Difficile parlare dell’alluvione in Sardegna, senza cadere nel patetico. Anche perché in Sardegna ci sono nato e abbondantemente cresciuto. Difficile parlare delle calamità naturali che ormai bussano quotidianamente alle porte di questo paese, senza dover ripetere la tiritera della salvaguardia del territorio, dei troppi abusi e delle troppe sanatorie, di un euro in prevenzione che vale dieci euro in ricostruzione. Ormai si va avanti così da troppi anni, ogni volta a cercare il colpevole, che poi è sempre lo stesso: la politica. E sicuro: la politica è stata e continua ad essere latitante, quanto a dotarsi di una normativa severa (e a farla rispettare!) e a trovare i fondi da impiegare negli interventi sul territorio. Ma quanti milioni d’italiani sono allergici ai vincoli ambientali? Quanti imprenditori e operai dell’edilizia e del suo indotto, con familiari al seguito, danno il loro voto ai politici che si dimostrano più liberisti nella tutela del territorio? Quanti supposti cittadini usano l’ambiente come se fosse una discarica infinita?
Ma poi, a giudicare dalle catene di Sant’Antonio che si sviluppano ad ogni disastro sui social network, buone solo per intralciare i soccorsi e intasare i centralini, viene spontaneo chiedersi se non sia la nostra civiltà del benessere ad invocare queste calamità. Tesi nella ricerca spasmodica di un comfort sempre maggiore, di fronte alle disgrazie ci sentiamo scossi da un fremito di vita, da un barlume di una perduta umanità che fa barcollare la nostra torre d’avorio. E così si sviluppa una gara a chi si dimostra più compartecipe del dolore, a chi fa rimbalzare meglio appelli arbitrari e mai richiesti di soccorsi. In piccolo, si ripete il protagonismo malcelato dei mass-media, sempre pronto a scavare nel fango, ma non per portare un aiuto materiale ai disastrati, quanto piuttosto per scovare l’edificante cronaca di un atto di eroismo o il pathos straziante di una tragedia esemplare.
Abbiamo bisogno delle piccole e grandi tragedie da raccontare, per urlare ed urlarci addosso che, nonostante tutto, siamo ancora umani, anche se poi contabilizziamo il gettito degli accessi al sito o dell’impennata dell’audience, grazie alla catastrofe. Ieri era il Tg1 che esultava per lo share susseguente al terremoto de L’Aquila, oggi è il direttore on-line della testata più importante dell’isola (nonché direttore del principale Tg regionale) a celebrare il record di accessi simultanei al suo sito, quando si andava delineando con chiarezza l’entità della catastrofe. A seguire, il direttore della stessa testata in versione tradizionale, coglieva la palla al balzo per cavalcare l’atavico senso di subalternità dei sardi in una polemica contro la matrigna Tv di stato, rea d’aver censurato una sua intervista, poi regolarmente andata in onda. E ora ritorniamo alle nostre miserie quotidiane, senza preoccuparci: una nuova catastrofe è già in arrivo, per ricordarci che siamo umani.