Domani Fanucci farà arrivare nelle librerie l’edizione economica di Il cuore dell’inverno, nono romanzo della Ruota del Tempo. Il volume era già stato annunciato per giugno-luglio, poi era stato posticipato senza alcuna spiegazione. Io ripropongo qui la recensione che avevo fatto a suo tempo, seguita dai commenti di Brandon Sanderson. Un avviso: i commenti di Sanderson contengono spoiler molto grandi, quindi se non avete letto il romanzo non leggeteli. Quanto all’immagine di copertina dell’ebook, raffigura Rand impegnato in quello che è senza dubbio uno dei momenti più importanti dell’intera saga.
La mia recensione:
Rand in fuga, ancora una volta. Dopo L’Occhio del Mondo, in cui scappava da creature di cui aveva appena scoperto tutta la terribile concretezza, dopo Il Drago rinato, quando cercava di sfuggire a responsabilità che gli apparivano troppo grandi per le sue spalle e da aspettative riposte su quella che credeva essere la persona sbagliata, Rand fugge per salvarsi la vita.
Quella narrata ne Il cuore dell’inverno non è, però, una semplice ripetizione di eventi già vissuti in passato.
Ora l’ex pastore sa che non può più arrivare nessuno a salvarlo, come avevano fatto Moiraine o Perrin e gli Asha’man in passato, o che non può sperare di riuscire a nascondersi. E i suoi movimenti non sono quelli disperati di chi cerca solo di sopravvivere ma atti ragionati, di chi non conosce ancora l’identità del suo nemico, nascosto dietro lo schermo del tradimento, ma che progetta un piano per farlo cadere in trappola, e studia accuratamente le sue mosse.
In fondo si può riassumere in questa parola il nono romanzo del ciclo La Ruota del Tempo firmato da Robert Jordan: progetto.
Tutti progettano qualcosa, studiano le mosse degli avversari, valutano rischi e vantaggi, ma in definitiva agiscono poco. Giusto gli ultimi due capitoli, nei quali davvero si vede l’abilità dello scrittore scomparso nell’alzare improvvisamente la tensione e tenere il lettore col fiato sospeso e desideroso di scoprire cosa sta per accadere.
Se è vero che nella più classica dimensione della trilogia il libro più debole è quasi sempre il secondo, privo sia della potenza immaginifica e creatrice del primo che dell’epicità e drammaticità del conflitto finale presente nell’ultimo, qui, a due terzi della saga, si ritrovano proprio le difficoltà di gran parte delle storie di ampio respiro.
Le vicende narrate da Jordan, iniziate con gli elementi classici di “fellowship” e “quest” (“compagnia” e “cerca”) avevano trovato un imprevedibile punto di svolta nel quarto romanzo, L’ascesa dell’Ombra.
Lì improvvisamente gli orizzonti si allargavano, i vecchi protagonisti si separavano in modo più o meno definitivo per seguire il proprio cammino, e il protagonista diventava un mondo.
Ora questo mondo si è svelato nelle sue innumerevoli sfaccettature, e anche se la sorpresa è sempre dietro l’angolo la missione da compiere, perché allo scontro finale si possa arrivare con qualche speranza di successo, appare ormai chiara. Restano solo da risolvere i problemi di percorso e gli eventuali imprevisti, ma la struttura è lì. La forma e le dimensioni della scacchiera sono state fissate, rimangono semplicemente da posizionare i pezzi, e da scoprire il colore di alcuni di loro.
Con queste premesse la storia procede a rilento. Troppo, per chi ormai dopo diverse migliaia di pagine non è più interessato al modello dell’abito indossato dalla protagonista di turno — ammesso che ne indossi uno, viste certe usanze degli Aiel — e vorrebbe semplicemente sapere se il Drago trionferà. E se un suo eventuale successo provocherà una nuova Frattura del Mondo.
Sì, sono elementi come l’abbigliamento, o le tradizioni dei diversi popoli, che hanno donato a questa storia tutta la sua straordinaria concretezza. I personaggi sono vivi, con i loro pregi e i loro difetti, e immediatamente riconoscibili malgrado il fatto che magari non si sia parlato della loro sorte per due-tre romanzi. E con un cast di personaggi così ampio non è certo un’impresa facile.
Ma per un’ambientazione che non delude le attese, quella che ne risente è la trama.
Interessante, certo. Il destino di Faile e delle sue compagne desta preoccupazione. La destava nello scorso libro, prosegue a destarne per questo e continuerà a destarne nel prossimo, quando la sua situazione migliorerà, o peggiorerà definitivamente. Si spera, perché vederla continuare a dibattersi negli stessi problemi per quattro romanzi potrebbe essere troppo anche per il più sfegatato dei fan.
Il problema del romanzo, in fondo, è tutto qui. Piccoli imprevisti che intralciano il cammino dei personaggi, piani che hanno bisogno di tempo per essere attuati, intrighi che seminano le premesse per un’escalation di avvenimenti che ancora non si vede.
Un lungo prologo per iniziare a mettere un po’ di carne al fuoco è seguito da una sezione dedicata a Perrin e Faile. Ma se in passato gli interventi del giovane fabbro erano sempre stati decisi e risolutori, qui fatica a far prendere agli eventi la piega che desidera.
Poi, una volta che l’occhio di Jordan si allontana da loro, del loro destino non si sa più nulla, e per sapere (forse) come andrà a finire non resta che attendere la prossima puntata.
