolare i loro piani di promozione dell’India quale “cardine”, termine usato dal Segretario alla Difesa Leon Panetta, per via del suo dispiegamento militare nell’Oceano Indiano sotto l’egida del Commando del Pacifico che il Pentagono intende espandere, trasferendo fino al 60% delle sue attività navali nella regione. Secondo la dottrina ufficiale statunitense, l’India è destinata a diventare un “fornitore di una rete di sicurezza”, (per gli Stati Uniti e i suoi alleati) nell’area compresa tra il Sud Africa e l’Indonesia. Pertanto l’India non dovrebbe legarsi troppo, dal punto di vista economico, a Cina, Russia, Iran e agli altri attori eurasiatici. Washington spera infatti di mantenere il potenziale controllo delle rotte commerciali, specialmente i collegamenti energetici tra l’Africa e l’Asia (ovvero la Cina e i suoi vicini) allo scopo di mantenere inalterato il suo dominio strategico. Dunque un’Asia divisa gioverebbe maggiormente agli obiettivi del Pentagono, per non parlare dei dividendi economici derivanti da una continua corsa alle armi tra i principali Stati della regione.

Nella nuova versione statunitense del Grande Gioco, come già avvenuto con gli inglesi, l’India dovrebbe esercitare il ruolo di potenza periferica, garantendo l’equilibrio dei poteri continentali sotto la direzione di Washington. Se la Casa Bianca userà la NATO per catalizzare il cambio di regime in Siria, ricorrerà a questa vittoria tattica per accerchiare ulteriormente l’Iran e per ostacolarlo al fine di rovesciare anche questo governo; contemporaneamente l’India e gli altri Stati della regione subiranno pressioni fortissime affinché sospendano a oltranza i propri piani d’integrazione economica in attesa di una riorganizzazione dell’area centrale e occidentale dell’Asia sotto l’amministrazione occidentale.

Ad oriente, la politica del “Guardare a Est” ha portato l’India nel 1997 a costituire il BIMSTEC (Iniziativa della Baia del Bengala per la Cooperazione Tecnica ed Economica Multisettoriale – Bay of Bengal Initiative for Multisectorial Technical and Economic Cooperation) e ad aderire, con la Cina e altri cinque Stati del sud-est asiatico, alla Grande subregione del Mekong (GMR) con l’obiettivo di pianificare grandi progetti tra cui la ferrovia Delhi-Hanoi e la sezione orientale dell’autostrada Transasiatica, come parte del progetto di cooperazione Mekong-Ganga. L’India dunque si impegna a far rivivere la Via della Seta meridionale all’interno della Commissione del quadrangolo economico congiunto (JEQC – Joint Economic Quadrangle Committee).

Sebbene vi sia una componente di rivalità con la Cina su questi progetti per lo sviluppo di grandi infrastrutture, essi non si possono realizzare congiuntamente se le due maggiori potenze asiatiche non riescono a mettere da parte le loro divergenze e perplessità nel più ampio interesse regionale e nazionale. Forum come l’OCS, il Forum regionale dell’ASEAN, l’Est Asia Summit e il Dialogo per la Cooperazione Asiatica, nonché il BRICS possono agevolare e catalizzare tali sinergie, creando piattaforme pluralistiche in grado di esaminare i progetti delle potenze esterne.

Un’ulteriore e critica obiezione mossa dagli Stati Uniti e dai loro più stretti alleati occidentali alla strategia del corridoio di sviluppo asiatico, deriva dal fatto che questo piano comporta generalmente la riforma del sistema monetario internazionale in base agli scambi di valuta nazionale tra i principali promotori della nuova architettura. Diversi economisti indiani5 hanno rilevato gli elevati potenziali vantaggi che il paese trarrebbe da un solido sistema di scambio sviluppato tra i membri dei BRICS e dell’OCS, come proposto da Russia, Cina e altri Stati, come l’Iran e il Kazakistan. Gli eventuali benefici includono la protezione concreta dalle fluttuazioni imprevedibili e dalla perdita di potere d’acquisto dovuto alla svalutazione rispetto alla valuta statunitense; notevoli risparmi sul costo delle transazioni, l’emancipazione del capitale nazionale dall’opprimente coercizione delle condizioni di riserva del dollaro; inoltre la libertà dai diktat politici e da sanzioni unilaterali applicate a proprio piacimento da Washington nei confronti di altri Stati. In questo modo gli Stati aderenti potrebbero estendere l’un l’altro ingenti quantità di credito per il commercio, il finanziamento di progetti e lo sviluppo d’infrastrutture.

