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L’arco cronologico si estende dalle origini del cristianesimo, che sulla base delle prime attestazioni si possono collocare nell’isola durante il III secolo e per il tema in questione nel corso del IV, sino alla fine del Medioevo, termine ultimo che in Sardegna viene spostato avanti di un secolo e fatto coincidere con l’anno 1479, quando con il re Ferdinando II il Cattolico l’isola passa alla Corona di Castiglia, che si unisce a quella aragonese, entrando così a pieno titolo nell’epoca moderna.Dunque, il lungo arco temporale vede il succedersi di diverse dominazioni, che influiscono non poco sui diversi aspetti della vita, non ultimo l’ambito religioso. L’isola è una provincia dell’impero romano sino alla metà del V secolo, quando entra nell’orbita dei Vandali, nel regno dei quali rimarrà fino al 534, allorché verrà inglobata nell’impero bizantino, dopo la battaglia di Tricamari, come parte della provincia d’Africa. La lunga età bizantina, diversamente da altre regioni del bacino mediterraneo, cesserà in un’epoca che ancora oggi non può essere precisata, collocabile fra gli inizi dell’VIII secolo e l’XI, due termini che si fissano rispettivamente sulla base della data relativa alla distruzione di Cartagine da parte degli Arabi (697-698) e la comparsa
dei primi documenti attendi bili, che certifichino un diverso status di autocefalia dell’isola, non più sotto una sola autorità, emanazione della sede centrale (Costantinopoli), ma ripartita in quattro sedi autonome governate da altrettanti iudices. Alla metà del XIII secolo, sotto i Pisani e i Genovesi, la Sardegna entra nel medioevo europeo, mentre con i successori – gli Aragonesi – si concluderà l’epoca medievale. L’alternanza di popoli e dominazioni, con il rispettivo peculiare portato etnico e culturale, genera ripercussioni di volta in volta più o meno evidenti anche sui culti e sulle espressioni del sentimento religioso, che si manifestano con l’apporto di nuove figure, spesso venerate nella patria d’origine, insieme a nuove modalità nelle pratiche devozionali e nei rituali delle celebrazioni. La ricerca pertanto si è svolta tenendo presente la finalità ben precisa, non tanto di individuare i culti attestati in epoca medievale, quanto di delinearne il percorso, le ragioni e le modalità di diffusione e di svolgimento, valutando alcuni fattori,che nel corso del lavoro si sono rivelati determinanti, tanto da divenire dei parametri fissi sui quali si è di fatto impostata la ricerca.
Mutamenti storiciLa predominanza di alcuni culti piuttosto che di altri e l’ampliamento del numero delle figure venerate in determinati periodi, allo stato attuale della ricerca, sembra riconoscere nell’assetto politico il fattore più determinante per la formazione di un pantheon cristiano, rivelando un attaccamento da parte dell’autorità dominante alla propria sfera religiosa e la volontà di non rinunciare ad essa quando si insedia su un territorio a sua volta permeato da proprie tradizioni (fig.1). Si ricollega a questo aspetto la funzione di «intercessore», delegata al martire/santo, spesso invocato a garantire anche il successo delle imprese. Un altro risvolto può essere individuato nell’influenza della committenza privata (non di rado altolocata e laica), particolarmente avvertita in Sardegna in epoca giudicale, che attraverso la ricorrenza di alcune intitolazioni (di norma care alla Chiesa occidentale) e il sostegno spirituale e materiale (anche finanziario) dei culti (quale la costruzione di diverse chiese), manifesta concretamente e visivamente il potere ed insieme di chiara obbedienza e dipendenza dalla Chiesa di Roma, trascurate dai predecessori, a cui il papa Gregorio VII aveva richiamato attraverso un’epistola indirizzata nel 1073 ai quattro giudici sardi. Si è constatata – ad esempio – frequentemente nei siti legati alle famiglie giudicali una predilezione per Santa Maria e San Michele.
