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Il diabete… curato ma mal-trattato

Creato il 18 agosto 2012 da Luigi2010

Il diabete… curato ma mal-trattato

Il più grande rammarico che provo oggi è rendermi conto del male che ci infliggiamo con le nostre cattive abitudini di vita. Il progresso della ricerca scientifica, gli studi specifici, le indicazioni dell’O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità), del Ministero della Salute e perfino dell’O.N.U., non lasciano dubbio alcuno sulla correlazione tra stile di vita e il dilagare delle patologie non trasmissibili. Le malattie, nella generalità dei casi, sono la risultante di un errore ripetuto, o particolarmente invasivo, di cui non ci si rende conto ma che interferisce con un principio biologico imprescindibile: il mantenimento dell’equilibrio, della funzionalità, della regolazione che noi chiamiamo salute.

Che cosa ci impedisce allora di percepire e attuare questa nostra naturale vocazione? La nostra mentalità! Le credenze, le convinzioni che governano e strutturano le nostre considerazioni, i nostri pensieri, i nostri comportamenti non contemplano, forse non immaginano nemmeno più, questa possibilità.

Vicende e difficoltà della storia anche recente hanno contribuito ad equivocare l’idea che il benessere fosse misurabile dall’abbondanza di cibo, dai benefici e dai vantaggi della tecnologia e dalla convinzione che avremmo potuto contrastare le malattie con una medicina sempre più precisa e sofisticata… senza rendercene conto abbiamo sviluppato invece una economia spregiudicata e aggressiva e uno stile di vita a discapito dell’uomo e dell’ambiente… una civiltà che ha via-via dimenticato i principi, le leggi e le responsabilità più elementari del vivere.

Pensate che paradosso! Da una parte una potenzialità straordinaria ma che necessita del riconoscimento e del sostegno, dall’altra scelte e abitudini di vita che provocano disfunzione, sofferenza, malattia e (dulcis in fundo) l’ostinazione a posteriori di ripristinare un equilibrio compromesso con la “cura”, l’uso dei farmaci e della chirurgia. Per rendere maggiormente l’idea sappiate che, forti quanto gli altri animali – all’apice della scala evolutiva, se chiudessimo farmacie e ospedali moriremo come mosche! Quale altro “essere” vive in queste condizioni?

Le malattie metaboliche vantano il primato di questa situazione assurda, e il diabete è forse la patologia più rappresentativa e più onerosa di questa contraddizione esistenziale… più di 11.000 solo in Trentino… pazzesco!

Quando incontro un diabetico per un percorso di consapevolezza – lo stesso discorso vale per qualsiasi altro disturbo o patologia – mi rendo conto che la persona non sa niente della sua malattia, almeno rispetto alla relazione causa/effetto, e ancor meno del suo recupero potenziale. Del resto nella mentalità comune la malattia è vissuta come una maledizione casuale e la prescrizione della terapia, così come la relazione medico/paziente, non fa altro che rinforzare questa percezione e questa logica.

Torniamo al diabete. Per il diabetico di tipo 1 – insulino dipendente – la cura concentra l’attenzione sul sensibilizzare, cioè allenare, la capacità del malato a quantificare le unità di insulina da iniettare in base a quello che ha mangiato, a seconda del tipo di soluzione e del metodo di assunzione. Per il diabetico di tipo 2 – non insulino dipendente – il problema comincia e finisce nell’assunzione del farmaco che serve per favorire l’azione periferica dell’insulina verso le cellule. In questo secondo caso accade spesso che il mantenimento delle stesse abitudini che hanno favorito l’insorgere del diabete provocano nel tempo un’assuefazione del farmaco e un peggioramento delle condizioni generali del paziente. Il lavoro educativo nell’approccio convenzionale è molto debole, se non addirittura assente, non solo sulle motivazioni generali, ma purtroppo anche nello specifico più critico per la malattia, e cioè la qualità/quantità dei carboidrati da preferire. L’indice e il carico glicemico (misurano la velocità e il livello di rialzo della glicemia degli alimenti) diventano un elemento di conoscenza fondamentale per gestire il livello degli zuccheri nel sangue e il livello conseguente dell’insulina: per il diabetico di tipo 1 per ridurne l’assunzione; per il diabetico di tipo 2 per migliorare la gestione del farmaco… un vantaggio per entrambi per tenere bassa l’emoglobina glicata (una variabile problematica della malattia), mantenere una corretta composizione corporea e ridurre l’effetto invasivo del fuori norma di questi parametri metabolici. Ma c’è di più: una raccomandazione per tutti e una prerogativa funzionale per la salute a lungo termine, per restare magri, per ridurre l’insorgere di patologie degenerative è proprio quella di controllare la glicemia e la conseguente risposta dell’insulina a prescindere che sia il pancreas di una persona sana a produrla, il diabetico di tipo 1 a doversela iniettare o il diabetico di tipo 2 a doversi preoccupare di rinforzare la sua azione.

Recentemente, ad un convegno di diabetologia tenuto a Trento, sono stati gli stessi medici curanti ad enfatizzare la necessità di correggere lo “stile di vita”, con alimentazione e l’attività fisica in testa – come nuova frontiera e metodo di correzione terapeutica. Peccato che nessuno si renda conto che l’ostacolo per un cambiamento efficace dei comportamenti è proprio nella mentalità delle persone e non sarà sicuramente una generica raccomandazione di buon senso a produrre i risultati sperati. Se non si riconosce questo limite c’è il serio pericolo che l’unica possibilità e l’unica pratica salvifica rimanga quella del farmaco e l’invitabile destino che le proiezioni ci paventano sullo sviluppo del diabete e delle malattie non trasmissibili nei prossimi dieci anni.

Quello che occorre in sostanza è un approccio educativo/riflessivo nuovo, capace di interagire con la dinamica del pensiero e della motivazione, persuasivo sul piano della responsabilità, aggiornato nello specifico nutrizionale, con l’obiettivo generalizzato di correggere lo stile di vita e, in particolare, di insegnare a mangiare per la vita, soprattutto per il controllo della glicemia.

Infine, e non per ultimo, ben vengano quei prodotti e materie prime, pensati e certificati, a basso indice/carico glicemico che possono favorire una corretta risposta metabolica e consentire il mantenimento di una cucina rispettosa del proprio gusto e delle proprie abitudini ma, finalmente, a vantaggio della propria salute.

L’ultima Signora diabetica che ho incontrato in ordine di tempo, in esagerato sovrappeso, che si era lamentata della sua “insopportabile” pancia con il suo medico curante (e altri che aveva consultato) si è sentita dire: “Signora, cosa vuole, quella pancia è la pancia del diabetico”. Bene! Questa non è sicuramente la strada!


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