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Il cuore nero dell’america

Creato il 04 ottobre 2011 da Conflittiestrategie

Si è sempre detto: incazzato nero, nero come l’oscurità, essere d’umore nero, avere l’anima nera. Tuttavia, un tempo i niggers andavano fieri della loro ira decalcata sul colore della pelle che non nascondevano dietro gli orpelli liberali ma preferivano tener ben visibile sulla canna del fucile, contro una società razzista che li costringeva ai margini e li considerava lo stuoino dell’umanità (G. Jackson).  E tanto, nonostante eventi e promesse che avrebbero dovuto garantire loro la parità con l’uomo bianco:  dalla guerra civile, al proclama di Lincoln, dagli acri di terra che non videro ai muli che non ebbero, per approdare alle esplosioni di rabbia e alle rivolte nei ghetti, tentativi di ridistribuire in proprio le merci che il sistema non regalava,  immancabilmente finite in un bagno di sangue. L’unica cosa che non tolleravano era quella di essere accostati alla scalogna e ai gatti neri perché loro erano Pantere che al posto degli artigli avevano pallettoni. Poi è arrivato Obama il creolo ed il colored è diventato una sfumatura progressista che disegna sogni e concretizza incubi.  Nemmeno il paonazzo alcolista con le allucinazioni, il mandriano del Texas a marchiatura Wasp, rozzo, fanatico e antisecolarista, è giunto a tanta crudeltà. E stiamo parlando di un esaltato autoproclamandosi messaggero di Dio e non di un semplice ambasciatore democratico che porta diritti civili e pene come l’attuale inquilino della Casa Bianca. Perché è arrivato il momento mettere tutto nero su bianco. Barack Obama è il volto rassicurante eppur tremendo di quest’America violenta e sanguinaria che impone la sua pax caotica nel mondo con lo scopo di schiacciare chiunque ostacoli la sua forza o non si sottometta alla sua volontà di potenza.  Non si salva nessuno da questa inappellabile sentenza, nemmeno gli stessi cittadini statunitensi. Basta un drone ed il clone di Al Qaeda, o il presunto tale, viene annichilito seduta stante.  E’ successo recentemente all’imam Al Awlaki, nato in New Mexico da padre Yemenita, ma, a tutti gli effetti, figlio della Statua della libertà e dei valori dell’opulenza. Uomo preparato e con un forte seguito tra i musulmani d’oltreatlantico, veniva intervistato dalle maggiori testate giornalistiche nazionali e invitato al Pentagono “per promuovere il dialogo interreligioso”, nonché al Congresso per celebrare la preghiera per i parlamentari fedeli ad Allah. La sua vita cambia dopo l´11 settembre quando egli inizia a perorare la teoria del complotto interno. Non commette nessun reato ma afferma un’opinione diversa in un paese dove islam è diventato sinonimo di eversione. Da quel momento le forze speciali gli rendono impossibile l’esistenza tanto che è costretto ad espatriare. Viene arrestato nello Yemen, dove insegna all’Università, con l’accusa di aver tentato di rapire un militare yankee. In prigione le sue posizioni si radicalizzano. Non entro negli aspetti psicologici delle persone perché li ritengo sempre un rebus ma mi pare ovvio che se bracchi qualcuno, fino a farlo sentire in pericolo, è facile che costui salti il fosso e porti al parossismo le sue posizioni.   Per questo mi pongo e vi pongo una domanda. L’antiterrorismo stelle e strisce nasce per combattere gli avversari della comunità americana oppure è una centrale di provocazione che prima crea i suoi nemici e poi dà loro la caccia per affermare ed estendere i suoi interessi? Secondo me rientriamo nella seconda casistica e non lo dico per antiamericanismo preconcetto e ideologico. Dico questo perché tali episodi e il relativo modus operandi criminale stridono con le belle parole di una società che fa della legge, della Costituzione, della protezione dei diritti umani il proprio baricentro, tanto da pretendere di esportare tutto il pacchetto umanitaristico nel resto del pianeta. La vita di Al Awlaki era protetta proprio da quella Legge Suprema e da quella proceduralità giudiziaria che è sempre sulla lingua dei Presidenti d’oltreoceano e dei loro lacchè occidentali. Il Citizen Al Awlaki, in quanto connazionale di Obama, doveva essere portato davanti ai giudici come ha rivendicato inutilmente il repubblicano Ron Paul, ma gli avvocati di Washington ci hanno messo cinque minuti a trovare la copertura legale per l’ennesimo misfatto perpetrato in nome della civiltà. Sarà pur vero che sia stato Bush ad incominciare questa caccia spietata al sovversivo  ma è Obama, premio Nobel per la pace, che la sta portando alle sue estreme ed incontrollabili conseguenze. Come ha scritto Guido Olimpo sul Corsera: “La catena burocratica creata sotto Bush è continuata anche con Obama. Anzi, la presidenza, in piena sintonia con l’intelligence, ha scelto i droni come l’arma principale nella lotta ad Al Qaeda. Veri mietitori del cielo che hanno incenerito militanti arabi, ceceni, uzbeki, pachistani, somali scovati nei loro inaccessibili rifugi”. Le persecuzioni e le guerre americane hanno oggi i tratti somatici di un nero che parla al cuore della gente e trama alle sue spalle in modo subdolo e banditesco. I suoi discepoli sono anime belle e filantropi progressisti che un tempo divellevano le piazze, si vestivano di fiori e fumavano spinelli ma che oggi fanno i moralizzatori e mandano in fumo le speranze dei popoli recalcitranti alla prepotenza. Lo zio Tom e lo zio Sam si sono messi insieme per fotterci tutti e ci stanno riuscendo. Soprattutto qui da noi che abbiamo Veltroni anziché i droni.


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