Dinamiche economicheIl fattore economico-commerciale, apparentemente secondario, sembra ugualmente un veicolo importante nella trasmissione dei culti (la devozione a Santa Restituta sembra giungere dalla Campania nel VII secolo, proprio nel momento in cui si intensificano le relazioni commerciali).
Eventi religiosiI fattori legati alla sfera delle manifestazioni più propriamente sacre incrementano la circolazione di nuovi culti non solo in relazione alle modalità consuete, ma anche alla nascita di fenomeni nuovi nel periodo medievale, ma particolarmente incisivi nella sua fisionomia, quali il monachesimo e il pellegrinaggio, che si muove anche dall’isola verso l’esterno, introducendo diverse figure venerate (ad esempio San Leonardo di Noblat, protettore dei viandanti). Nella dislocazione dei centri di culto, analogamente, la ricorrenza di alcuni fattori ha permesso di individuare delle linee che sembrano seguire un percorso non casuale:–l’impianto dei luoghi di culto risulta coerente con il sistema viario principale;–la scelta delle aree – urbane o rurali – avviene in relazione al tipo di culto e alla funzione riconosciuta e affidata al martire/santo (San Michele, protettore delle mura urbiche, ma anche del lavoro nei campi, viene posto prevalentemente su alture);–un legame sembra riconoscersi anche con i topoi letterari, che da un certo periodo circolano sulle vicende dei singoli individui. I risultati finora conseguiti sono piuttosto incoraggianti ed hanno disegnato un quadro ricco di sfaccettature, che si rivela utile alla conoscenza del medioevo sardo, al di là di quello che può essere il fattore specifico religioso. Soprattutto hanno evidenziato la «confusione» attualmente esistente nel campo della devozione popolare, che annovera nella schiera dei martiri/santi una moltitudine di figure, sulla cui attendibilità storica, da verificare con gli strumenti critici e metodologici a disposi-zione soprattutto della disciplina agiografica, si deve al momento necessariamente dubitare. Evidenti sono le cause di tale confusione, che debbono farsi risalire in buona parte all’epoca della Controriforma, nell’isola vissuta in maniera abbastanza forte.
RIFLESSI DELLA RIFORMA PROTESTANTE E DELLA CONTRORIFORMA IN SARDEGNA:LA POLEMICA FRA CAGLIARI E SASSARI PER IL PRIMATOIn seguito al concilio di Trento (1545-1563) si sviluppa un articolato dibattito sui principi delle dottrina cattolica, in un momento di ricerca di nuove risposte da parte della comunità cristiana in pieno travaglio ideologico, che conduce aduna vivace reazione alla cd. eresia protestante,ruotante attorno al suo principale esponente Martin Lutero. Le linee di condotta indicate dal nuovo movimento religioso (rapporto diretto del fedele con Cristo, figlio di Dio; dottrina della Grazia e della Predestinazione) orientano verso una teologia di fondo secondo la quale le azioni non sono fondamentali per ottenere la Salvezza, incitando i credenti verso un sempre più accentuato distacco dall’autorità costituita e creando forme di ribellione nei confronti della Chiesa di Roma, che si manifesteranno in maniera anche violenta in Germania, quando si chiederanno contributi in denaro per la costruzione della nuova basilica di San Pietro in cambio di indulgenze.Uno dei principali temi affrontati durante il concilio è il culto dei santi, figure alle quali non si riconosce alcun ruolo particolare da parte dei Protestanti, in virtù del rapporto diretto fra fedele e Dio; anzi il culto è definito «la più grossolana superstizione e il ritorno al feticismo pagano». Con il decreto XXV il