La storia, ambientata a Berlino nella metà degli anni 60, racconta di tre agenti del Mossad incaricati di catturare un criminale di guerra nazista. Durante la missione un imprevisto li obbliga a cambiare i loro piani. Trent'anni anni dopo li ritroviamo in Israele, alle prese con la notizia della ricomparsa del famigerato avversario, e con le conseguenze di una segreto che potrebbe essere rivelato.
Girato in maniera classica, e suddiviso in due diversi piani temporali, il passato, legato all'organizzazione ed alla messa in opera del progetto, ed il presente, gratificante ma fortemente condizionato dalle conseguenze di quell'azione, "Il debito" è un thriller, in cui il contesto storico, invece di appesantire la vicenda con inutili dettagli, la legittima, conferendogli una forte drammaticità. Basterebbe pensare a tutta la parte centrale, quella in cui i rapitori si ritrovano faccia a faccia con l'aguzzino, in un confronto di ricordi e testimonianze che tornano a galla come un cadavere nell'acqua. Un vaso di Pandora destinato a riversarsi sugli esiti della missione, e sulle vite di chi la deve portare a termine. Oppure al rapporto tra la Shoah, il male indicibile, ed i non detti, di cui la vicenda si fa carico attraverso le omissioni degli agenti, a simboleggiare la difficoltà di disfarsi per sempre dei propri fantasmi. Ed è proprio il tentativo di superare questa impasse, materiale, quando il commando è costretto a ripiegare in una clandestinità a termine, psicologica, conseguente alle decisioni che verranno prese alla vigilia del ritorno in patria, a spostare l'interesse del film dalle dinamiche puramente action della parte iniziale, enfatizzata nel suo realismo dall'assenza di effetti digitali, a quelle interiori ed emotive, legate ai rapporti tra i diversi contendenti. La sceneggiatura aiuta questo passaggio costruendo un intreccio cupo e labirintico, che sfrutta al massimo il rapporto tra le figure umane e lo spazio circostante, spoglio e privo di orizzonte, per rendere il senso di una claustrofobia ed un isolamento intollerabile. Un racconto a scatole cinesi, tenuto in piedi da una regia essenziale, quasi invisibile, che valorizza al massimo la possibilità di modulare le diverse fasi sui volti, ed anche sul corpo degli attori, con Helen Mirren a replicare in ogni dettaglio, anche gestuale, la versione invecchiata dello stesso personaggio impersonato da Jessica Chastain, una Rachael, la donna del gruppo, di nervosa bellezza ed intensità. Ne deriva una tensione continua, dall'inizio alla fine del film, ed un coinvolgimento che porta lo spettatore ad immedesimarsi con quello che sta vedendo. Paragonato ad un classico del genere, come "Munich", non solo nell'incipit ma anche per la riflessione sui limiti di una giustizia ottenuta con il sangue, "Il debito" sembra più vicino per atmosfere ad un film come "Il maratoneta", e, nella dicotomia tra verità e ragion di stato, ad "I tre giorni del Condor". Un cinema di idee ed intrattenimento di cui si sentiva la mancanza.
(pubblicata su ondacinema.it)