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Il Demone di Dio

Creato il 18 settembre 2012 da Theobsidianmirror
Il Demone di Dio
Curvando intorno ad un’alta montagna al centro della pianura che si stendeva davanti ai loro occhi, scorreva un fiume, le cui acque bianche brillavano come latte; a quel fiume sarebbe stato dato il nome di Acheronte. I fuochi nel cielo lo facevano sembrare un nastro di rame sospeso nella nebbia. Scure sagome di chiatte da carico e il passaggio casuale di qualche Demone Volante di tanto in tanto offuscavano il suo splendore. Se non fossero stati consapevoli che il fiume era pieno di pesanti lacrime lo avrebbero potuto confondere con un fiume di lava, tanto era brillante. Decisamente evocativa è l’immagine con cui Wayne Barlowe, affermato illustratore statunitense, dipinge l’Inferno nel suo esordio letterario intitolato “Il demone di Dio” (God’s Demon). Sembra banale, se non falso, dire che questo libro è capitato tra le mie mani per caso. In effetti dal mio punto di vista è stato un puro caso. Meno casuale è stata forse la scelta di questo libro da parte della mia amica Leggivendola che, giusto un paio di mesi fa, me lo ha spedito. Se vi siete persi il mio post precedente sulla catena di lettura estiva 2012, vi invito ad andare a darci un’occhiata adesso. In caso contrario andate avanti a leggere, perché cercherò oggi di scrivere qualcosa a proposito di questo libro.
Una premessa innanzitutto: “Il Demone di Dio” è il primo libro fantasy che, in assoluto, abbia mai varcato la porta di casa mia. Mi sono sempre tenuto prudentemente alla larga da questo genere letterario. Chiamatelo pregiudizio, chiamatelo razzismo, chiamatelo come volete, ma è un dato di fatto. Nemmeno Tolkien è mai riuscito a farmi capitolare. Con “Il Demone di Dio” invece ho infranto una regola ferrea e devo ammettere che, tutto sommato, sono lieto che sia successo, perché questo libro, accidenti a lui, è dannatamente bello.
Ma facciamo un passo indietro. Uno dei più classici luoghi comuni sul fantasy dice che questi libri sono costruiti tutti sulla medesima ossatura: la lotta tra il bene e il male (con l’inevitabile vittoria del primo), un eroe senza macchia e senza paura, una principessa in pericolo, un saggio consigliere che si diletta con intrugli e pozioni, una moltitudine di esseri bizzarri che una volta si chiamano elfi, un’altra volta si chiamano fate, a contornare la portata principale, qualche libro magico e qualche radice di mandragora, in quantità variabile.
“Il Demone di Dio” non si discosta da questa struttura: gli ingredienti ci sono tutti e sono tutti al loro posto. E allora che cosa lo rende diverso rispetto all’enorme offerta fantasy che affolla gli scaffali delle librerie? Tento una spiegazione: se l’autore avrà avuto abbastanza talento da nascondere gli ingredienti sopra citati, allora avrà fatto centro; in altre parole l’autore deve essere in grado di distogliere il lettore da una tutt’altro che improbabile sensazione di déjà vu. Non è un caso che una delle saghe fantasy più amate del grande schermo sia tutt’ora scambiata per una saga di fantascienza: sto parlando naturalmente di Guerre Stellari, che è ambientata nel passato e dove gli ingredienti del fantasy, così come li ho elencati più sopra, sono trasportati da una location classica, quale può essere una foresta incantata, ad una meno ovvia: una galassia lontana lontana…
Il Demone di DioQui siamo all’Inferno, signore e signori. Un luogo che Wayne Barlowe ci ha sapientemente descritto, regalandoci immagini di dannazione e atrocità come nessun altro prima di lui aveva osato fare… Beh, no, forse ho esagerato un tantino. Diciamo allora che Dante Alighieri in questa classifica lo lasciamo fuori concorso. Superiorità manifesta è la sua. E lasciamo fuori concorso anche John Milton con il suo indimenticabile “Paradiso perduto” (che tra l’altro Barlowe cita come sua principale fonte di ispirazione).
All’inferno non poteva esserci notte o giorno”, ci spiega Barlowe, “Ciò che veniva considerato giorno, altrove sarebbe passato per crepuscolo. La rossa Algol, che molti consideravano il Mastino dell’Alto, era l’unica possibile misura dello scorrere del Tempo. L’astro percorreva il suo sentiero nella totale oscurità a intervalli così regolari da permetterne la misurazione; ed era il suo sorgere, pallido e smorto, che veniva interpretato come l’inizio del giorno. La sua luce non aveva alcun effetto”. Che Algol sia la stella infernale ce lo aveva già detto Lovecraft nel suo racconto “Beyond the Wall of Sleep”. Lovecraft immagina che un misterioso Dio umano sia stato esiliato da un suo ancor più misterioso nemico, che risiederebbe dalle parti di Algol, stella il cui nome, che deriva dall'arabo, ha un significato giust’appunto demoniaco: al ghul, "il Demone" o "l'Orco". “Tu e io ci siamo spinti sui mondi che girano intorno alla rossa Arturo e abbiamo abitato nei corpi degli insetti filosofi che strisciano orgogliosamente sulla quarta luna di Giove. Quanto poco conosce l'io terreno della vita e della sua estensione! Quanto poco, in verità, è bene che conosca per conservare la pace! Del mio rivale non posso parlarti, ma sulla Terra ne avete intuito l'esistenza: infatti, con inaudita leggerezza, avete dato al suo simbolo il nome di Algol, la stella-demonio.”
È proprio la raffinata parte descrittiva il vero punto di forza del lavoro di Barlowe. Gli ambienti sono estremamente accurati, così come la caratterizzazione dei personaggi: ognuno di loro, finanche il più insignificante, viene presentato al lettore in tutte le sue sfumature. Il rischio che si corre è naturalmente quello di rendere pesante la narrazione, soprattutto per chi affronta il genere con un pizzico di diffidenza e si sofferma a soppesare le quattrocento pagine che ha di fronte. Il prologo in questo non aiuta: ho dovuto rileggerlo tre volte, tra mille sbadigli, e alla fine sono passato oltre senza capire. A chi si avvicina alla lettura del “Demone di Dio” suggerisco pertanto di saltarlo a piè pari e di andarlo a riprendere alla fine, visto e considerato che il prologo si inserisce cronologicamente solo prima dell’epilogo. Da qui in avanti è però tutta una discesa: con il procedere del racconto, il lettore si troverà a poco a poco stritolato nelle spire della storia e, senza accorgersene, si troverà a non poterne fare a meno, fino a rimanere, dopo aver letto la parola fine, a rimpiangere un seguito che non esiste. Non ancora, perlomeno. Sì, perché leggevo da qualche parte che l’Autore ha in mente una sorpresa e, ad un tizio su un forum, Barlowe ha risposto: “As for the prospects of a second book, I am indeed writing a sequel, but because I am working on a few things at once it may be a while before it is finished. I am, sadly, a slow writer. But, when it comes out it will be entitled "The Heart of Hell" and will pick up where the other novel left off. I do hope you can be patient with me.”
Mi auguro solo che l’edizione italiana di un eventuale sequel sia un po’ più rispettosa nei confronti dell’Autore, visto che la copertina del libro che ho in mano è davvero poca cosa. Ma non solo. Sempre a proposito del pregiudizio che vuole che i libri fantasy siano tutti uguali, ecco che scopro che l’immagine scelta dall’editore è pure uno spudorato plagio di “The Last Wish” (Il guardiano degli innocenti, 1993) di Andrzej Sapkowski, padre della saga fantasy “The Witcher”. Davvero un peccato visto che, come accennato in precedenza, Wayne Barlowe è prima di tutto un affermato illustratore. Bastava davvero soltanto scegliere uno tra i tanti i disegni da lui stessi realizzati sul tema infernale e che potete ammirare qui.
Il Demone di DioMi rendo conto di aver già ampiamente superato le 7000 battute e ancora non ho accennato alla trama. Avete ragione: il dono della sintesi per me è un miraggio. Dunque: protagonista della vicenda è un demone che risponde al nome di Sarganatas. Trattasi, sono andato a controllare, di un “vero” demone, nel senso che è davvero uno dei demoni della “tradizione infernale” (e di lui ho già parlato nel mio post precedente). Si tratta ovviamente di un demone sconosciuto ai più e la ragione è evidente: se al lettore è richiesto parteggiare per qualcuno è più facile se, a livello inconscio, questo qualcuno non ha un nome immediatamente accostabile a qualcosa di notoriamente malvagio. Dall’altra parte invece gli antagonisti rispondono ai più inquietanti nomi di Belzebù (il Signore delle Mosche), Lucifero (il Portatore di Luce), Astaroth (il Menzognero), Moloch (il Feroce), Adramelek (il Tristo Consigliere), Behemoth (il Lussurioso) e chi più ne ha più ne metta. E poi c’è Lilith (la Grande Madre), qui ambiguamente calata nella parte della principessa in pericolo. Scelta evidentemente obbligata, vista la cronica carenza di donne nei lidi infernali. Sargatanas, per farla breve, stanco di una vita infernale priva di speranza e composta solo da crudeltà e amarezza, si accinge a compiere un’impresa a dir poco impossibile: tentare di essere riammesso in Paradiso, al cospetto di Dio. Inutile dire che il cammino sarà ripido e irto di difficoltà. Riuscirà nel suo intento, considerato che lo stesso Belzebù lo ostacolerà con tutte le sue forze? A rendere poi ancora più complicata la questione c’è una donna (Lilith, appunto) il cui “amore” i due demoni si contendono. Questa in poche parole è la trama del libro, che culminerà in un epico conflitto tra eserciti infernali.
Basterà questa mia piccola recensione ad incuriosire qualche blogger? Ricordo che la Leggivendola ha posticipato di un paio di mesi il termine della catena di lettura, per cui, chi volesse leggere questo diabolico libro aggratis non dovrà fare altro che chiedermelo.

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