Il libro di cui parliamo oggi è Il demone della prosperità di Chan Koonchung, un libro molto semplice e molto complesso. L’opera ha diversi piani di lettura, così come diverse chiavi interpretative; un libro quindi che si presta al libero sfogo di analisi e commenti, cosa puntualmente avvenuta e che continua ad avvenire, dato che ne stiamo parlando anche noi!
Questo libro mi ha colpito molto, ma ancora di più mi hanno colpito le sue recensioni. Non ho mai avvertito tanto forte l’impressione di leggere qualcosa in maniera diversa rispetto ad altri. La trama narrativa è abbastanza semplice, non voglio dire scontata, con una spinta iniziale abbastanza originale ma che lascia un amaro di promesse non mantenute. Addentrandosi nella lettura si capisce che la debolezza della trama è dovuta ad un fatto ben preciso: tutto l’intreccio, anche nei minimi particolari riferiti ai vari personaggi, prepara la parte finale: il lungo monologo di un dirigente del Partito Comunista Cinese.
Questo monologo non è il centro del libro, è il libro stesso. Ed è anche il fulcro delle polemiche nate intorno al lavoro di Koonchung, polemiche spesso viziate da un pregiudizio ideologico che deforma quello che secondo me è il vero significato dell’opera, diventata un libro cult ufficialmente proibito in Cina ma diffuso nel circuito underground e rimasto per lungo tempo nella classifica dei libri più venduti al mercato nero editoriale. Insomma un romanzo che ha tutti gli elementi per suscitare l’attenzione del panorama internazionale, cosa puntualmente avvenuta, ma con una visione “riveduta e corretta”.
Trascurando quelle recensioni che si sono concentrate sul romanzo criticando il monologo finale perché troppo lungo o quelle che ritengono difficili i nomi cinesi, possiamo vedere come l’intellighenzia occidentale abbia esaltato Koonchung come un eroe che sfida la censura comunista pubblicando un’opera di denuncia, un campione dei diritti umani e della democrazia. La stessa casa editrice che ha pubblicato il volume dice, testualmente, che si tratta di “un impietoso attacco al regime della Repubblica Popolare Cinese”. Ecco, io la penso in maniera del tutto diversa. Secondo la mia umile opinione non si tratta affatto di un attacco al regime comunista, ma una feroce satira (ma nemmeno troppo satirica) della degenerazione dello stesso Partito Comunista.
L’autore ha romanzato un testo di geopolitica, probabilmente per raggiungere un pubblico maggiore, perché la parte finale non è che questo: una chiara, lucida e disincatata analisi della politica cinese. Ritengo sia stato questo il motivo della censura del libro, non l’attacco al regime ma lo svelamento delle nebbie che lo avvolgono. Questo romanzo, scritto nel 2009, rappresenta un documento che inchioda i governanti di Pechino ad un tavolo programmatico, esigendo con urgenza una discussione per la quale il regime non è ancora pronto, essendo ancora troppe le questioni preliminari da affrontare e troppi i fragili equilibri da conservare.
Sicuramente un libro scritto da una persona che ama il suo paese ma, a differenza di quanto credono molti intellettuali impegnati conto terzi – sazi del loro benessere liberaldemocratico – ciò non significa per forza odiare il proprio governo e volere una democrazia d’importazione. Chi esce davvero a pezzi dalle pagine di Koonchung non è il regime comunista, ma il popolo cinese; lo stesso popolo che l’Occidente vorrebbe in piazza a lottare per “diritti e progresso”. Un popolo che si anestetizza da solo, stupendo gli stessi governanti, un miliardo e passa di persone che – ad eccezione di pochissimi – dimentica un intero mese del suo passato recente, scegliendo di fatto il benessere.
Nonostante quello che pensano gli ideologi di casa nostra, non in tutto il mondo esistono gli stessi valori, e non è un caso che nel romanzo i difensori dei diritti umani non facciano una figura del tutto limpida. Purtroppo l’ideologia non permette di leggere la realtà come andrebbe fatto, ma la sfigura con pregiudizi che preparano catastrofi. Una delle possibili chiavi di lettura del libro anzi, è proprio opposta a quella di molti commentatori. Ossia che in Cina serve un Partito Comunista forte, non corrotto ed in grado di guidare il paese, togliendo il popolo dal paradiso artificiale del benessere e condividendone un inferno reale.
In conclusione un libro dal quale lo stesso Occidente avrebbe molto da imparare, se avesse la volontà, e l’onestà, di farlo. Felice il popolo che non ha bisogno di eroi… altrui.