IL DISINGANNO
La statua del Disinganno è' opera dell'artista Francesco Queirolo (Genova 1704 - Napoli 1762) che lavorò alla Cappella dei Sansevero dove, dove oltre a eseguire sculture, provvide anche alla decorazione della stessa .
Ho scelto di pubblicare un particolare di essa, la parte superiore, perché vista così da vicino si può ammirare e comprendere la difficoltà del suo autore nel realizzare la rete (di marmo) che avvolge la persona. Si trova a destra dell'altare, rappresenta appunto un uomo che tenta invano di sciogliersela di dosso, con l'aiuto di in genietto con le ali; cerca di liberarsi dall'inganno rappresentato dalla rete che lo ha fatto suo prigioniero.
Il Principe di Sansevero ha voluto nella statua vedere suo padre Antonio (1683-1757) chiamato dal desiderio di avventure per perseguire le quali abbandonò in gioventù la famiglia; rinunciò per questo alla successione, mantenendo per sé solo il titolo di duca di Torremaggiore, e che tornò all'ovile solo in tarda età, pentito, al punto che prese i voti e si chiuse in convento.
LA PUDICIZIA
Anche qui siamo di fronte a una statua coperta da un velo leggero,
così sottile da sembrare un velo vero, come nel Cristo del Sammartino.
Opera di Antonio Corradini, eseguita nell'anno 1752, vuole rappresentare - per volere del Principe Raimondo - la sua adorata madre Cecilia Gaetani dell'Aquila che, morendo giovanissima nel dicembre del 1910, lo aveva lasciato piccolissimo, quando aveva appena un anno.
Corradini, celebre artista alla corte dell'imperatore a Vienna, viene chiamato nel 1751 a Napoli per eseguire i lavori della oggi famosa Cappella. Ma il destino aveva deciso per lui; non poté realizzare quanto chiamato a fare, essendo stato colto dalla morte nello stesso anno in cui terminò la Pudicizia, il 1752.
Opera questa di incredibile leggerezza, non ha eguali, anche se esistono invero molte altre statue velate nella storia dell'arte, alcune realizzate dallo stesso Corradini (che - pare - sia stato anch'egli un affiliato della massoneria). Non stiamo qui a ricordare i simboli nascosti che si sono voluti cercare e trovare nella statua velata della Pudicizia, ché lo stesso personaggio del committente, il Principe Raimondo, portava necessariamente a fare. Il principe, infatti, come detto anche più sopra, era dotato di una cultura eccezionale, e all'epoca era considerato, tra le altre cose, un vero e proprio genio. Matematica, lingue, medicina; e chimica soprattutto.
Giovanissimo studente era stato un inventore di provata abilità ed efficienza; tra le sue invenzioni si ricorda il fucile a retrocarica; e un cannone di lunga gittata che realizzò per poter colpire le navi della flotta da guerra inglese che ponevano d'assedio Napoli. Ma si dice che fosse il primo ad avere scoperto la radioattività, in esperimenti che gli lasciarono il tremore delle mani fino alla sua morte.
L'arte medica era un'altra delle sue infinite doti; la metteva a disposizione anche per i nobili malati che curava, sperimentando su di loro dopo aver studiato i sintomi dei loro mali, le sue trovate chimiche; e poi esaminando le reazioni ai suoi medicamenti. Fu così che gli venne in mente, una mente sensazionale sotto tutti gli aspetti, di far costruire, per poter meglio studiare il corpo umano, le famose macchine anatomiche nelle quali fece riprodurre l'apparato circolatorio con tanto di vene arterie e capillari, sia di una persona di sesso maschile che di una di sesso femminile, questa addirittura in stato interessante.
Eccole qui sotto le foto di queste altre due altre meraviglie. Sono gli scheletri di un uomo e di una donna conservati nei sotterranei della Cappella; sono chiusi in due bacheche di vetro per preservarli da qualsiasi cosa o persona che potrebbe danneggiarli.
Come si può vedere, sono realizzati fin nei minimi particolari vene, venuzze e capillari del sistema circolatorio. Sono opera di un medico di Palermo, tale Giuseppe Salerno, che li realizzò sotto la direzione e il controllo costante del principe in persona, e risalgono agli anni 1763-1764, quando il principe aveva 54 anni, che li ha fatti "costruire" mettendo a disposizione del medico due elementi veri: le ossa e i crani, intorno ai quali ha elaborato e sistemato l'intricato sistema di vene.
Come le altre opere presenti della cappella - ma questa più delle altre - presenta il più grande mistero di cui è impregnato l'ambiente sacro: quali materiali sono stati utilizzati per la composizione del delicatissimo apparato circolatorio? Quali procedure segrete?
Non è chi non veda - e non c'è bisogno di ricordarlo - che le due composizioni hanno richiesto degli studi approfonditi del corpo umano, sia da parte del medico chiamato a eseguire l'opera, che soprattutto da parte del Principe Raimondo, il quale sappiamo quanto fosse meticoloso e attento a che tutto fosse perfetto al massimo grado.
