"Il diamante dell'harem" di Katie Hickman

Creato il 15 febbraio 2011 da Sulromanzo

Vi è mai capitato di innamorarvi di qualcuno che avete perso e non siete riusciti a dimenticare perché fa così parte di voi da accompagnarvi sempre, come un sogno e un’ossessione al tempo stesso?

Forse innamorarsi è come annegare e “tornare in superficie per respirare, risalire vorticando da un luogo buio e profondo, scintillando e abbagliando e saettando come la luce del sole fra la schiuma del mare. Come un battesimo. Come una rinascita” (p 191)

Il diamante dell’harem è questo: una grande storia d’amore,  attraverso oceani e situazioni rischiose e dolorose alla ricerca di qualcuno che si è perduto. Ma non è solo ciò che si conosce, è anche quello che ti capita all’improvviso, quello che, in un certo senso, viene a cercarti quando meno te lo aspetti ed è così forte da farti dimenticare tutto il resto.

Il romanzo si apre con una domanda al lettore sull’annegamento, domanda poi riproposta (un centinaio di pagine più avanti) che però assume significati e sfaccettature molto diverse. All’inizio della storia, ambientata nel Sud Italia, degli uomini invitano delle acrobate (è forte il senso di divisione fra i sessi) nel loro villaggio per convincerle ad acquistare, anzi, a prendere, una sirena ed il suo bambino. Paradossalmente, si crede che le sirene portino fortuna. Ma questa no, meglio liberarsene il più in fretta possibile, anche per paura che porti “s-fortuna”, magari qualche brutta malattia. [Siamo nel 1600, secolo in cui l’uomo è vittima della natura (la peste, per esempio).]

Il Sud Italia, dicevo. Ma anche Venezia (luogo nel quale avvengono gli eventi presenti) e Costantinopoli, e Londra.

Il diamante dell’harem è una storia piena di superstizioni, di magia e religione ed è piacevole leggere un’opera nella quale questi argomenti scivolano nelle diverse situazioni lasciando traccia di sé ma senza imporsi. Eppure io, lettrice moderna, qualche domanda ‘storica’ me la sono fatta. Per esempio, quando a pagina 15 mi sono imbattuta in un “siamo state gabbate” perché questo mi sembra un termine fin troppo moderno. C’è il monastero di clausura, quasi uno stereotipo perché luogo di luci ed ombre, ma popolato da donne che, prima di prendere i voti, forse più per bisogno di protezione che onesta fede, hanno conosciuto totale dissolutezza.

Ci sono i tarocchi: uno dei personaggi, Costanza, legge i tarocchi grazie ai quali il narratore ha la possibilità di spiegare eventi passati e preannunciare eventi futuri. Ma siamo nel 1600, secolo in cui le streghe venivano bruciate ed anche se questo non è un argomento principale ed ha un suo scopo, credo una nota, o qualche semplice spiegazione relativa alla scelta avrebbero reso il tutto più credibile. Infine, ci sono le carte, questa volta da gioco: infatti, alcuni dei personaggi trascorreranno tre giorni attorno ad un tavolo per vincere l’Azzurro del Sultano, una pietra preziosissima che fa da filo conduttore della storia.

È un romanzo d’amore, questo. Ma anche di amicizia, come quella che lega Annetta, una delle abitanti del monastero, a Kaya fin da quando abitavano insieme a Costantinopoli, nel palazzo del sultano. Prima di perdersi Kaya consegnò una poesia all’amica, chiedendole di darla al suo grande amore che, sapeva, non avrebbe più visto. È una poesia intensa e ‘inglese’ che scioglie molti dei misteri ancora irrisolti.

È  un romanzo che vi ricorderà tante opere già lette. Candide, per esempio (l’amore oltre la bellezza fisica); Romeo e Giulietta (credere di aver perso la persona amata per sempre).


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