Santo Concilio ordina ai vescovi e al clero che – secondo l’insegnamento dei Padri e in linea con la tradizione della Chiesa di Roma –istruiscano i fedeli circa l’intercessione dei Santi, la loro invocazione e l’onore da tributare alle reliquie. L’autorità ecclesiastica romana indica non solo come legittima la venerazione martiriale, ma anche meritoria, incoraggiando i vescovi delle singole diocesi a riscoprire le tombe degli eroi della Fede per indicarle come modelli. Un riflesso immediato e consistente si ha nella nascita di una cospicua letteratura agiografica:Jean Bolland (1596-1665) inizia la pubblicazione degli Acta sanctorum; Cesare Baronio compila i suoi Annales, con riferimento a monumenti ed immagini: i primi testimonianza della grandezza della prima Roma cristiana; le seconde prove contro i Protestanti dell’uso delle immagini presso le antiche comunità e utilizzate con effetti didascalici per trasmettere concetti religiosi; inoltre,riordina il martirologio, arricchendolo di nuovi santi. Anche in Sardegna una nuova sensibilità devozionale si sviluppa all’indomani del Concilio di Trento, a cui la Chiesa locale aveva partecipato attivamente, inviando otto vescovi e alcuni teologi, sebbene il protestantesimo registrasse ben pochi seguaci. Il clima è comunque assai propizio nell’isola, posta sotto il dominio della cattolica Corona di Spagna, con conseguenze che causano una svolta non solo alla vita più propriamente religiosa: Filippo II nel 1564 ordina che in tutto il territorio dell’impero siano applicati i decreti del Concilio, ma «salvi i diritti della Corona», tanto che gli interventi del Tribunale dell’Inquisizione sembrano motivati maggiormente da ragioni politiche. Il Fara, in Chorographia Sardiniae, ricorda la presenza nell’isola di Inquisitori generali «che perseguono –secondo sanzioni canoniche, usi e istruzioni della Spagna, di cui riconoscono come superiore l’Inquisitore supremo – gli eretici, gli apostati e chiunque pratichi la stregoneria: grazie alla loro vigilanza, saggezza e giustizia in Sardegna la fede cattolica si conserva pura ed inviolata per cui l’isola è immune da qualsivoglia eresia». Ben nota è la vicenda di Sigismondo Arquer, nato a Cagliari,che, accusato di luteranesimo, nel 1571 viene giustiziato dal Tribunale a Toledo. Forte è il potere del clero e la sua influenza sulla vita religiosa, ma anche politica. Le devozioni sono un atto di fede cattolica in opposizione al protestantesimo, la Chiesa introduce nuovi culti ed espressioni liturgiche, i pellegrinaggi ai santuari si moltiplicano. È in questo periodo che si manifesta la rivalità fra Cagliari e Sassari, nata inizialmente per ragioni politiche, quando i sassaresi contestano a Cagliari i privilegi in materia fiscale accordati dal sovrano spagnolo nel 1553. Lo screzio fra le due città si estende poi alla sfera religiosa, soprattutto in relazione alla polemica per il ruolo di Primate di Sardegna e Corsica, che entrambe iniziano a rivendicare dal 1574, inserendosi nella cd. «questione religiosa» che investe nel Cinquecento tutto l’occidente. Tra le motivazioni figurano la maggiore antichità della sede episcopale e il più cospicuo numero di martiri. L’inevitabile conseguenza delle decisioni assunte in sede conciliare, che assumono un valore normativo, costituisce l’inizio di un processo di ricerca delle origini per poter ostentare un blasone cittadino più antico e illustre possibile, avviando una sorta di rinascimento, che in Sardegna si manifesta con contorni abbastanza chiari attraverso la letteratura circolante nella medesima epoca.