Le illazioni riguardo alla elaborazione ed esecuzione delle due figure sono diverse, e tutte misteriose ancora oggi.
Forse che il principe abbia fatto usare una sostanza sconosciuta, da lui scoperta in laboratorio, che il medico ha infiltrato nel corpo vero di due cadaveri, sostanza che ne avrebbe metallizzato i vasi sanguigni?
Se così fosse, ci troveremmo allora avanti a due scheletri di cadaveri del settecento. (E una storia, vera o leggenda, narra che il principe avesse fatto uccidere due suoi servi - almeno questo credeva il popolo: erano scomparsi, guarda caso, proprio allora, due servi del principe; del resto era voce corrente tra il popolino che egli avesse fatto uccidere ben sette cardinali per usarne la pelle a coprire delle sedie - e quindi avesse provveduto con l'aiuto del medico Giuseppe Salerno a imbalsamare i due corpi, usando materiali da lui studiati e realizzati, la cui composizione il principe si è portata nella tomba.
Oppure le due opere sono frutto semplicemente di un'arte sopraffina, applicata alla bisogna con materiali comuni all'epoca, la cui combinazione (arcana) sia stata cercata e creata all'uopo del principe in persona? Fatto sta che a ben vedere tutto l'apparato circolatorio dei due rasenta la perfezione assoluta in ogni minima parte, se si tiene conto che trecento anni fa circa le conoscenze del corpo umano non erano certamente quelle di oggi.
Insomma: ai suoi tempi il principe era considerato, fin da quando giovanissimo venne a Napoli dal suo paese, una specie di negromante; la sua persona era circonfusa di qualcosa di arcano; tanto che faceva addirittura paura quando andava a passeggio per una Napoli che egli considerava città arretrata e ignorante, avvolto nella sua cappa di mistero; era additato addirittura come uno stregone; il mistero ancora oggi prende il visitatore nella Cappella, che resta a dir poco allibito da ciò che scorre davanti ai suoi occhi.
Quando ci accingiamo ad uscire, non possiamo non ritornare ancora là dove dorme il Cristo. Gettiamo un ultimo sguardo al corpo nella sua interezza, ci giriamo intorno con lo sguardo, e ci viene voglia di allungare una mano e toccare; anche se sappiamo che è vietato. Restiamo suggestionati ancora una volta - e sì che c'eravamo fermati a lungo ad ammirare l'opera poco prima - restiamo suggestionati dalla realtà del velo così aderente al viso e al corpo, che possiamo vedere attraverso di esso addirittura le ferite infertegli durante la crocifissione.
Tutto è talmente perfetto che non possiamo non tornare a pensare alla personalità del Principe e alle conoscenze (che a quel tempo dovevano essere necessariamente limitate) di cui abbiamo letto da qualche parte prima di entrare nella Cappella: e ci viene spontaneo pensare che quel marmo sia diventato marmo dopo la creazione della statua, grazie a qualche astruso potere alchemico messo in atto dal di Sangro.
Ma quali strumenti misteriosi aveva a disposizione?
Che cosa mai si era inventato in grado di marmorizzare un velo trasparente?
Il nostro desiderio è incontrollabile, non tanto per il gesto semplice in sé di renderci conto della "realtà" della scultura, ma con l'inconscio impulso di sollevare il velo e constatare coi nostri occhi se quel signore che sta là sotto stia dormendo; e il nostro sguardo corre al torace, e lo fissiamo, a vedere se per caso si solleva o meno, se respira o meno; e poter gridare: è vivo! è vivo! Poi però ci tratteniamo e seguiamo il flusso lento e pensieroso degli altri visitatori che si avviano ad uscire, e noi con loro, portandoci appresso tutti i misteri che nel nostro giro non siamo riusciti a svelare. Neppure in parte.
Voglio chiudere questo breve saggio riportando una domanda che si pone Giuseppe Di Stadio, e che si sono posti tanti studiosi del Signore di Sansevero, purtroppo ancora oggi senza risposta. Giuseppe Di Stadio è un giovane napoletano, egittologo e studioso di storia; in particolare ricercatore delle evoluzioni dei Regni partenopei dal 500 al 1861. Ha al suo attivo anche un romanzo storico. Potete leggere di lui e dei suoi saggi - e vi garantisco che ne vale la pena - sul blog che ha su internet intitolato mry hr - l'amato da horus.
Si chiede dunque Di Stadio: Come è possibile che uno studioso del 1700 sia riuscito ad acquisire conoscenze così sviluppate ed approfondite in tutti i campi del sapere umano? Come ha potuto mettere in pratica i suoi studi realizzando le opere che oggi ammiriamo con i nostri occhi incantanti e sbalorditi?
fine
marcello de santis