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Il curioso caso di India e Cina

Creato il 20 novembre 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Il curioso caso di India e Cina

Durante la sua recente visita in Cina, il Primo Ministro dell’India Manmohan Singh ha dichiarato che quando i due giganti asiatici si stringono le mani, il mondo presta attenzione. Sebbene l’affermazione è valida, la reale questione da porre è se i media e la comunità diplomatica e di sicurezza nei due paesi danno importanza a tale stretta di mano. Si può sostenere che le relazioni tra India e Cina includono una grande quantità di occasioni mancate, e che i due hanno aggiunto ancora un ulteriore capitolo a tale racconto.

Negli ultimi anni, India e Cina hanno intrapreso un dialogo strategico, anche se il termine “strategico” viene usato in modo vago. La quinta edizione del dialogo è stata ospitata da Nuova Delhi ad agosto. I leader sono riusciti a intrattenere continue conferenze annuali ad alto livello, interazioni ai meeting annuali dei paesi cosiddetti BRICS e incontri ai margini del G20 e ad altri forum globali. India e Cina hanno avuto diversi appuntamenti ad alto livello.

Tuttavia il confronto non si è evoluto. Le logiche del XX secolo continuano a definire quella che certamente deve essere la più importante partnership del XXI secolo. Come unico segno visibile di un legame profondo, rimangono le relazioni commerciali tra i due paesi, che entrambi i governi utilizzano largamente per dimostrare supposte “fitte relazioni” e “vincenti” condotte diplomatiche.

Non c’è stata una volta che la crescita delle relazioni commerciali tra India e Cina sia stata facilitata dalle azioni di governo. Il rapporto è cresciuto nonostante la riluttanza dei due governi di andare oltre le controversie che rappresentano un’eredità del passato. Due fasi hanno definito tale relazione commerciale: la fase Karol Bagh-Guangzhou, dove il distretto commerciale di Nuova Delhi, tra gli altri in India, ha visto un flusso di beni a basso costo provenienti dai centri manifatturieri cinesi; e la fase Mumbai-Shanghai, nella quale le maggiori imprese dei due paesi hanno avviato rapporti commerciali.

Piccoli imprenditori e commercianti sia in India che in Cina hanno visto un’opportunità e iniziato un processo di legame economico che ha condotto all’inondazione dei mercati indiani con prodotti cinesi a buon mercato, inclusi cellulari, mortaretti e persino idoli di divinità indiane. Gli imprenditori lavorando alla base della piramide commerciale hanno modellato la prima ondata dei rapporti economici sino-indiani, spesso prendendo grossi rischi e lavorando sotto regimi sfavorevoli per condurre affari.

Questi piccoli commercianti hanno avuto sempre maggiore compagnia. Grandi complessi industriali a Mumbai e Shanghai e altri centri economici, hanno valutato positivamente il legame. Le compagnie indiane hanno ottenuto apparecchiature di valore elevato nei settori energetico, manifatturiero e delle telecomunicazioni a prezzi competitivi, e stanno persino incrementando prestiti commerciali a tassi favorevoli in Cina. Le aziende cinesi stanno mostrando interesse nell’investire nel settore infrastrutturale indiano e stanno tentando d’incrementare la quota nel crescente mercato dei beni al consumo. Le comunità commerciali hanno creato tale legame economico, basato sulle opportunità e i bisogni.

Dall’altra parte, i governi a Nuova Delhi e Pechino hanno mostrato una considerevole resistenza. Pedanti e riluttanti a servirsi della leadership per risolvere o azzerare gli ostacoli politici, entrambi i governi sono stati colpevoli nell’aver frenato l’integrazione economica tra i due giganti asiatici.

Gli establishment diplomatici e di sicurezza hanno minato i tentativi di spingere il confronto oltre i tracciati della frontiera, dei visti e della diffidenza storica. Attualmente qualsiasi aspetto nel rapporto bilaterale è un discorso sulla sicurezza. I confronti riguardo il livello dei bacini tra esperti idrici e comunità fluviali sono sempre più trattati come una “questione di sicurezza”. L’interesse cinese nell’espansione del settore relativo a porti, strade e autostrade è limitato da una supposta “minaccia di sicurezza” e lo sviluppo indiano del proprio settore nord-orientale, invece di essere visto come una direttrice d’investimento per le imprese cinesi, è percepito come una sfida alle storiche rivendicazioni di sovranità della Cina.

