Il bel Dedica Festival di Pordenone, che ogni anno ha come protagonista un solo autore, quest’anno è incentrato sul romanziere algerino di lingua francese Yasmina Khadra, nome d’arte di Mohammed Moulessehoul, ex militare diventato scrittore per amore dei libri.
Da oggi e fino al 12 marzo, si susseguiranno nella cittadina friulana: conversazioni con Khadra, proiezioni tratte da alcuni dei suoi romanzi, adattamenti teatrali, dibattiti, incontri con gli studenti delle scuole e momenti per i più piccini.
La kermesse letteraria si concluderà il 12 marzo con il concerto dell’artista algerino Rachid Taha e il suo “Couscous clan”.
Moltissimi sono i romanzi di Yasmina Khadra tradotti in italiano: negli anni è stato pubblicato da e/o, Feltrinelli, Mondadori, Nottetempo, Marsilio e da qualche anno è tradotto in esclusiva da Sellerio. È quindi uno degli autori arabi più tradotti e conosciuti nel nostro paese, dove viene spessissimo, ospite di incontri e festival culturali (sarà anche tra gli ospiti del misteriosissimo Salone del Libro di Torino, che quest’anno avrà un focus sulle “letterature arabe”).
Eppure, Khadra è un autore francofono, vive in Francia da molti anni, e si propone infatti come profondo conoscitore di entrambe le culture, quella araba-berbera e quella francese/europea. Parla una lingua che ci è familiare, che possiamo capire, spesso e volentieri sulla stampa italiana interviene con articoli dove più che parlare come scrittore, si presenta quasi come “interprete” per l’Occidente dei problemi del mondo arabo e dell’Algeria. E ogni tanto, le sue affermazioni sono decisamente discutibili e rivelano un pensiero poco articolato e molto superficiale dell’attualità dei paesi arabi.
Nell’intervista apparsa sul Corriere della Sera di qualche giorno fa (intervista in cui non emerge neanche mezza domanda a Yasmina Khadra in quanto autore di libri) ad esempio affermava che: “La primavera araba è stata una stagione incerta che, dopo l’estate delle bombe e l’autunno delle promesse, è sfociata oggi nell’inverno dei fallimenti”.
Con buona pace, mi viene da dire, di tutte quelle persone, anime belle, che nel 2011 sono scese in piazza a Tunisi, Il Cairo o Damasco per reclamare dignità, libertà e giustizia sociale e che oggi sono morte, si trovano in carcere o continuano a richiedere gli stessi diritti, nonostante cinque anni di guerra e repressione, come i meravigliosi e coraggiosissimi manifestanti siriani di cui in questi giorni circolano in rete i video.
Khadra parla invece di una “ricerca nevrotica di libertà e dignità” che ha poi portato alla “follia”, nel senso di follia islamista, che oggi i paesi europei devono combattere perché ne hanno le capacità militari. L’articolo del Corriere portava l’emblematico titolo: “La guerra all’Isis, strada per la pace” e Khadra chiosava dicendo che questa sarà una guerra che porterà alla vittoria, perché è una guerra “giusta”.
Quindi se ho capito bene, le rivolte arabe sono state nevrotiche, si sono risolte in buco nell’acqua, ne hanno approfittato i retrogradi islamisti, che ora l’Occidente deve combattere con una guerra perché è nel giusto.
Con tutto il rispetto, tralasciando i vari (deprimenti) riferimenti stagionali, mi sembrano affermazioni piatte, frutto di un’analisi superficiale, ingiusta e che accomoda i gusti di certuni che dagli intellettuali del mondo arabo vogliono proprio sentirsi dire queste cose.
Infine, vorrei dare un suggerimento al Festival Dedica, che mi sembra ben ragionato e strutturato: negli anni hanno avuto tra gli ospiti altri autori arabi. Da Pordenone sono passati Assia Djebar, Amin Maalouf e Tahar Ben Jelloun. Tutti francofoni.
Non è forse il caso di dare una chance, in futuro, agli autori arabi che scrivono in arabo? Io un paio di nomi interessanti da suggerire li avrei.