LA RICERCA DEI «CUERPOS SANTOS»Ad una ricerca che si svolge in primo luogo nel campo letterario e della tradizione scritta storica ed ecclesiastica, indirizzata alla conoscenza delle vicende degli antichi martiri e alla ricostruzione delle cronotassi episcopali delle rispettive città, si aggiungono ben presto lo studio dei monumenti e lo scavo «archeologico», che a Roma porta all’eclatante riscoperta delle catacombe, ma che anche in altre città si manifesta in maniera invasiva, al fine di recuperare le antiche origini. In Sardegna è ben documentata la ricerca dei «cuerpos santos», nel tentativo di garantire alla propria sede il maggior numero di martiri. Il primo intervento sul campo sembra essere conseguente alla scoperta casuale a Cagliari, nel 1585, di due sepolture nella chiesa di San Bardilio, che la tradizione, ancora nota nel Settecento, riteneva con San Saturnino la più antica della città. Nel1580 l’edificio, situato nel suburbio orientale, dove oggi è l’entrata al cimitero monumentale di Bonaria, costruito nella seconda metà dell’Ottocento, distruggendolo, in origine forse denominato Sancta Maria de Portu gruttis, era ormai passato ai Padri Trinitari, con l’intitolazione alla Trinità. Si interessa agli scavi l’arcivescovo Francesco Del Vall (1587-1595). È soprattutto l’arcivescovo Francisco Desquivel (1605-1624), che, nell’ambito di un programma di riorganizzazione della diocesi e del clero e di ristabilimento della disciplina ecclesiale, in piena sintonia con le indicazioni del Concilio di Trento, «volle usare la pietà popolare, specie il culto dei santi e delle loro reliquie, per riportare le anime a Dio». L’incremento del culto dei santi è uno degli aspetti fondamentali della sua missione, in armonia con il clima post-tridentino vissuto anche dalla Chiesa sarda, che di tali figure venerate aveva fatto uno strumento per attirare i fedeli, evitando la dispersione in seguito alla circolazione delle nuove teorie. Il Desquivel, facendo dunque del culto dei santi un punto di forza della sua azione pastorale, indirizza la sua attività in diverse direzioni, che interessano tutto il territorio diocesano, tra le quali è utile ai fini di questo discorso la particolare attenzione rivolta ai santi recenti e ai monumenti. Infatti, sostiene l’impianto di nuove strutture, tra cui numerose chiesette campestri che, in quanto sede spesso di feste e cerimonie popolari, favoriscono la catechesi e la crescita spirituale dei fedeli; abbellisce gli edifici esistenti, che ricostruisce sostituendo le lineari forme romaniche con la nuova architettura rinascimentale, d’ispirazione soprattutto spagnola; dedica cappelle in chiese già esistenti a vecchi e nuovi santi; infine, muovendo dai dettami del Concilio di Trento e soprattutto dall’insegnamento secondo il quale per mezzo dei santi Dio concede agli uomini molte grazie, si impegna a ricercare le reliquie e a promuoverne la venerazione da parte dei suoi contemporanei. Negli stessi anni viene avviata la ricerca delle reliquie anche nell’area sassarese. Le indagini si svolgono nella basilica di Porto Torres, dedicata ai Santi Gavino, Proto e Ianuario, ritenuti fra i più antichi martiri dell’isola. Edificata in età giudicale, rimane un centro di pellegrinaggio anche quando la sede del potere politico viene trasferita ad Ardara e nei secoli successivi, allorché la fondazione di Sassari sposta il baricentro politico dell’area verso la nuova città. Nel 1614 l’arcivescovo Gavino Manca de Cedrelles dà il via ad una sistematica «caccia alle reliquie», ordinando di scavare nella suddetta basilica turritana per ritrovare i resti dei martiri ivi venerati, dove la tradizione riferiva essere state traslati dall’originario sepolcro a Balaida parte di Comita, giudice di Torres, nell’XI secolo. Il ritrovamento dei residui di scheletri umani, avvenuto scavando davanti all’altre maggiore, suscitò emozione e causò la costruzione di un oratorio sotterraneo. L’anno seguente egli fornisce al