Magazine Cultura

Il Diavolo a Mosca Ovvero Il Maestro e Margherita

Creato il 10 febbraio 2015 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Il Diavolo a Mosca Ovvero Il Maestro e Margherita

La letteratura demonologica ingenera spesso letture fuorvianti a causa del soggetto trattato. È pur sempre vero che il re degli inferi è stato brutalmente strappato alla sua primigenia condizione di metafisico oppositore del "sommo Bene" per diventare portavoce sia di scioccanti che di sciocche allegorie. Tralasciando i marchi che il Diavolo possa vestire, oggi fortunatamente ci tocca parlare di un felice caso di fenomenologia satanica ovvero il romanzo Il Maestro e Margherita, da noi letto nell'edizione Newton Compton Editori con la traduzione di Salvatore Arcella.

Scritto da Michail Bulgakov nel lungo arco di tempo intercorso tra il 1928 e il 1940 (poiché sottoposto a numerose revisioni), esso rappresenta il non plus ultra della poetica dello scrittore e della tradizione gogoliana della letteratura russa. Con quest'opera, infatti, Bulgakov lima fino alla perfezione tutti quegli elementi stranianti e spesso perturbanti del fantastico per calarli nella realtà stagnante della Russia stalinista dei suoi tempi. Lo fa senza però far rimanere le tre linee narrative del romanzo invischiate nel contorto impasto tra comunismo e assolutismo dei suoi contemporanei. Anche se si deve a questo cardinale fattore la fortuna occidentale di Bulgakov (i martiri artistici del comunismo vengono ricordati con più enfasi di quelli politici da certa cricca critica, vedasi il surrettizio clamore attorno a Majakovskij), qui cerchiamo, per quanto possibile, un onesto inquadramento recensionistico. Possiamo quindi concordare pacificamente con la tesi di Mauro Martini (che cura la succinta prefazione di questa edizione) che la quasi atemporalità in cui Bulgakov avvolge Mosca risulta essere il maggior contributo alla sua leggibilità occidentale e alla sua modernità. Il diavolo arriva inopinatamente nella capitale russa ma non si preoccupa per nulla della recente rivoluzione né della dittatura montante. Woland, un esperto di magia nera (questi i panni con cui Satana si presenta agli ignari abitanti moscoviti), è piuttosto interessato a sbugiardare due saccenti intellettuali russi che discutono con pedanteria sull'inesistenza di Gesù.

Pur ricco di puntuali riferimenti luciferini e di altrettante "realistiche" divagazioni, lo scrittore russo ne tratteggia una particolare visione. Woland non è presentato come il Male assoluto né come un Angelo ribelle ma come un nietzscheano Caos, portatore di vita e morte in ugual indifferenza. A tal proposito leggasi l'emblematica epigrafe tratta dal Faust di Goethe: "Ma allora chi sei tu, insomma? Sono una parte di quella forza che eternamente vuole il male ed eternamente compie il bene". È questo motivo che ci spinge a sottolineare come l'intervento di Woland sia limitato all'iniziale morte di Berlioz mentre nel corso del romanzo saranno molto più presenti sulla scena i suoi accoliti. Qui Satana è rappresentato come un deus ex machina che dando appena briglia sciolta al suo clan di streghe e demoni si fa creatore vitalistico. Egli sguinzaglia l'incredibile dentro il piattume: basta questo a scoperchiare le vomitevoli soperchierie di tanti grigi cittadini apparentemente irreprensibili. E qui si ritorna all'inizio. Bulgakov/Woland non ha bisogno di combattere politicamente i crimini della dittatura. Sono infatti gli ipocriti impiegatucci (lo scrittore perpetua l'avversione gogoliana-dostoevskiana verso la burocrazia con la reiterazione di questi peggiorativi), cioè la classe più asservita alla politica di quei decenni, a divenire preda delle atroci burla di Korov'ev e soci. Siamo di fronte a una dissacrazione metonimica a Stalin e al partito comunista condotta attraverso la scoperchiatura degli impicci quotidiani dei tanti anonimi cittadini.

L'irrazionale mostra gli squarci del razionale: basta una notte di luna piena o uno spettacolo di prestidigitazione o un sabba di streghe a mandare a carte quarantotto la reputazione di stimati professionisti. Bulgakov riserva le scudisciate più forti ai letterati del MASSOLIT, sedicente associazione ai cui membri interessa più il benefit della cena a poco prezzo o della dacia vacanziera piuttosto che il vero valore artistico. Il dramma interiore del Maestro, dovuto al rifiuto del suo manoscritto su Ponzio Pilato, è in fondo l'esternazione romanzesca altamente drammatizzata di un vissuto dell'autore.

A questo punto viene da chiedersi perché mai il Maestro e Margherita si salvino dalla devastazione apportata dai demoni di Woland. Il Maestro è così sensibile e così libero da lacci ideologici in un'epoca di imperante ateismo da riuscire a riscrivere una scabra rilettura della Passione (di Jeshua ma soprattutto del "crudele quinto procuratore della Giudea, il cavaliere Ponzio Pilato"). Egli reagisce all'insuccesso pubblico con la malattia privata, unica strada possibile per un soggetto estraneo come lui alla nomenclatura. Margherita dal canto suo vive la propria lacerazione tra un marito buono ma non amato e un amante tenero ma inquieto con veritiero strazio. Così il Maestro descrive al poeta Ivan la nascita del loro legame: "L'amore ci si parò davanti come l'assassino spunta da sotto terra nel vicolo, e ci colpì entrambi all'improvviso. Così colpisce il fulmine, così colpisce il pugnale!". Per la salvezza dell'amante, Margherita si lascia contaminare dalle forze del Male diventando una strega e volando sopra i tetti di Mosca nella più immaginifica e poetica scena del romanzo. Sopravvive a Satana colui che, pronto a reagire con schiettezza anche di fronte al più leggendario dei mali, lo riconosce senza tentare la via dell'inganno o della dissacrazione. In questa sortita di diavoli pietosi, di rivalutazioni pilatesche, di amori da seminterrato sta tutta l'urgenza di Bulgakov nel distanziarsi dalla impossibile geometricità dei piani quinquennali.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :