La quotidianità è la routine che ammazza la gioia di vivere (se ci fosse), il lavoro che si ripete sempre uguale, le stesse facce, i medesimi discorsi, le ore scandite da mille piccole azioni che si ripetono sempre uguali, l’aria rarefatta dell’ufficio, l’odore di stantio e a guardarle bene anche le “amate” colleghe sembrano ammuffite, fossilizzate alla loro scrivania e a ben poco servono la pausa caffè e l’intervallo per il lunch a darle un poco di vita, indaffarate a rifarsi il trucco anche per andare al bar, impegnate ad acconciarsi i capelli anche quando sono al telefono, e ad ammiccare, quando passa il “boss”.
Lui si compiace di provocare questi piccoli terremoti, come si appaga a sbirciare sotto le scrivanie, le gambe succinte delle sue dipendenti.
A volte basta così poco, una parolina maliziosa, una spallina che scende, una coscia che fa bella mostra di se e i favori si elargiscono, gli orari si accorciano e i permessi si concedono e probabilmente qualche volta gli stipendi si gonfiano.
Lucy non è mai stata così accondiscendente ma piuttosto ribelle e questa sua indisciplina l’ha pagata a volte a caro prezzo.
Così memore del passato che sempre insegna, cerca di adeguarsi come può al suo nuovo “status”.
L’occasione arriva alla pausa caffè delle 10:30.
È un lunedì qualsiasi e le ragazze parlano di del weekend appena trascorso. Come sempre i discorsi variano di natura sino a quando non si focalizzano su un tema caldo e sempre attuale, gli uomini.
Ognuna dice la sua in quell’accavallarsi di voci che rende una tranquilla chiacchierata simile a un chiassoso mercato di paese; c’è chi s’infervora e chi si lamenta, i particolari scendono si fanno più interessanti, ma tutto resta chiuso in quell’alone di mistero che sta tra il vero e il falso. Solo tu Lucy, osi di più.
Prendi la parola e i vocaboli sgorgano dalle tue labbra come un fiume in piena e più avanti vai con il racconto più l’acqua travolge gli ostacoli al suo passare…
…Era seduto di fronte a me e mi fissava come se volesse ma non osasse né fare, né dire, bello lo era davvero ma, la sua bellezza era fredda come una statua, come se fosse sotto un malvagio sortilegio, allora mi sfilo una scarpa e allungo il piede, da prima lo strofino leggero sul suo polpaccio, poi vado più su fino a quando il mio piedino non s’incastona in mezzo alle sue gambe. Avreste dovuto vedere la sua faccia, quando ho cominciato a carezzare la sua patta, e più la accarezzavo, più la sentivo ingrossare, sudava il poverino ma mi lasciava fare, così decido di passare all’azione…
Ah Lucy! Dovresti tu, guardare l’espressione dei volti delle “colleghe” che mai ti avevano sentita pronunciare simili cose, e il “boss” che seduto in disparte che pare distratto, ma in realtà non si perde neanche una parola del tuo racconto.
…mi siedo di fronte a lui e lascio alla mia mano il compito di finire ciò che il piede aveva con cura cominciato, lentamente gli apro la cerniera dei pantaloni e dolcemente infilo la mano …
E mentre Lucy continua il suo racconto, tra le facce trafelate e maliziose delle sue colleghe, un’altra mano armeggia solitaria in cerca di solitari piaceri…