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Tracce di una cura dei vivi nei confronti dei morti si hanno già dal Paleolitico, nelle sepolture gli inumati venivano posti in posizione fetale ricoperti di ocra rossa quale simbolo di rinascita.
In Sardegna nel Neolitico e soprattutto in quello recente, questo tipo di attenzione nei confronti del defunto e del suo destino ultraterreno, trovò la sua massima espressione nei vari tipi di sepoltura del periodo come le Tombe a Circolo, i Dolmen e, soprattutto le Domus de Janas.
Queste ultime riproducevano la pianta dei villaggi neolitici e, in molti casi, l’ambiente interno delle abitazioni dei vivi; a tal riguardo la presenza di suppellettili e di vari oggetti di uso quotidiano in funzione di corredo funebre fornisce utilissime informazioni riguardo alle abitudini e allo stile di vita delle popolazioni antiche.
Tra i vari oggetti rinvenuti nelle tombe ipogee destano particolare interesse le statuette rappresentanti una figura femminile in marmo completamente nuda, per la probabile relazione con la bambolina di farina impastata riposta dentro un vaso contenente dei semi di frumento (chiaro simbolo di fertilità) che le ragazze di Ozieri custodivano fino alla metà dell’Ottocento, in occasione della celebrazione del “Comparatico” di San Giovanni (ossia la particolare forma di unione sacra fra un ragazzo e una ragazza).
La presenza di queste statuette nel corredo tombale va probabilmente inserita nella corrente culturale della statuaria neolitica del Mediterraneo e delle aree extramediterranee legate culturalmente con la figura femminile nuda e, in molti casi, con l’enfatizzazione degli attributi sessuali legati alla fertilità. Tra i luoghi dove avviene tale rappresentazione ricordiamo, oltre all’Italia, Malta, Egitto predinastico, Creta, Anatolia, Isole Cicladi, Grecia, Serbia, Bosnia, Tracia e Cipro. Pur variando gli stili tipici di ogni area, è degno di nota il fatto che gli idoletti femminili nudi si diffusero enormemente in periodo neolitico in concomitanza con la cosiddetta “rivoluzione agricola” (non dimentichiamo che la festa di San Giovanni ha connotati chiaramente pagani legati alla religiosità agraria).
La destinazione funeraria di questi idoletti è stata riscontrata anche nelle necropoli di Creta, Micene e Tirinto, Malta, Tracia, Francia e Penisola Iberica.
L’interpretazione data a questi oggetti di culto è varia, alcuni hanno pensato che fossero dei doni riservati ai defunti di sesso maschile per trovare consolazione nell’aldilà, ma questa teoria è stata confutata dalla presenza degli stessi idoletti nei sepolcri di famiglia dove trovarono posto individui di entrambi i sessi.
La teoria più accreditata e più probabile è che le piccole statue rappresentassero la Dea Madre (enfatizzazione degli attributi sessuali legati alla fertilità), protettrice del viaggio e della permanenza nel mondo ultraterreno.
Il defunto veniva affidato al ventre della Madre Terra, sistemato in posizione fetale e ricoperto di ocra rossa con la speranza di una rinascita nel mondo dei morti. I nostri antenati guardavano alla morte come a un momento di passaggio da uno stato di esistenza ad un altro diversi ma non disgiunti tra loro, una soluzione di continuità e di contiguità.
È evidente il collegamento tra il ciclo di morte e rinascita umano e quello relativo al mondo agricolo, con la morte e la rinascita della natura che nel corso dei secoli, nonostante le sovrapposizioni culturali e religiose continua ancora oggi a manifestarsi nei vari riti religiosi con chiari connotati arcaici.
Il culto dei morti si riscontra con una certa continuità culturale fino all’epoca nuragica.
Fonte: Il Mulino del Tempo.
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