Come Kapadia (vedi nota 5) sostiene: “La RBI (Banca centrale indiana – Reserve Bank of India) potrebbe offrire allettanti prestiti in renminbi alle imprese attraverso la Banca di Import-Export, per finanziare gli affari cinesi e garantire (così) il pagamento senza preoccuparsi della fornitura di dollari”.

L’economista indiano Ramgopal Agarwala6 è stato uno dei primi a proporre una Banca asiatica comune, o Fondo per le Infrastrutture Asiatiche (FIA), finalizzata allo sviluppo infrastrutturale e che attualmente sembra essere in lavorazione all’interno del BRICS, in base alle decisioni prese nel 2012 al vertice di Delhi. Agarwala sosteneva il ricorso a PPP (Partenariati Pubblico-Privati), modalità utilizzata dalla Società indiana per il finanziamento infrastrutturale, Infrastructure Finance Company Limited (IIFCL), e valutata come uno dei mezzi preferiti per attrarre investimenti massicci in progetti fondamentali, identificati come priorità pubbliche nazionali e internazionali. Prospettò, inoltre, che questo nuovo organismo (FIA) potrebbe generare l’equivalente di circa 150 miliardi di dollari, innalzando la crescita media del PIL degli Stati aderenti dell’uno o due percento annuo.

Considerata la portata della sua economia e delle sue esportazioni, la Cina è destinata a giocare un ruolo guida all’interno di questo sistema, sebbene occorra trovare delle soluzioni per non perpetuare i disavanzi che la maggior parte degli altri membri del BRICS e dell’OCS continuano a contrarre nei loro scambi con la Repubblica popolare cinese. La Cina già utilizza il sistema di scambio di valuta su vasta scala nelle sue transazioni con Russia, Australia, Giappone e India, per menzionare le maggiori economie, e questo sistema si sta estendendo con formule diverse anche a Brasile e Iran, il quale, per le forniture di petrolio e gas, accetta pagamenti in yuan, renminbi e in rupie.

La proposta cinese di un Fondo per lo sviluppo edilizio congiunto trans-eurasiatico (TEJCDF – TransEurasian Joint Construction Development Fund), avanzata dal Prof. Bei Liang, presumibilmente concepita come un PPP tra governi e investitori privati dell’intera regione, è destinata ad attrarre il forte interesse indiano; tuttavia, sono forti i sospetti all’interno dei circoli ufficiali indiani secondo i quali l’OCS, che il Presidente Hu Jin Tao ha recentemente definito una “fortezza di sicurezza e stabilità regionale e una forza motrice dello sviluppo economico regionale” (“Xinhua”, 7 giugno 2012) sia usata da Pechino a fini strumentali per controllare la regione dell’Asia Centrale e per acquisire la leadership del continente.

Nonostante confermi continuamente una minaccia d’intervento militare diretto in Medio Oriente, intralciando in maniera considerevole le rotte commerciali globali e “rimescolando le carte”, il governo statunitense non è riuscito finora a prevenire la rapida espansione di questo sistema globale alternativo che sta rimuovendo il dollaro da un settore molto ampio dell’economia internazionale. Ancora più dannosa sarebbe per gli Stati Uniti la decisione dell’Arabia Saudita di accettare pagamenti in altre valute; indebolirebbe inevitabilmente il petrodollaro, che ha rappresentato il pilastro del potere economico statunitense dal 1973, anno in cui Washington abbandonò il gold standard. Una scelta simile sarebbe sicuramente condizionata dalla percezione delle capacità degli Stati Uniti di fermarla e cambiarla, ma alla fine probabilmente una decisione verrà presa.

Agarwala sperava che i responsabili della politica statunitense potessero accogliere positivamente la creazione di un meccanismo finanziario asiatico autonomo dalle finalità precedentemente descritte. Assorbendo gran parte dei risparmi delle nazioni in via di sviluppo, esso costringerebbe gli Stati Uniti a porre fine a disavanzi insostenibili che durano ormai da molti anni, in quanto principale Stato debitore e importatore del mondo; tuttavia ben pochi pazienti sono disposti a mandar giù una medicina particolarmente sgradevole quando credono di avere un’alternativa.

(Traduzione dall’inglese di Daniela Rocchi)


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