Le tensioni diplomatiche tra i governi di Tokyo e di Pechino per il controllo delle isole Senkaku (Diaoyutai in cinese) che si trovano nel Mar Cinese Orientale, – amministrate dal Giappone ma rivendicate contemporaneamente dalla Cina oltre che da Taiwan -, sono sempre più al centro dell’attenzione internazionale. Il Giappone le considera parte integrante ed inalienabile del suo territorio, mentre la Cina vorrebbe che il governo di Tokyo riconoscesse formalmente l’esistenza di una disputa territoriale bilaterale per la sovranità su di esse.
Il primo ministro giapponese Shinzō Abe, non intende fare, al riguardo, alcun passo indietro. Il presidente del Partito liberal-democratico (LDP) è ritornato a governare il paese il 26 dicembre 2012, dopo aver scalzato Yoshihiko Noda che assieme al suo partito (Partito Democratico del Giappone) erano stati duramente criticati dagli avversari politici per aver gestito male la controversia territoriale delle isole Senkaku/Diaoyutai. L’acquisto da parte del governo di Tokyo di tre delle cinque principali isole che costituiscono l’arcipelago delle Senkaku/Diaoyutai da un cittadino giapponese aveva, di fatti, alimentato in Cina, una serie di proteste antinipponiche (settembre 2012). I dimostranti saccheggiarono e bruciarono ristoranti e concessionarie di auto giapponesi. Di recente, le autorità giudiziarie cinesi hanno inflitto ad alcuni di essi condanne fino a 10 anni di reclusione. A ciò si aggiunga che lo scorso 15 agosto alcuni attivisti cinesi di Hong Kong riuscirono a raggiungere le isole tra le proteste del governo di Tokyo. I rapporti tra i due paesi rimangono, pertanto, molto tesi. Le loro navi militari continuano, infatti, a pattugliare questo prezioso angolo di mare dell’Asia Orientale.
In precedenza (2010) era accaduto un altro episodio clamoroso; l’arresto di Zhan Qixiong, comandante del peschereccio cinese Minjinyu 5179, dopo la collisione con due guardiacoste giapponesi (JCG), avvenuta il 7 settembre in prossimità di esse. Il primo ministro cinese Wen Jabao, che lo considerò un atto illegittimo ed arbitrario, aveva asserito che la Cina non sarebbe rimasta a guardare (21 settembre), pretendendo, inoltre, le scuse ufficiali del governo allora guidato da Naoto Kan. La vicenda si era conclusa con il rilascio di Zhan (24 settembre), essendo la Cina ricorsa all’arma della coercizione economica con il blocco dell’esportazione verso il Giappone di elementi di terre rare (lantanide), impiegati principalmente nell’industria elettronica ed automobilistica. Kan non si era scusato con il governo di Pechino. Aveva, per di più, chiesto un risarcimento economico per i danni causati dal peschereccio cinese alle imbarcazioni giapponesi.
Alla base della controversia territoriale sino-giapponese vi sono, senza dubbio, ragioni economiche e strategiche. Oltre alla presenza di ricchi giacimenti di gas naturale nell’arcipelago delle Senkaku/Diaoyutai, – conosciuti con il nome di Shirakaba/Chunxiao (rispettivamente in giapponese e cinese)- , occorre, peraltro, considerare che esso è un ostacolo materiale che impedisce alla Cina di proiettare la sua forza navale nell’Oceano Pacifico. Ma è, tuttavia, il retaggio storico che continua a destabilizzare le relazioni tra i due Paesi. L’omaggio dei politici nipponici ai “criminali di guerra” (Classe A) sepolti nel tempio di Yasukuni, simbolo del militarismo giapponese, – in occasione dell’anniversario della resa del Giappone nella seconda guerra mondiale (15 agosto) -, irrita oltremisura la Cina.
Inoltre, una maggiore presenza militare dei due Paesi nel Mar Cinese Orientale aumenterebbe considerevolmente il rischio di un conflitto aeronavale. Abe, che vuole trasformare le forze di autodifesa giapponesi in un esercito moderno, è pronto, del resto, a chiedere il sostegno del Partito Democratico del Giappone, che è all’opposizione, per emendare la Costituzione, il cui articolo 9 vieta al Giappone di riarmarsi per risolvere le dispute internazionali.
La tradizionale reciproca ostilità è certamente un elemento di distorsione nelle relazioni sino-giapponesi. E la controversia territoriale delle isole Senkaku/Diaoyutai accresce l’acrimonia diplomatica tra i due paesi, rendendo sempre più instabile e meno sicuro il Mar Cinese Orientale.
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