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(pubblicato su http://quartiereglobale-padova.blogautore.repubblica.it/ il giorno 24 marzo 2011)Se c’è un dato delle vicende internazionali che deve allarmarci è l’inesorabile declino dell’America. Sono ormai anni, se non decenni, che i politologi si sbizzarriscono a formulare scenari che vedono il progressivo indebolimento dell’America, la cui perdita di potere relativo consente l’inevitabile ascesa di altri Stati nella scena internazionale.Le modalità che hanno condotto all’intervento occidentale in Libia testimoniano ineluttabilmente questa tendenza, anzi per certi versi l’accelerano. Sia chiaro, l’America è ancora la più grande potenza al mondo almeno in termini economici e militari. Ma il ruolo giocato dagli Stati Uniti in queste settimane è a dir poco imbarazzante. Dal Segretario di Stato della più grande potenza al mondo non ti aspetti che giustifichi la scelta di non intervenire, accontentandosi della proclamazione di una no fly zone, adducendo il peso negativo dell’eredità acquisita in seguito alle campagne (piuttosto disastrose) di Iraq e Afghanistan. In realtà, dalla più grande potenza mondiale non ti aspetti proprio che si defili.Gli Stati Uniti, dopo un decennio di politica estera dissennata sotto la guida dell’improvvido George W. Bush, sembrano aver invertito la rotta commettendo l’errore opposto, cioè peccando di inazione. L’Amministrazione Obama ha dato prova finora di non essere totalmente all’altezza delle sfide che provengono dal sistema internazionale. In realtà l’indecisione mostrata da Obama è un puro atto di volontà politica, indice di una strategia di disimpegno dalle vicende internazionali. La scelta di non annullare le visite in Brasile, Cile ed El Salvador, teatri assolutamente remoti rispetto a quello caldo mediterraneo, spiega tutto.Il protagonista assoluto della vicenda in questione è il Presidente francese Sarkozy, in cerca di un consenso interno che è riuscito peraltro ad ottenere. Ma gli è stato volutamente lasciato un enorme margine di manovra. Gli è stata concessa su un piatto d’argento la possibilità di colmare l’inspiegabile vuoto politico lasciato dall’America. Non bisogna affatto cadere nella trappola di confondere la prudenza (principio guida del realismo politico) con un vero e proprio atto di abbandono (il principio guida della politica estera USA fino alla Seconda Guerra Mondiale: l’isolazionismo di jeffersoniana memoria). Non sto dicendo che l’America avrebbe dovuto impegnarsi in una nuova guerra. Sto semplicemente affermando che avrebbe dovuto recitare un ruolo politico all’altezza della sua potenza. Anche impedendo a Sarkozy una così avventata iniziativa.La scelta del disimpegno non può che favorire Paesi come la Russia o la Cina che hanno una proiezione globale degli interessi e sono intenzionati a delegittimare il ruolo politico dell’America. La Russia ha visto addirittura uno scontro interno al Cremlino fra il PresidenteMedvedev e il Premier Putin con quest’ultimo che non ha perso tempo per condannare il carattere medievale della Risoluzione 1973.E noi europei? L’intervento in Libia mostra la netta spaccatura fra i Paesi del vecchio Continente e celebra il funerale di un progetto politico che in realtà non è mai nato. Al declino americano non fa da contraltare un’unione politica europea, tutt’altro: quell’asse franco-tedesco – lo storico motore dell’unità europea – la cui solidità aveva retto persino sul tema della guerra in Iraq, si è clamorosamente spezzato oggi su tale vicenda.Paradossalmente, il sistema internazionale degli Stati era più sicuro durante lo scorso decennio. Politicamente, il mondo attuale è ormai multipolare. E, di conseguenza, assai più pericoloso.
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