Un giovane su una moto Suzuki viaggia tranquillo con le chiome al vento; è un giramondo di nome David, che, come apprenderemo in seguito, professa ideali di libertà tipici dei figli dei fiori ovvero gli hippy.
All’imbrunire, imboccata una strada che attraversa la campagna, si imbatte in un distinto signore fermo sul ciglio della strada accanto alla sua Rolls Royce con una ruota a terra.
David lo aiuta a cambiare la ruota, ma per tutto ringraziamento scopre che il misterioso ed elegante individuo ha bucato la gomma della sua moto.
Il signore, che ha ripreso il viaggio, sentendosi inseguito da David perde il controllo dell’auto che finisce contro un albero;quando David lo raggiunge lo trova riverso al volante, morto.
Il sogno di David: l’enigmatico tatuaggio di Bibiana
Il giovane decide di riprendere il viaggio, ma essendo calata la sera è costretto a passare la notte in un capanno che ha incontrato lungo il cammino.
All’alba ha la sorpresa di essere svegliato da una bella ragazza, Lily, che lo invita ad andare via.
Ma è destino che il giovane non sfugga più a quel posto che appare arcano e misterioso; la ragazza tra l’altro ha due sorelle anch’esse bellissime, più grandi di lei.
Sono Samantha e Bibiana che lo invitano a restare.
Sedotto dall’atmosfera del posto e sopratutto avvinto da un’atmosfera sottilmente erotica e dal trattamento che le tre donne gli riservano, David resta loro ospite riverito come un pascià.
Lily, Samantha e Bibiana infatti non solo solleticano il suo palato con pranzi succulenti e abbondanti, ma lo irretiscono in un sottile gioco di seduzione nel quale, a turno, fanno l’amore con David.
Ma ben presto il giovane inizia a sospettare che le tre donne non siano quello che sembrano, ovvero delle solitarie in cerca di affetto o semplice svago sessuale.
Una notte, seguendole nel bosco le scopre intente a praticare un rito sconosciuto.
David tenta la fuga ma Bibiana riesce a trovarlo e a convincerlo che il rito misterioso era solo propiziatorio per invocare la fortuna di non restare nubili.
Il giovane viene invitato ad una festa in onore di Lily che si tiene all’interno di un castello che sorge nei dintorni; qui David viene quasi processato dagli ospiti, tutta gente di estrazione sociale differente da quella del giovane hippy.
David si allontana, per essere successivamente raggiunto dalle tre maliarde.
Durante un colloquio con le donne, David si dice pronto ad abdicare a tutti i principi a cui fino a poco tempo apprima si atteneva; niente più libertà di scorazzare senza vincoli, quindi, niente più indipendenza.
Le tre donne sono in grado di dargli quello che lui cerca adesso, ovvero l’appagamento dei sensi tramite la lussuria e la gola.
Quasi la confessione fosse stato un segnale di tradimento verso quelli che erano gli alti ideali del giovane, Lily, Samantha e Bibiana subiscono una violenta metamorfosi trasformandosi in tre lugubri megere che lo assalgono e ne provocano la morte con fendenti sferrati con un coltello, un uncino e una mannaia.
Il corpo del giovane David viene quindi gettato in una fossa, alla presenza della gente che aveva partecipato alla festa nel castello.
Buon ultimo ecco arrivare il misterioso individuo che sembrava morto nell’incidente con la Rolls; è nientemeno che il diavolo che invita i presenti a fare di più per trviare i giovani idealisti come David, che s uo modo di vedere hanno raggiunto un pericoloso grado di libertà.
Brutto film.
Pretenzioso, supponente e mortalmente noioso.
Il delitto del diavolo- Le regine diretto da Tonino Cervi nel 1970 è un velleitario tentativo di criticare la società borghese, il suo sistema in grado di fagocitare tutto a partire dagli ideali fino a corrompere l’individuo con i suoi falsi miti tramite un linguaggio visivo ingenuo e anche francamente spocchioso.
L’inizio del film, con David che percorre in moto strade solitarie mentre imperversa una colonna sonora interpretata dall’attore Ray Lovelock dovrebbe già mettere in guardia il malcapitato spettatore; una canzone strimpellata alla meno peggio e cantata invece in modo dilettantesco e sopratutto con stonature da festival della parrocchietta.
Ma siamo solo all’inizio, ahimè.
Quando David/Lovelock incontra il trio delle maliarde, le cose peggiorano e ci si infila in un incubo visivo che troverà sollievo solo con il tradizionale The end; l’attore, assolutamente inadeguato e sopratutto con stampata sul volto un’espressione sempre uguale, monocorde come il ritmo della pellicola, finisce per mettere a disagio anche le tre attrici che interpretano le moderne streghe/maliarde.
Di spalle: Evelyn Stewart
La prima a comparire in scena, Haydee Politoff reduce dal successo ottenuto con l’esotico e sottilmente pruriginoso Bora Bora, finisce per dar vita a sipari quasi imbarazzanti con il bel tenebroso (ma anche tanto inespressivo) Lovelock, che avrà la fortuna a livello personale (off course) di baciare anche le atre due splendide protagoniste del film, Silvia Monti (Samantha ) e Evelyn Stewart (Bibiana) che in questo film recita con l suo vero cognome, Galli.
