Magazine Cultura

Il diritto di essere opachi di Marco Ercolani

Creato il 05 gennaio 2011 da Viadellebelledonne
ercolani_il_diritto_di_essere_opachi

Fogli di me
chiusi nella torre con me.
Se scrivo, nel fango torna come un suono di mare.
Riprendo, la penna sul legno,
la terra oltre le sbarre.
Una frase dopo l’altra,
frana altra terra,
non appare mai
il cielo.
Sottile la carta si torce,
esige odori di luna, di mare..
Provo a tastarla
a sprigionarne la luce.

Da Gerico, da dove «non si fugge mai», perché, anche «rompendo il pane» nel gesto di condivisione della cena prima della Passione, si rimane «prigionieri di una rete»,

(da quella stessa Gerico che Alda Merini in “Terra Santa” dichiarava essere «la mia Palestina»: «Noi tutti, branco di asceti / eravamo come gli uccelli /e ogni tanto una rete / oscura ci imprigionava»)

dall’assedio, dunque, al quale si cerca di resistere per «non credere che l’uomo / è un disegno staccato dal muro», il viaggionel tentativo (come Prometeo) di «sprigionare la luce» (dal buio, dalla carta, dal mare), infine di vedere, puntando lo sguardo proprio dalla «torre» o dalla «rupe» sulle quali la «sentinella, tradita dal sonno,/non vede».

Così, in forza di questo stato di costrizione esistenziale, «all’apice del dirupo», magari un «folle volo», o sogno, o andare prossimo senza movimento, o, ancora, un incunabolo – gorgo, risucchio d’assedio (come torre rovesciata di avvistamento) per questa navigazione raccolta che circumnaviga il bordo, senza mai sprofondare nel buco nero: «non fare della terra che vedrai /un altro punto buio della nuca / Per una volta. Senza visioni ./ Guarda.».

Uno stare border line e al confino che è il tratto umano più irriducibile perché non si fa del tutto attraversare e, in quanto «opaco», qualcosa o molto trattiene della luce, in rifrazione;   un tratto (rifratto) che, come tale, ha la sua forma via via più franta (come bene osserva nella prefazione G. Fantato), di lingua che acquisisca icasticità dall’arsura di terra e acqua salata, di voce a fatica strappata, da sentinella che scruta e allarma, anche si interrogainterpretando i segni fuori, arrogandosi per tutti noi quel/il «Diritto» come facoltà«di essere opachi» rispetto ad una «terra trasparente», finanche vuota, che tra-spare.

Infine, ed è stata la mia chiosa-commento iniziale leggendo questo viaggio d’insieme, Coleridge de “La ballata del vecchio marinaio”:

«ed ora l’incantesimo era rotto: / ritornavo a veder verde l’oceano / ed esplorai lontano, ma ben poco / vedevo di ciò che altre volte era visibile»

«Senti, Invitato: quest’anima è stata / tutta sola su di un mare grande grande / Talmente sola che Dio medesimo / a momenti sembrava non esserci»

perchè, malgrado tutto, l’àugure – scrittura- nostra sentinella, ed è sempre Coleridge a dirlo,di noi e per noi ha questo:

«Come la notte, passo di terra in terra / e ho una strana potenza di parola».

Il diritto di essere opachi (p .61)

Sposti allibito la maniglia nel muro
chiudi nelle dita il nuovo mondo
che i cieli sfiorano da quando l’albero
è sommerso dal buio, sottovoce.
Ripeti che sulla pelle esistono, possono
esistere, appena sotto il polso
carezze.
Chiedi agli specchi di essere pietre
perché non riflettano le ombre degli inseguitori
chiedi alle pietre di essere specchi
perché riflettano chi corre e si salva.
Febbrile, lungo i cerchi del pozzo,
un volo di farfalla.
I tuoi occhi quasi ciechi.
Prova a guardare le case, a vedere
se sono proprio morte,
osserva la polvere sui bicchieri,
le spine nei piatti, le ombre sui muri.
Prova a rinascere nel tempo
in cui riemergeranno.
Scrivi fra le cinque e le sei
quando il foglio smette di essere scuro
quando la carta mostra
i buchi delle parole. Poi smetti.
I corpi, in fondo alla stanza,
restano corpi ed è saldo, nel buio,
il diritto di essere opachi.
Voci che ti difendono dal dolore
ti sprofondano nella logica delle cose.
Una tragedia senza porte
il ritmo dei giorni, la sabbia
che scricchiola.
Ci sono ancora, nel tuo destino,
lettere da scrivere, fogli
come muri, violentemente bianchi,
dove le parole tracciate sono lavate via
dalle regole del pensiero e le frasi, tutte le frasi,
aspettano nere,
col peso dei verbi e dei nomi,
il tuo andar via dalla stanza.
Sul muro arroventato
schegge di unghie
grida rapprese.
Una volta, respiravano fischiavano parlavano.
Ma la notte è lunghissima,
i discorsi trasformati in derive, silenzi.
Scrivi fra oggi e domani.
Sai di non morire
per il tempo in cui la carta
trattiene le parole.
Potrai sbagliare ancora passo
nella fila dei corpi
e dopo, alla fine del giorno, a cortile vuoto,
correggerti, restare immobile,
descrivere voli
osservare rocce
immaginare domande:
oggi, ad esempio, per quante ore
sarai vero?
Calmata l’acqua, pronunciate le parole
dentro la gola, con la vibrazione
di chi non vuol tacere.
Il diritto di essere opachi
non è il buio della pelle, nella notte,
ma questo lungo proteggersi
da occhi che vorrebbero, violentemente
vedere.

(2003)
Marco Ercolani Il diritto di essere opachi , LaVita Felice, 2010 Milano

altre letture in rete del libro su:

La Dimora del tempo sospeso

Poetarum Silva

Compitu re vivi

margherita ealla



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :