L’ho sempre detto: in libreria ci devo andare da sola.
In piena libertà, coi miei tempi e – soprattutto – con occhi e orecchie bene aperti, pronta a cogliere il flebile «sono qui!» del libro che mi sta cercando.
Perché quella vocina è timida, ed è ovvio che se ne stia zitta quando mi trovo in comitiva. Peggio se con persone stanche, accaldate e temporaneamente allergiche alla carta.
In occasioni di questo tipo, forse dovrei dire ai gitanti: «Potete fermarvi? Vado e torno, ci metto un secondo». Invece, senza avvisare, come un fulmine entro in libreria, mi guardo in giro e in una frazione di secondo decido cosa prendere; pago, torno in strada e mi precipito verso la comitiva, che ora è lì, in fondo alla via – la vedete anche voi, no? -, passo svagato e una domanda che aleggia nell’aere: dove diavolo è finita Scribacchina?
Se quindi in una situazione normale è il libro che mi chiama, in una situazione d’emergenza – come quella appena descritta, svoltasi quest’estate in Sicilia – la scelta diventa pura casualità. L’occhio è caduto su alcuni libri di ignoti scrittori locali; e quelli ho preso, confidando nella buona sorte.
Per il momento, posso dire che la sorte è stata… normale: né buona né cattiva. I libri siciliani che ho scelto non hanno un particolare appeal, non mi hanno lasciato addosso grandi emozioni, brividi o sensazioni degne di nota. Come Il crepuscolo della nobiltà di Fulvio Maiello, che immagino nessuno di voi abbia mai letto (sai che novità, Scribacchina: è come chiedere a un non bergamasco se ha mai letto un romanzo di P.M. o di M.C. – non fatemi dire i nomi interi, per pietà… lasciarli nell’anonimato mi autorizza a dire che la loro produzione è roba pessima).
Ad ogni modo, una delle poche cose che mi sono piaciute del romanzo di Maiello è proprio il giorno in cui l’ho preso: pieno di sole – come lo è una giornata estiva di Sicilia -, con quel caldo che è sempre gradito, anche quando è eccessivo. La libreria era poco più di un buco nel centro di Avola, con gli scaffali pieni di libri ingialliti (l’occhio è caduto anche su alcuni Pirandello del 1975 – gran bella annata, direi). A gestirla, un ragazzo che avrà avuto sui 25 anni e che ha osato abbordarmi usando la terza persona singolare: «Mi dica pure, se ha bisogno posso aiutarla». Scostumato! Scribacchina non è anziana! Scribacchina si apostrofa sempre con la seconda singolare – eventualmente con la seconda plurale, se vogliamo fare i raffinati.
Sto divagando.
Tornando a Fulvio Maiello e al suo romanzo, anziché una recensione tout-court preferisco proporre una cosa per punti, forse più semplice da digerire per voialtri soliti lettori che non conoscete né libro né autore – e dei quali, forse, non v’interessa nemmeno sapere.
Non importa. Volenti o nolenti, vi sorbirete il commento alternativo della sottoscritta.
Procedo.
***
FULVIO MAIELLO
IL CREPUSCOLO DELLA NOBILTA’
LIBRERIA EDITRICE URSO
anno domini 2010
- Trama in una frase (ogni tanto Scribacchina ha il dono della sintesi)
I cambiamenti della nobiltà siciliana nella metà del XX secolo, tra declino e rinnovamento.
- Bocciato perché
Pur essendo scritto in maniera corretta (a parte – incredibile! – un unico refuso) è un romanzo piatto, senza grandi emozioni.
- Bocciato perché | Il peggio del peggio
Nossignori, questa cosa il Maiello non la doveva fare. Non a me, che impazzisco per le storie d’amore ben congegnate.
Premesso che uno dei protagonisti è il giovane barone Francesco Piazza, ragazzo di 35 anni che inizia a frequentare Cettina, fanciulla non nobile della quale si innamora.
Premesso che tra i due la cosa più osé è stata la seguente: «Quando Francesco la riaccompagnò a casa, gli venne spontaneo darle un bacio sfiorandole le guance».
Premesso che in seguito a questa scena molto bella e delicata i due sono andati insieme in viaggio in Grecia per otto-giorni-otto (da soli, e siamo nella Sicilia degli anni Cinquanta! Mia mamma all’epoca poteva parlare coi maschietti suoi coetanei esclusivamente alla presenza dei genitori o dei fratelli maggiori, figuriamoci andarsene in vacanza!), voyage quasi esclusivamente dedicato alla visita di templi e ristoranti.
Premesso che in tutto questo tempo non c’è mai stato un bacio, un’effusione, un abbraccio, un segno tangibile di amore (almeno, se c’è stato, l’autore se ne è ben guardato dal confidarlo).
Tutto questo premesso, durante la vacanza succede quello che il lettore, in effetti, si aspettava (riporto fedelmente il testo):
«Francesco si dichiarò e fu come un lampo improvviso in un cielo sgombro di nubi.
Cettina, mi vuoi sposare?
Fu spaventato egli stesso dalle sue stesse parole e non osava guardare in viso la compagna che lo teneva ostinatamente rivolto in basso».
Una stretta di mano e i due capiscono che la cosa può funzionare, che lei accetta.
Stop.
Abbracci, baci passionali, baci casti, baci di qualsiasi tipo (andava bene anche un bacino rapido sulla guancia, via): niente di niente. Una cosa fuori dall’umana comprensione! Signori: il protagonista ha appena dichiarato tutto il suo amore alla più bella fanciulla del mondo e se ne torna bello bello in albergo senza baciarla? Sentendo un certo rimescolamento, sì, ma non osando andare ad importunarla in camera sua perch’egli è barone? Diamine, manco nei miei adorati romanzi ottocenteschi (manco nelle versioni censurate del ventennio, che conservo come reliquie) c’era tanta mancanza di passione, tanto contegno! Signor Maiello, una storia dove alle emozioni vengono tagliate le gambe è – tanto per parafrasarmi - pane senza nutella!
- Promosso perché
E’ un bell’affresco sociale – seppure rapido e un po’ superficiale, ma è comprensibile, considerato che il romanzo è di sole 126 pagine – della Sicilia nella metà del 1900. Ne esce una società che, pur impaurita, è pronta a rinnovarsi e a vivere una nuova vita (cosa sempre positiva, questa).
- Promosso perché | Il meglio del meglio
La cosa più bella di questo libro è di tipo squisitamente grafico: i dialoghi non vengono virgolettati o preceduti dal tradizionale trattino, ma vengono semplicemente inseriti in corsivo (vedi sopra, nel “peggio del peggio”, la frase con la dichiarazione di Francesco a Cettina). L’effetto è estremamente particolare, sembra di vedere i personaggi mentre muovono le labbra, ma la voce non arriva da loro: viene da lontano, è quasi ovattata; una sorta di eco dal passato. Una soluzione stilistica a mio avviso molto, molto, molto bella.
- Giurerei che…
- per descrivere il viaggio in Grecia di Francesco e Cettina, l’autore si è procurato una guida turistica e ha fatto una sorta di copia-incolla: leggendo quella parte del libro, ho avvertito la sgradevole noia che solitamente mi prende alla gola quando qualcuno mi racconta i suoi viaggi in maniera molto schematica, fredda, zeppa di nomi e riferimenti enciclopedici; una cosa del tipo: «Il primo giorno abbiamo visitato il tempio X e il monumento Y, quindi abbiamo pranzato con un primo (qui viene inserito il nome di un primo piatto tipico), un secondo (ri-nome di secondo piatto tipico) e un dolce (idem con patate); di pomeriggio siamo andati col pullman a vedere il teatro Z, poi giro nei negozi, infine cena nel ristorante ABCD a base di XXX (vai ancora coi piatti tipici). Ritorno in albergo e tutti a letto»;
- l’autore si è immedesimato nel barone Piazza senior scrivendo questo romanzo;
- l’autore è una persona che difficilmente parla delle proprie emozioni (che è diverso dall’essere freddo o poco socievole, intendiamoci);
- l’autore, come ogni bravo scrittore, ha inserito qua e là qualcosa del suo personale vissuto (mi riferisco in particolare all’amicizia con Elena).
***
Se dopo questa bella stroncatura – no, non me la sento di promuoverlo, abbiate pazienza – vi venisse voglia di leggere Il crepuscolo della nobiltà, direi che non è il caso di andarvene in Sicilia per recuperarlo (anche se l’idea non è da scartare: potrei pure offrirmi volontaria…); potete comodamente prenderlo on line su questo sito, deastore.com, negozio del quale ignoravo l’esistenza – Scribacchina non fa marchette, è sempre bene precisarlo – e che mi è subito parso vergognosamente ed incredibilmente identico ad Amazon, tanto che per un momento ho pensato ad un sito satellite.
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Ed ora, via i libri e sotto con la vita vera: oggi iniziano ufficialmente i quindici giorni di malattia del mio collega. Credo di essermi già bruciata le canoniche sette vite (sono un po’ felino inside), ma ho come il sentore che sopravviverò anche questa volta.
Buona giornata, mes chéris.