re di Spagna Filippo III una relazione corredata da un opuscolo stampato a Madrid, sottolineando come la città vanti una maggiore antichità rispetto agli altri centri dell’isola. Dopo i primi episodi sporadici e in risposta alle scoperte sassaresi, è il gesuita Hortelàn a rinvigorire l’impulso alle ricerche cagliaritane deicuerpos sanctos, quando l’8 settembre 1614 ritrova a San Saturnino (considerato il più antico santuario cagliaritano, sorto in epoca costantininana sulla tomba del martire Saturno o Saturnino, ucciso nella persecuzione di Diocleziano, ma nel Seicento isolato nel suburbio cagliaritano e in stato rovinoso), le reliquie di una Santa Olimpia, assolutamente ignota dalle fonti. Alla fine dello stesso anno iniziano gli scavi sistematici, a cura dell’arcivescovo Desquivel. Dopo i primi abbondanti rinvenimenti, l’indagine viene estesa all’area circostante dove – accogliendo la tradizione – si riteneva fosse stato sepolto Lucifero, il vescovo impegnato nella lotta antiariana nel IV secolo, deposto prope ecclesiam calaritanam, indicazione topografica che si è sempre riferita alla chiesa più importante, cioè la già ricordata San Saturnino, non essendo noto per i tempi altro edificio. Gli scavi restituiscono tre mausolei, ritenuti chiese sotterranee, nei quali si crede di aver ritrovato le sepolture dei Santi Lussorio, Cesello e Camerino e soprattutto di San Lucifero, scoperte che creano grande scalpore per l’epoca, tanto da essere solennizzate con fastose cerimonie alla presenza delle più alte cariche civili e religiose del regno e della città. Sull’area fra il 1646 e il 1682 viene edificata la chiesa di San Lucifero, ancora oggi esistente. Altre ricerche vengono intraprese a Santa Restituta, nel quartiere di Stampace, già nel 1607, quando si ripristina la frequentazione della cripta (che versava in stato di abbandono e si presentava ricolma di rifiuti), legata alla tradizione dell’esistenza nello stesso sito della casa e della sepoltura di Santa Restituta (ritenuta la madre di Eusebio, vescovo di Vercelli, ma sardo di origine). Il 14 dicembre 1614, anche in seguito alle rivelazioni dell’Hortelàn, e il 26 dello stesso mese avviene l’invención delle reliquie in un loculo a pozzetto sotto all’altare maggiore. Ulteriori ricerche vengono condotte nel vicino Carcere di Sant’Efisio, dove non si cercano le reliquie del martire, traslate a Pisa nel 1088 dal santuario di Nora, bensì i resti di qualche altro santo, in modo da poter consacrare anche questo luogo. Il 6 marzo 1616 si trova una sepoltura con lo scheletro di un uomo adulto. Un tale che aveva partecipato ai lavori disse di aver trafugato un’epigrafe di un sanctus Editius, morto a 29 anni, finita fra le terre. Effettuata una ricognizione nel 1997, si è visto che si tratta di un apografo seicentesco, come già detto dal Mommsen. Vi è anche una colonna di marmo grigio coperta di macchie rosse, certamente ruggine, ma allora ritenute sangue, attribuito secondo la prassi dell’epoca ad un martire, che si suppose incatenato ad essa per la flagellazione. Il rinvenimento di una quantità assai ingente di presunti martiri cagliaritani porta all’allestimento di una Cripta sotto al presbiterio della Cattedrale per accogliere il cd. «Santuario dei Martiri». Scavata nella roccia, accessibile da due scale, intitolata alla Madonna Regina dei Martiri, è consacrata con una processione nel 1618, alla presenza di autorità, gremi, confraternite, ordini religiosi,quando avviene la solenne traslazione delle reliquie. In seguito viene arricchita e nel 1626 completata con altre due cappelle (dedicate rispettivamente a San Saturnino e a San Lucifero). Ornata da preziosi marmi intarsiati, accoglie in tutto 179 nicchiette in cui sono custoditi i caratteristici cofanetti rivestiti di velluto cremisi contenenti le reliquie dei martiri recuperate dagli scavi condotti a San Saturno e a San Lucifero, chiuse da formelle maiolicate, ognuna contrassegnata dal nome e dalla figura dell’individuo, accompagnata dai caratteristici simboli del martirio. Nel 1621 vi vengono portate anche le reliquie di San Saturnino, che si riteneva fossero ancora conservate in un sarcofago rinvenuto in una cappella a destra del presbiterio di San Saturnino. L’individuazione era stata giustificata dal nome riportato su un’iscrizione eseguita in caratteri gotici, che non è relativa evidentemente alla sepoltura originaria, ma che risulta apposta in occasione di una successiva sistemazione, effettuata nel corso di lavori nella chiesa verosimilmente durante il medioevo, come indicherebbero anche le epigrafi relative ad altri martiri. Nel 1623, analogamente, sono traslate nella cripta della cattedrale anche le reliquie di San Lucifero, riportate in luce nella cd. III chiesa sotterranea ed indentificate – come di consueto – grazie ad un’iscrizione che menziona il santo come arcivescovo cagliaritano primarius della Sardegna e della Corsica, una titolatura che è sospetta di essere una falso seicentesco, ben inquadrabile nel pieno clima della polemica fra le due città sarde. Secondo il racconto degli scopritori, sulle ossa era un frammento marmoreo con S LUCFER EPP, ma non vi sono prove dell’autenticità di tali testimonianze. Altre ricerche vengono effettuate a Sulcis, dove nel 1611 l’arcivescovo Desquivel aveva fatto riaprire la chiesa di Santa Rosa, ritenuta la madre di Sant’Antioco. Nel 1615 sotto all’altare nella cripta a sei colonne, che si apre all’entrata della catacomba su cui è costruita la chiesa, si rinvengono delle reliquie ritenute del santo. Ad Iglesias resti di inumati sono recuperati presso San Salvatore. Anche in luoghi minori della Sardegna si conducono» scavi archeologici» e tornano in luce reliquie di presunti martiri: ad esempio, a Gergei, a San Sperate, ad Aritzo, a Decimomannu. In tre sinodi tenuti a Cagliari, rispettivamente nel 1628, 1651e 1695, si ribadisce l’importanza per il cristiano dell’invocazione dei santi e della venerazione delle reliquie, prevedendo severe sanzioni nei confronti dei contravventori. Il culto dei santi continua ad essere utilizzato come strumento per il recupero dei valori compromessi dalla Riforma Protestante, incentivando la preghiera collettiva, i pellegrinaggi e le molteplici forme di devozione popolare anche di nuova creazione (processioni, novenari, feste campestri), con l’allestimento di apposite strutture di accoglienza, come le «cum bessias» e i «muristenes», che costituiscono un’innovazione caratteristica dell’epoca, complessi costituiti da case basse e a schiera, dotate di logge e di uno spazio aperto (un cortile campestre), ruotanti attorno al santuario. Il recupero dei «cuerpos santos» porta alla formazione di un pantheon molto vasto e assolutamente privo di autenticità dal punto di vista storico, con la conseguente creazione di un mercato di reliquie, che genera la venerazione anche fuori dell’isola di figure ritenute antichi martiri e santi della Chiesa sarda, ma che tali non sono. La proliferazione di martiri e santi – i cd. sancti innumerabiles, che non trovano riscontro nei martirologi ufficiali – genera anche una grande quantità di falsi epigrafici. Da un lato vengono ritenute iscrizioni martiriali numerose lastre, sulla base di un’errata procedura di lettura, laddove l’hedera di- stinguens, semplice segno d’interpunzione, viene interpretata come un cuore trafitto, o le lettere BM come abbreviazione di beatus martyr, invece che di bene merenti o bonae memoriae. Dall’altro, invece, alcune epigrafi vengono realizzate ad hoc nel Seicento. Si registra poi la fioritura di una nuova e più ricca, quanto fantasiosa, letteratura «agiografica», sottoposta ad una severa revisione critica già dai contemporanei, contribuendo a formare una religiosità popolare infarcita di superstizione, contro la quale il Tribunale dell’Inquisizione interviene spesso. Infine, notevole è l’impulso edilizio, che si manifesta con la costruzione di nuovi santuari, il potenziamento di quelli già esistenti, il ripristino spesso con diversa destinazione cultuale di edifici di culto abbandonati, mediante l’allestimento ad esempio delle già ricordate «cumbessias», strutture per alloggiare dei pellegrini durante il periodo delle celebrazioni, che si vengono a sovrapporre spesso a villaggi antichi abbandonati da tempo. Un aspetto peculiare dell’epoca è costituito dalla nascita di confraternite e gremi, cui si deve un ulteriore incremento della religiosità popolare. I suoi membri sono sottoposti alla protezione di un santo/patrono, al quale devono obbligatoriamente atti di culto, che si espletano però spesso attraverso forme spettacolari, in cui sempre più evidente è la penetrazione della religiosità spagnola, coinvolgendo anche coloro che non ne facevano parte. Si cerca, dunque, di catalizzare la devozione popolare con ogni mezzo verso vecchi e nuovi santuari, secondo modalità vecchie e nuove, in piena sintonia con il clima post-tridentino. La proliferazione dei culti, dei santuari e delle forme di venerazione arricchisce anche la produzione artiganale di piccoli souvenir, legati ai pellegrinaggi e alle cerimonie e causa anche l’introduzione di nuovi manufatti legati alla devozione popolare. Le sepolture, risalenti all’età moderna sempre più restituiscono grani di rosari (fig.2) e medagliette da rosario o da appendere al collo (fig.3), spesso rinvenuti in numero elevato e associati fra loro, grazie alle indagini archeologiche che in tempi molto recenti hanno interessato siti post-medievali. Ad esempio a Sassari, nelle sepolture sotto al Duomo; ad Alghero, a Santa Chiara, nella sepoltura forse di una monaca (medaglietta di San Pietro di Alcantara, 1669); a Posada, nella necropoli di Parte ‘e Sole; a Galtellì, San Pietro, ad Ottana; a Bolotana, San Bacchisio; ad Usellus; a Cagliari, in Vico III Lanusei e a Sant’Eulalia. Le medagliette recano di solito su una o entrambe le facce immagini sacre, accompagnate da iscrizioni, che ne chiariscono il significato. Prevalgono raffigurazioni che hanno come protagonisti Cristo e la Vergine, ma non mancano altri santi,anche locali, a testimonianza di una forte devozione popolare talvolta di tipo regionale.
CONCLUSIONIIl panorama tracciato, anche se solo nelle linee essenziali, evidenzia le ragioni per cui si è ritenuto opportuno riprendere il problema, nell’intento di dare una sistemazione a questa moltitudine di culti oggi noti nell’isola, per i quali è d’obbligo una rigida selezione. Pertanto si è pensato all’elaborazione di un nuovo dizionario dei martiri/santi venerati nell’isola dalle origini alla fine del medioevo, che tenga conto di quanto detto sopra, che basi l’individuazione sull’attendibilità delle fonti, sulla menzione in testi sicuri (quali ad esempio i condaghi) e non sulla devozione popolare. A tale scopo si sta elaborando un lemmario,che attualmente consta di oltre 200 antroponimi, alcuni presenti nell’agiotoponomastica locale invarianti dialettali, assunte nel tempo, ma comunque inerenti a luoghi di culto ascrivibili all’età medievale. In generale, al momento sembra di individuare nel rapporto fra territorio e luoghi venerati relativamente all’epoca in esame frequenti motivazioni di ordine non strettamente religioso e dunque di cogliere nella dislocazione geografica di tali luoghi diverse linee interessanti per la storia insediativa dell’isola nel periodo medievale. Il progetto prevede quindi che la redazione di tale dizionario, in cui siano accolti solo i santi il cui culto è attestato in epoca medievale sulla base di testi scritti affidabili o di testimonanze monumentali, sia in realtà uno strumento funzionale ad una rilettura in chiave storico-archeologica del territorio sardo, delle forme d’insediamento e delle ragioni dell’evoluzione e dello sviluppo cronologico e geografico,attraverso la diffusione dei culti, uno dei fenomeni che caratterizza la storia e la vita del medioevo.
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