Il declino dell’impero americano
di Sergio Romano
Autore: Sergio Romano
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Edito da: Longanesi
Collana: Le spade
Prezzo: 14.90 €
Genere: Saggistica
Pagine: 126 p.
Trama: Gli Stati Uniti sono da sempre una potenza imperiale, convinti della propria superiorità politica e morale. Dal 1945 l’America mondiale ha affrontato la sfida dell’URSS alla testa di una grande alleanza politico-militare, ha cinto il mondo di basi militari, ha creato rapporti di alleanza e sudditanza con un grande numero di paesi, ha esportato il proprio modello economico anche nei paesi del blocco sovietico e nella Cina post-comunista. Dopo la fine della guerra fredda e il crollo dell’URSS, si è ritenuta libera di agire contro chiunque potesse sfidare l’ordine americano e ha combattuto due guerre. Ma le guerre non vinte, come quelle dell’Afghanistan e dell’Iraq, per una potenza imperiale sono guerre perdute. La crisi dell’impero americano è cominciata a Kabul e a Baghdad, ma è diventata ancora più evidente da quando i più vecchi e fedeli alleati degli Stati Uniti, l’Arabia Saudita, Israele, la Turchia, il Giappone, alcuni paesi europei manifestano segni di fastidio e cominciano a fare scelte politiche che danno per scontato il declino della potenza americana. Ma nel futuro e preoccupante “disordine” mondiale si aprono anche nuovi spazi per un’autonoma politica estera europea.
Per commentare adeguatamente questo libro, per quanto possibile ovviamente – considerata la mia scarsa preparazione sull’argomento politica estera statunitense – , è comunque necessario dire prima di tutto che Sergio Romano è stato un diplomatico per professione, per la Nato, e ambasciatore italiano a Mosca dal 1985 al 1989.
Pur non essendo “comunista”, qualsiasi cosa voglia dire ora questa parola, certo non è tenero – in questo suo scritto né in altri passati – con la politica estera statunitense, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale in poi. È questo, infatti, il lasso di tempo che l’autore prende in considerazione: facendo all’inizio del libro un breve excursus sia sulla guerra in Vietnam che sulla crisi della baia dei Porci e Suez, per arrivare poi e dilungarsi all’epoca Reagan e al dissolversi della Russia in quella che è l’attuale Confederazione degli stati indipendenti.
“Cosa fa l’Europa in tutto questo?” chiederete voi. Pensa e ci ripensa (come i cornuti) e al massimo emette sanzioni che, come abbiamo visto in seguito alla crisi ucraina, hanno proprio un grosso potere (da leggere con tono cinico). Ma, dopo lo scandalo Snowden, c’è da dire che gli Stati Uniti stanno perdendo amici un po’ da tutte le parti.
Comunque, secondo l’ex ambasciatore, la crisi dell’impero americano è cominciata a Baghdad e a Kabul, dove le guerre non vinte e infinite hanno sottolineato ancora una volta la scarsa utilità di “esportare la democrazia”, come anche il passaggio a strategie spionistiche, diverse da quelle militari. L’attuale situazione, poi, sembra anche sottolineare la memoria selettiva di Obama che ora accusa Putin di violare i confini di uno stato sovrano, un po’ come il bue che dice cornuto all’asino – per ridurre tutto ai minimi termini. Chiaramente, gli errori e le “sottovalutazioni” di Obama sono solo le ultime di una lunga serie cominciata da molto prima della sua presidenza e culminata con l’ascesa degli U.S.A. a unica superpotenza mondiale, che hanno poi voluto esagerare, cercando di annettere quasi tutte le ex-repubbliche sovietiche alla NATO. Voglio dire, in quanto a strategia di accerchiamento non era male, ma davvero credevano che nessuno se ne sarebbe accorto?