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Il cuneo fiscale nella trappola della stagnazione

Creato il 06 febbraio 2014 da Sviluppofelice @sviluppofelice

di Paolo Pini[1] [Documenti] 

soldi.nanopress.it
Come si dovrebbe ridurre il cuneo fiscale (cioè gli oneri fiscali sul lavoro dipendente), al fine di ridurre il costo del lavoro? Ipotizziamo che si voglia ridurre la crescita del costo del lavoro di circa 1 punto percentuale l’anno, e cioè dal 2,2% (crescita media annua del periodo 2000-2012) ad 1,1%, cioè poco meno del divario di produttività. Siccome il cuneo copre circa il 50% del costo del lavoro complessivo, esso dovrebbe ridursi di più del 2% medio annuo, per ridurre il suo peso sul costo del lavoro di circa 1 punto percentuale ogni anno, a partire dal 47% attuale.

Se valessero gli effetti annunciati dal “nuovo” governo Letta – che intende ridurre il cuneo del 10% con 22 miliardi – sarebbero quindi necessari circa 4 miliardi l’anno. Il successo di tale politica non è però assicurato, come le esperienze passate hanno insegnato (governo Prodi): Infatti, gli effetti realizzati all’epoca si sono dimostrati al di sotto di circa 2/3 di quelli previsti. In tale eventualità, i miliardi necessari dovrebbero essere triplicati, e raggiungerebbero la cifra dei 12 miliardi per un anno per ogni punto percentuale in meno del cuneo. Ciò equivale a più di 1/3 dei risparmi di spesa previsti con l’ipotesi Cottarelli di spending review per tutto il triennio 2015-2017. Ogni anno successivo tale riduzione dovrebbe essere rifinanziata, ed ogni riduzione superiore ad un 1 punto percentuale avrebbe analoghi costi.

Ricordiamo che il gap del peso del cuneo fiscale italiano rispetto ai paesi Oecd è di circa 12 punti percentuali. Successivamente, a meno di ulteriori interventi annui di riduzione del cuneo, il gap di crescita della produttività tornerebbe a “mordere” di nuovo, e quell’1% recuperato sul cuneo verrebbe annullato in poco tempo dalla insoddisfacente dinamica della produttività.

L’intervento prioritario sul cuneo fiscale, che conduce ad abbassare il costo nominale del lavoro, rischia così di avere fiato corto, e di venire presto neutralizzato dalla dinamica della produttività, che tutti gli altri paesi hanno e che quasi solo a noi manca del tutto. La stagnazione della nostra produttività dopo poco tempo inizierà di nuovo a premere sulla competitività di ciò che produciamo, sul lavoro e sull’impresa, soprattutto sui salari in presenza, non dimentichiamolo, di una moneta comune nell’eurozona che spinge verso politiche di svalutazione interna a tutto svantaggio del lavoro e della sua retribuzione.

Inoltre, in questa eurozona dove detta legge il consolidamento fiscale e le “riforme strutturali” sono lo strumento imposto dall’Europa agli stati membri per riguadagnare competitività, ogni paese viene forzato a replicare ciò che fa il vicino. Perciò una manovra che abbassa il costo del lavoro in un paese viene imitata da un altro paese, agendo sulle tasse o sui salari. È la legge della svalutazione interna, nella quale l’Italia con la sua trappola della stagnazione della produttività, è la prima ad uscire sconfitta.

Ecco perché focalizzarsi sul cuneo fiscale, impegnare tutte le risorse per la sua riduzione rischia di essere una politica di corto respiro in presenza di produttività stagnante e moneta unica. È una politica che rischia dopo poco tempo di penalizzare il lavoro e l’impresa, e – come un boomerang – di riportare il paese al punto iniziale.

Occorre non dimenticare che il declino dell’economia italiana ha origini lontane, risale a ben prima della nascita dell’Euro. La stagnazione della produttività ne è alla base, ed è alla base della dinamica piatta sia delle retribuzioni che della competitività delle imprese. Essa contribuisce molto alla stagnazione della crescita della domanda interna e del reddito nazionale (Pini 2013c).

La stagnazione della produttività è dovuta in gran parte alle scarse risorse economiche che le imprese, pubbliche e private, e la pubblica amministrazione destinano da decenni all’innovazione, tecnologica ed organizzativa, all’istruzione ed alla formazione. L’insieme del capitale immateriale fa la differenza, perché è fattore cruciale di componenti sistemiche, connettive e aziendali (Quadrio Curzio, 2012) che spiegano la performance negativa della produttività italiana.

Se non si cura questa stagnazione, gli effetti positivi di ogni altro medicamento, riduzione del cuneo fiscale compreso, benché necessario, verranno presto neutralizzati, lasciando il malato cronico in uno stato persino peggiore.

Cosa ci serve per uscire dalla trappola della stagnazione della produttività? Abbiamo cercato di rispondere a questa domanda in una serie di interventi che ora sono raccolti in volume (Pini, 2013c), ed in un saggio del 2013 (Antonioli, Pini, 2013; si veda anche Pini, 2013d). Qui facciamo un passo ulteriore, perché la gravità della depressione italiana lo richiede. Le lontane radici della stagnazione della produttività in Italia – che con l’euro si sono acuite, anche se l’euro non ne ha responsabilità diretta – sono radicate in fattori strutturali, dal lato della domanda, della distribuzione e dell’innovazione. Quindi è su questi fattori strutturali che occorre intervenire.

Oggi la riduzione del cuneo fiscale, che le parti sociali chiedono con vigore, può avere un senso solo se è inserita in una politica nazionale, in un contesto europeo, che (a) rilanci la funzione distributiva e di sostegno della domanda che svolge la dinamica salariale; (b) vincoli le imprese ad impegnare risorse in ricerca, innovazione tecnologica, innovazione organizzativa; (c) impegni il soggetto pubblico ad investire in istruzione, formazione, ricerca ed innovazione.

Essa deve costituire un reale cambio di rotta per la politica economica e sindacale. Le risorse economiche che le parti vogliono destinate alla riduzione del cuneo fiscale siano vincolate e quindi distribuite in funzione degli impegni concreti che le stesse parti assumono sul terreno della ricerca e dell’innovazione. Il soggetto pubblico assuma come obiettivo prioritario quello di sostenere tali impegni, con risorse economiche ingenti per progetti di ricerca di base ed applicata, politiche di innovazione e trasferimento tecnologico, investimenti in istruzione e formazione.

Antonioli D., Pini P. (2013), “Contrattazione, dinamica salariale e produttività: ripensare obiettivi e metodi”, Quaderni di Rassegna Sindacale. Lavori, vol.14, n.2, pp.39-93.

Pini P. (2013c), “Legge di stabilità. Errori e rinvii”, Rassegna sindacale, anno LIX, n.39, pp.1-2.

Pini P. (2013d), Lavoro, contrattazione, Europa, Ediesse, Roma.

Quadrio Curzio A. (2012), “Produttività, sfida cruciale per il Paese”, Il Sole-24Ore, 20 novembre.

(6 febb. 2014)


[1] Questa pagina è tratta, con qualche piccola modifica e col consenso dell’autore, dal saggio di Pini del dicembre scorso Regole europee, cuneo fiscale e trappola della produttività. La Legge di Stabilità 2014-2016 programma la depressione.

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