Il rapporto tra Pechino e Nuova Delhi è prigioniero di tali considerazioni relative alla sicurezza, e in diverse circostanze queste nascono al di fuori, a Washington, Londra e Canberra, e non sono necessariamente organiche alle discussioni tra India e Cina. L’idea di una competizione “nell’Indo-Pacifico” e della crescente “egemonia cinese” stanno attualmente ritagliandosi uno spazio nel dibattito bilaterale. Come risultato, India e Cina non sono neanche lontanamente vicine a integrare terra, acqua, uomini, mezzi, mercati e risorse – imperativi per realizzare l’immenso potenziale della relazione. Ogni impegno ha un punto di flesso e in qualche modo la comunità di ricerca indiana s’interroga se l’incontro attuale rappresenta quel punto per i due paesi. La domanda da porsi, dunque, è se la visita attuale ha trasmesso nuova vitalità al cammino verso una sostenibile riconciliazione.

Alcuni aspetti del rapporto tra India e Cina devono essere esaminati se si desidera raggiungere questo. Il primo aspetto deve essere il confine. Mentre l’imprecisa Line of Actual Control è stata fonte di tensioni occasionali tra India e Cina, deve essere riconosciuto che i confronti lungo la frontiera non hanno preso una piega violenta. Tuttavia, la frequenza di tali confronti e l’incremento delle capacità militari, sullo sfondo di un crescente nazionalismo da entrambe le parti, amplifica le possibilità che tali incidenti sfuggano al controllo.

A riguardo, il Border Defense Cooperation Agreement siglato da India e Cina è un significativo passo avanti nelle iniziative condivise da entrambe le parti dal 1993, volte a mantenere la pace e la tranquillità lungo il confine. Punti dell’accordo, come lo scambio d’informazioni riguardo le esercitazioni militari, o la possibilità d’istituire linee dirette e un accordo volto a non seguire o tracciare le rispettive pattuglie militari, sono importanti, anche se piccoli passi.

Gli scettici continuano a spingere su visioni pessimistiche. Una scuola di pensiero rappresentata da analisti come Brahma Chellany ha sostenuto che la Cina si è servita dell’incidente di Depsang dell’aprile 2013 per far pressione sull’India, in modo che acconsentisse ai desiderata cinesi nella gestione del confine. Quest’anno in primavera, truppe cinesi sono penetrate in profondità all’interno del territorio indiano e hanno installato un accampamento nella Valle di Depsang nel Ladakh.

D’altra parte, quelli (al momento, per lo più la comunità economica) che guardano positivamente al legame, desiderano andare oltre la questione del confine, renderla meno importante in modo da incoraggiare le relazioni economiche. Per loro, un accordo sulla frontiera è una via per raggiungere ciò. I pessimisti, comunque, sono numerosi, e invece di guardare alla situazione per quella che è – colma di opportunità, se si scegliesse di riconoscerle – continuano sulla linea dello status quo. La presa che tale gruppo è in grado di esercitare sui media e sulla sfera pubblica, che si nutre di sinofobia, sovrasta completamente qualsiasi punto di vista alternativo. Perciò, una definitiva sistemazione del confine deve essere ciò che i due paesi dovrebbero ricercare, e l’accordo attuale può rappresentare solamente una temporanea fasciatura a una ferita infetta che tiene bloccato il rapporto.

Entrambe le parti, purtroppo, sono state incontentabili riguardo la questione della liberalizzazione delle politiche sui visti. Il recente episodio nel quale l’Ambasciata cinese ha emesso visti speciali (rappresentanti il rifiuto di riconoscere uno Stato come parte dell’India) per gli sportivi provenienti dall’Arunachal Pradesh, e le risultanti proteste da parte indiana, hanno vanificato la possibilità di una liberalizzazione del regime dei visti. Sarebbero necessari una maggiore flessibilità burocratica da parte cinese e maggiore creatività da parte indiana – consentendo una liberalizzazione del regime dei visti in linea con la posizione indiana sulla questione dell’Arunachal Pradesh (favorevole ai visti) senza pregiudicare le storiche rivendicazioni territoriali. Tuttavia ancora una volta, la Cina ha posto se stessa in una posizione dalla quale una ritirata equivarrebbe a una sconfitta, e, ancora una volta, l’India ha fallito nel cogliere l’opportunità nel momento in cui si è presentata.

Lo squilibrio commerciale di quasi 20 miliardi di dollari con la Cina continua a essere una questione spinosa, e i due hanno mancato un’altra opportunità di affrontarla, dal momento che l’incontro ha fallito nel creare una via per incrementare gli investimenti cinesi in India. Sebbene Singh ha manifestato il proprio interesse nell’attrarre investimenti cinesi in India prima d’intraprendere la visita, concreti passi avanti in tale direzione restano vaghi. Gli investimenti cinesi volti a creare zone industriali e altri progetti infrastrutturali rappresentano un ovvio ostacolo rispetto al deficit commerciale.

Consentire la creazione di centri servizi da parte delle compagnie energetiche cinesi in India, è certamente un importante passo avanti e uno sviluppo positivo nell’ambito delle trattative attuali. Ciò dovrebbe attenuare le preoccupazioni sollevate da taluni nell’establishment di sicurezza indiano riguardo la proliferazione di apparecchiature cinesi nel settore energetico. Tali allarmistiche preoccupazioni sono collegate all’eventualità che l’India, acquistate tali attrezzature dalla Cina, potrebbe ritrovarsi bloccata come con i proverbiali “elefanti bianchi”, a causa della mancanza di forniture in termini di pezzi di ricambio e servizi.

L’acqua è prevalsa sull’ampia lista delle questioni in tal caso e deve essere visto come un segnale rilevante, in quanto certamente è una prima volta il fatto che la Cina ha acconsentito in trattative del genere con un rivierasco inferiore. I due hanno concordato di condividere i dati idrogeologici riguardo i tratti dei fiumi transfrontalieri e di scambiare pareri su argomenti collegati d’interesse condiviso. Ciò dà all’India uno spiraglio attraverso cui trattare con la Cina riguardo la costruzione delle dighe sul Brahmaputra. Allo stesso modo, il memorandum d’intesa su piani stradali e trasporto, identifica diverse aree di cooperazione, inclusa la condivisione delle conoscenze sulle tecnologie di trasporto, gli standard per la costruzione stradale, piani di sicurezza stradale, ricerche congiunte ed esperienze condivise relative ai modelli di partnership pubblico-privata. Ciò può essere visto come porre le fondamenta per creare una struttura volta a collegare l’Asia.

Altrove l’economia si è dimostrata essere il maggior fattore nell’ottica di una riconciliazione politica. Tuttavia, nel caso di India e Cina, il legame economico si sta infrangendo su di un muro politico. Solamente una spinta a livello politico può favorire la realizzazione di quello che altrimenti sembrerebbe inevitabile: divenire, quello tra India e Cina, il più grande rapporto commerciale bilaterale nel mondo.

L’India deve apprendere da altri. Gli Stati Uniti stanno ponendo in essere il proprio pivot strategico in Asia in modo da creare relazioni volte a bilanciare la crescita della Cina, ciononostante Washington ha raggiunto il traguardo di 500 miliardi di dollari nel proprio interscambio bilaterale con Pechino. Il Giappone, che secondo locali sondaggi d’opinione detiene la peggiore reputazione tra i cinesi, gestisce un legame commerciale equivalente a 300 miliardi di dollari. Nonostante diatribe e differenze politiche, in tal caso, si assiste al pragmatismo in azione.

Attualmente, l’India necessita di mille miliardi di dollari in investimenti infrastrutturali, ogni cinque anni per almeno i prossimi due decenni. La Cina ha il potenziale per essere il più importante investitore in tale sforzo. Gli investimenti da parte della Cina, creerebbero automaticamente anche delle barriere di sicurezza favorendo l’India e aiuterebbero a compensare il deficit commerciale. In cambio, l’India offre alla Cina l’opportunità di proseguire nella sua impressionante crescita economica. Il proprio potenziale in termini di acciaio, cemento, energia e industria può adesso essere impiegato nella trasformazione dell’India, e di rimando tali iniziative economiche supporterebbero il PIL cinese con solide fondamenta. Siamo nel momento politico in cui l’Asia può raggiungere un livello d’integrazione come mai prima d’ora.

Sfortunatamente, i due pilastri del nascente “Secolo Asiatico” rimangono ancora prigionieri delle proprie supposte insicurezze e di una sognata magnificenza. Sembrano condannati al “non perdere mai un’occasione per perdere un’occasione”, come una volta un uomo saggio ha sottolineato.

(Traduzione dall’inglese di Francesco Bellomia)


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