Compare a più riprese Elayne, ma i suoi problemi, per quanto concreti, raramente riescono a interessare veramente il lettore. È affascinante la cerimonia che la vede protagonista del prologo, ennesima conferma dell’abilità di Robert di sviluppare con coerenza le varie caratteristiche di una cultura decisamente insolita, così come c’è un momento in cui la tensione sale all’improvviso, ma quando la situazione torna ad assestarsi, anche se non proprio a risolversi completamente, tutto scivola nuovamente in una complicata monotonia.
Egwene è quasi del tutto assente, intravista solo con gli occhi di chi la incontra. In compenso torna, e nello scorso romanzo se ne era davvero sentita la mancanza, Mat.
Si scopre qual è stato il suo destino al momento della famigerata invasione, e si assiste divertiti ai suoi improbabili tentativi per venir fuori da una situazione che non gli è esattamente congeniale. Le trovate più brillanti, i guizzi imprevedibili derivano proprio da lui, e dal suo incontro con la tanto attesa Figlia delle Nove Lune.
Dopo quattro romanzi uno dei semi piantati nella storia ha finalmente dato origine a una piantina, anche se ancora non si sa di che tipo saranno i suoi frutti.
Nynaeve, lasciata un po’ in disparte da quando ha ritrovato Lan, svolge un ruolo piccolo ma, almeno nelle ultime pagine, dal notevole peso, mentre trovano spazio punti di vista diversi da quelli che ormai conosciamo bene.
Seaine, Toveine, Asne, Mili, Bethamin, Egeanin, Shalon e i più noti Min, Cadsuane, Demandred e Verin arricchiscono la vicenda di ulteriori sfaccettature, ricordandoci che anche chi non è protagonista dei grandi eventi può fare la sua parte perché le azioni importanti vengano compiute, e che ogni cosa può cambiare aspetto se è vista con una diversa angolazione.
E poi c’è Isam/Luc, le cui vicende erano state narrate in diversi momenti nei passati volumi. Frammenti troppo lontani l’uno dall’altro, tanto da rendere difficile la ricostruzione di un quadro generale e da imporre quasi un controllo per verificare l’identità passata dei due personaggi. Ma in due sole pagine vengono svelati alcuni dei misteri durati più a lungo nell’intero ciclo.
Il filo conduttore, quello che attraversa tutte le vicende perché condiziona inevitabilmente le azioni degli altri personaggi, rimane comunque Rand. La sua fuga, e il suo tentativo di compiere qualcosa di ritenuto impossibile anche se necessario, e che lui va progettando da qualche migliaio di pagine, attraversano la storia fino all’epico conflitto finale.
Peccato che per arrivarci siano necessarie così tante divagazioni. La tensione finisce così inevitabilmente per calare, frustrata da un’attesa che sembra interminabile.
Per contro, gli avvenimenti delle ultime trenta pagine si svolgono a un ritmo che definire incalzante sarebbe riduttivo. Non c’è più tempo per pensare, ora i protagonisti, di qualsiasi schieramento facciano parte, possono solo agire.
La tensione è altissima, tanto quanto la posta in gioco, e i punti di vista si succedono senza requie. Ciò che domina è la sensazione di caoticità e frammentarietà proprie di qualsiasi conflitto, in cui chi vi prende parte non può avere un’idea d’insieme di ciò che sta accadendo, troppo occupato a salvare la propria pelle. E la consapevolezza del pericolo, di un attacco che può arrivare da qualsiasi direzione, unita alla consapevolezza che non è detto che ci si possa fidare dei propri alleati, sono elementi che aggiungono altra carne al fuoco, creando un effetto talmente forte da rendere semplicemente impossibile l’ipotesi d’interrompere la lettura prima della fine.
Chiuso il romanzo, quello che rimane è uno stordimento che può ricordare l’ebbrezza, e la consapevolezza che il mondo creato da Robert Jordan non sarà più lo stesso.
Le impressioni di Brandon Sanderson:
Questo è il libro in cui Saidin viene pulito. Anche se i lettori hanno atteso con impazienza per anni la fine della saga, questo romanzo dà finalmente la sensazione che qualcosa stia accadendo. La pulizia dell’Unico Potere meritava il suo proprio libro, e la battaglia finale costituisce un notevole climax, con le storie di numerosi personaggi legati insieme in un unico grandioso avvenimento.
Sanderson, come tutti, si è chiesto per anni se Saidin sarebbe mai stato pulito o se la contaminazione sarebbe stata ancora presente, cosa che avrebbe lasciato gli Asha’man nella condizione di essere continuamente cacciati e domati. Con gli eventi di questo volume invece la serie cambia drasticamente, aprendo nuove possibilità narrative e dando spazio a nuovi conflitti.
Secondo Brandon il fatto che questo non sia avvenuto in Crocevia del crepuscolo è uno dei motivi per cui il decimo romanzo non è stato apprezzato.
Da scrittore Sanderson si è soffermato sulla tecnica usata da Jordan. Lui, come molti altri autori, avrebbe lasciato i propositi di Rand avvolti nel mistero, per poi rivelarli drammaticamente. Robert ha scelto di rivelarli, creando l’aspettativa sull’interrogativo della riuscita dell’impresa.
La prima soluzione, quella che anche lui avrebbe scelto d’istinto, a suo giudizio sarebbe stata adatta per il primo o il secondo romanzo della serie, ma a questo punto della storia la seconda è la più onesta. Invece di avere una trama legata al mistero (“cosa farà Rand?) abbiamo una trama legata all’avventura (“Rand riuscirà nel suo intento?”), due cose molto diverse. La scelta dello scrittore è molto soddisfacente, e gli consente di focalizzarsi su Rand.