A ben vedere l’unico punto di forza del film sono proprio le tre attrici protagoniste, visto che il resto del film non ha atmosfera, è lentissimo e sopratutto si imbarca in discorsetti a sfondo pseudo-sociale e di denuncia che un regista amatoriale avrebbe affrontato con meno presunzione e più sincerità.
Questo manca al film di Cervi, l’onestà intellettuale: tutto sembra artificiosamente precostruito per sparare qua e la tesi preconfezionate e post sessantottine; ma il 68 è ormai finito con il suo carico di illusioni realizzate solo in minima parte e il film di Cervi appare fuori tempo massimo e sopratutto molto,troppo velleitario.
La trama finisce per avvilupparsi attorno ai tentativi delle tre donne per strappare David alle sue convinzioni personali; solo che il regista, con molta malizia, insiste nel mostrare carezze e languidi baci mentre fa latitare un’introspezione psicologica del personaggio David, che così appare come un pezzo di granito nemmeno sbozzato da un ipotetico scultore.
Tutto finisce per ruotare attorno alle tre donne e al sogno notturno di David, ai tentativi delle tre di confondere le acque, di convincere il giovane che tutto quello che vede è solo irreale.
Poichè David è un hippy non convinto, ma solamente innamorato di un’idea di libertà come un bambino è attratto da una caramella, ecco che il film inizia a imbarcare acqua e continuerà a farlo fino al finale, con l’insopportabile pistolotto del diavolo fattosi uomo che invita i suoi adepti a intensificare la lotta a coloro che professano idee di libertà.
Il che si traduce in un infantile monologo che conclude indegnamente una pessima pellicola.
Che ha numerosi estimatori, inaspettatamente.
Ovviamente i motivi per cui film come questo siano diventati con lo scorrere degli anni dei cult restano assolutamente misteriosi; all’epoca della sua uscita nelle sale Il delitto del diavolo non se lo filò nessuno.
Il mio consiglio personale è di non vederlo, a meno che non siate innamorati di Evelyn Stewart e Silvia Monti; il resto del film è prosopopea allo stato puro e noia insopprimibile.
Il delitto del diavolo – Le regine
Un film di Tonino Cervi. Con Evelyn Stewart, Silvia Monti, Ray Lovelock, Haydée Politoff,Gianni Santuccio, Guido Alberti
Drammatico, durata 92 min. – Italia 1971.
Gianni Santuccio: il Diavolo
Haydée Politoff: Liv
Ida Galli: Bibiana
Ray Lovelock David
Silvia Monti Samantha
Regia Tonino Cervi
Soggetto Tonino Cervi, Antonio Troisio, Antonio Benedetti
Sceneggiatura Antonio Benedetti, Antonio Troisio, Tonino Cervi
Produttore Raoul Katz
Casa di produzione Flavia Cinematografica, Carlton Film Export Labrador Film
Distribuzione (Italia) Magnum 3b
Fotografia Sergio D’Offizi
Montaggio Mario Morra
Musiche Angelo Francesco Lavagnino
” Sono coì felice, felice, felice da morire”
“Non posso più fare a meno di voi”
“Sono pronto a qualsiasi cosa pur di non perdervi”
“Siete certe di averlo ucciso al momento giusto?-Ne siamo certi, Eminenza: aveva rinnegato se stesso e tutte le sue convinzioni”
“Questa gente, con le sue nuove idee,sta influenzando tutto il mondo;bisogna far presto, bisogna eliminarli tutti prima che sia troppo tardi”
Le recensioni qui sotto appartengono al sito www.davinotti.com
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Meteorite post-sessantottardo tanto schematico e puerile nell’assunto quanto curioso nello svolgimento fra onirico, erotico e pop. L’espressione non proprio sveglia di Lovelock è adattissima per il suo spaesato personaggio, in balia delle tre misteriose passerone con trucchi e parrucche incredibili. Scenografie spettacolari e una discreta atmosfera, rovinano il tutto le terribili canzoni di Lovelock stesso, e il didascalismo del finale. Psichedelico.
Scampolo post-sessantottino in cui la tesi del satanismo come metafora di un potere borghese reazionario che lusinga e annienta le forze giovani e libertarie è sostenuta attraverso una simbologia di incredibile banalità e troppo immediata evidenza – il frutto proibito, i peccati di gola e di sesso – convergente in un immaginario fiabesco à la fratelli Grimm talora suggestivo (il bosco) e in un improvviso finale splatter. Moscio Lovelock; uniche effigi del film rimangono il notevole Lucifero di Santuccio e la bellezza bronzea e scultorea dell’ammaliante Monti. Fievole e caduco.
Favola dalle venature thriller che svela le intenzioni dei suoi personaggi ed il suo messaggio solo nella parte finale senza però riuscire a convincere. Il ritmo non è irresistibile ma non annoia e le atmosfere sono buone così come le scenografie. Il discorsetto finale risulta oggi, a mio avviso, abbastanza patetico. Bellissime le tre tentatrici. Bizzarria d’altri tempi che ha un suo fascino ma che non è passata indenne allo scorrere del tempo.
Noioso. Molto confuso durante il suo svolgimento, in compenso ha un discreto cast (sul versante femminile davvero ottimo: Galli, Monti, Politoff), poco convincente Ray Lovelock… L’atmosfera va a farsi benedire dopo poco e a un certo punto la noia regna sovrana… Nulla di che.
Per comprendere le dinamiche dalle quali scaturiva l’estetica “free”, dovremmo essere ancora imbevuti della cultura degli anni 70. Anni in cui a teatro si sperimentava col Living theater, che concepiva lo spettacolo come emancipazione dalla codifica dei generi ed il cinema, da par suo, era in preda ad empiriche derive lisergiche. Certo, ad osservarla oggi quell’attitudine, in parte fa tenerezza. Un film come questo, ad esempio, pur coinvolgendo per certe scelte inusuali (il finale politico, le venature horror), presenta delle sequenze che annoiano non poco.
Di questo film si apprezza per lo più la sceneggiatura e la connotazione thriller anni 70, per chi è amante del genere e del decennio anni 70. Lo svolgimento è lento ma interessante, il dipanarsi degli eventi sussurrato. Ci sono molti silenzi apprezzabili per lo script ma che possono anche annoiare taluni spettatori. Nel complesso un buon prodotto.
L’intreccio tra apologo politico e racconto horror riuscirà sicuramente meglio a Lado, ma la disarmante estetica pop-naif di questo film mi spinge a preferirlo. L’utopia sessantottesca appesa all’Albero della Cuccagna, annegata in panna e fragole, soffocata in cuscini di seta, invischiata nel miele del diavolo spalmato denso sul pane da tre fiabesche Qui Quo Qua! Notevoli la scena della notte di pioggia e di nebbia nel bosco, e l’immagine folgorante (poco poco trash…) della mano con la pistola che esce dalle cosce divaricate della Politoff. Dolce e crudele!
Singolare “favola macabra” intrisa di sensualità, che gli stilemi, la metafora chiaramente politicizzata e il look sessantottino, NON riescono per fortuna a rovinare o a rendere irrimediabilmente fuori-moda. Le tre “streghe” del film sono davvero intriganti e affascinanti, per quanto, ovviamente, letali. Curioso il fatto di far doppiare Gianni Santuccio (che evidentemente non poté doppiarsi da sé) da Gabriele Ferzetti, che forse era sembrata all’epoca la voce più somigliante (?) a quella di Santuccio. Un misconosciuto gioiellino.
Piccolo gioiello di un regista di un certo potenziale, mai veramente esploso. Alcuni curiosi punti in comune con In compagnia dei lupi, soprattutto nella figura del diavolo in auto, che incontra Lovelock in moto a inizio film. L’atmosfera da fiaba nera che si respira è straordinaria: la casetta in mezzo al bosco, le tre streghe (su tutte la Politoff), il finale… C’è un po’ di monotonia a metà film e gli incubi stile Ken Russell de noaltri fanno sorridere (la bocca dipinta sul collo, la pistola che esce dalla pussy della Politoff). Cultone.
Il massimo dei massimi. Silvia Monti irraggiungibile come bellezza sconvolgente varrebbe da sola il film. Per il resto, lasciamo stare che venga presentata come favola thrilling… Quanti concetti rivelatori e quante verità in più potrebbe ulteriormente esprimere? E quali altre trovate decorative potrebbe mai aggiungere un regista o un artista di qualsivoglia livello? Cosa si può volere di più? Cosa si può fare se non goderselo dalla prima all’ultima scena? Più bello di così…
Bizzaro ma vuoto film di Cerv. La storia è noiosissima e la promettente atmosfera iniziale svanisce subito. La regia di Cervi è mediocre e ripetitiva. Difficile non annoiarsi dopo 20 minuti. Se si vuole guardare qualcosa di abbastanza simile ma notevolmente superiore non perdete …Hanno cambiato faccia di Corrado Farina.
Operetta a sfondo metaforico tra vecchia borghesia e il rampantismo hippie che faceva proseliti più o meno dappertutto, all’epoca. Figlio dei tempi che furono, il film è un gran bel vedere a livello estetico/formale: si parte dall’abbigliamento delle tre bellissime, le loro acconciature, l’arredamento, tutto molto pop e coloratissimo. Non da meno gli stupendi scenari agresti e qualche timida sequenza onirica-psichedelica. Lo svolgersi? Noioso e lento, si risolleva nel finale con nel mezzo poca sostanza e tanta forma.
Dolcemente crudele e affascinante, questo piccolo filmetto è visivamente spettacolare e ammaliatore come le 3 protagoniste che seducono il giovane hippie Lovelock. Costumi sgargianti e scenografie anni ’70 che sono il trionfo del kitsch (notevolissimi gli ambienti ultramoderni in contrasto con il bosco desolato che circonda la casa del peccato) fanno da sfondo alla metafora politica sull’abbandono degli ideali e il disfacimento morale della società voluto dal diavolo in persona. Peccato solo per la lunghissima parte centrale un po’ noiosa.